Electricity, this fiction
Electricity is fiction
Blixa Bargeld, Carsten Nicolai
Let there be rock
“The lunatic is in my head” cantavano i Pink Floyd in Brain Damage. Era il 1973, anno del loro ottavo album, The Dark Side of the Moon, che comincia e finisce con dei battiti cardiaci. Nessuno più di Friedrich Kittler (1943–2011) ha sviscerato questa canzone con un’analisi in cui accuratezza e delirio sono inscindibili.
Sconosciuto in Italia, padre della teoria e dell’archeologia dei media, Kittler è spesso soprannominato il Derrida o il Foucault dell’epoca digitale. Un appellativo che non dà conto dell’eclettismo che vivifica il suo pensiero. Kittler infatti scriveva su Omero come su Thomas Pynchon; in California resta così fulminato dalla lettura di Gravity’s Rainbow tanto da metterlo in esergo in quello che resta il suo libro più conosciuto, Grammofono, Film, Macchina da scrivere: “Tap my head and mike my brain / Stick that needle in my vein”. Kittler legge in parallelo Dracula e la nascita della psicoanalisi freudiana, intitola un saggio sulla poesia di Goethe Lullaby in Birdland, passa con disinvoltura dai classici greci ad Alan Turing, da una citazione de La Gaia scienza di Nietzsche a un concerto di Jim Morrison, dalla poesia di Saffo all’Electric Ladyland di Jimi Hendrix passando per i Nibelunghi wagneriani.
L’intossicazione è strutturale nel suo pensiero, come quando confessa di aver scritto il primo capitolo di Discourse Networks sul Faust di Goethe, che conosceva a memoria, rollando una canna dopo l’altra. In fondo, ribatteva, pare che la stessa Fenomenologia dello spirito di Hegel sia stata scritta sotto effetto di hashish, all’epoca mescolato al tabacco da fiuto. Non mancano i coni d’ombra: nel ’68, mentre i suoi amici manifestano e masticano letteratura marxista, lui si vanta di restarsene a casa a sentire Wagner, i Pink Floyd e i Beatles, “50% pigrizia e 50% con-servatorismo”. Affascinato da Napoleone sin da piccolo, Jürgen Habermas lo rimprovera per il suo disimpegno politico.
Una ramanzina esagerata, se pensiamo che Kittler si appassiona al rock in quanto sente di condividere qualcosa di profondo con cantanti, autori di testi e chitarristi: l’essere tutti figli della Seconda guerra mondiale, tutti fratelli della guerra in Vietnam. Così dopo aver aperto una conferenza con And The Gods Made Love di Hendrix – prima traccia di Electric Ladyland (1968), così aliena dal resto dell’album, con cui il chitarrista si proponeva di far sentire gli dei che fanno l’amore –, Kittler s’interroga sul “feedback tra tecnica bellica e tecnica dei media” 1. In un film come Apocalypse Now le Valchirie di Wagner diventano tiratori di mitragliatrici. A prevalere è tuttavia la tendenza opposta: l’apparato tecnologico-militare – il magnetofono tedesco o il disco hi-fi inglese – passa dalla captazione e localizzazione dei motori dei sottomarini alla registrazione di LP stereo.
La rivoluzione del rock è alle porte.
Spellbound
Negli stessi anni in cui Dan Graham lavora al video Rock My Religion (1983-84), Kittler sposta l’attenzione dalla vista al suono e dalla visione all’ascolto. Rispetto alla visione, in cui bisogna muovere gli occhi, il suono ci piove addosso indipendentemente dalla nostra volontà, ci avvolge e c’immerge in un soundscape. Le orecchie non si possono chiudere. Un’intuizione sviluppata a partire da un breve passo di Lacan ne I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi: “Le orecchie sono, nel campo dell’inconscio, il solo orifizio che non possa chiudersi. Mentre il farsi vedere si indica con una freccia che veramente ritorna verso il soggetto, il farsi sentire va verso l’altro” 2. Kittler sposta quindi l’attenzione dalla pulsione scopica all’orecchio come orifizio pulsionale, lo stesso cui giunge il dire come la musica.
Per quanto Kittler ammirasse l’analisi discorsiva di Michel Foucault, per quanto aspettasse i suoi nuovi libri con la stessa trepidazione che gli LP rock, non digeriva la sua nozione di archivio. Questa era incardinata sul linguaggio scritto quale esclusivo portatore di senso: un archivio che si addice bene alla parola scritta ma non al suono e alle immagini in movimento del cinema. Attento alla produzione dei discorsi, Foucault ignorava il medium attraverso cui erano recepiti, restando intrappolato nel rapporto parola-immagine, riflesso di un’era passata nella storia dei media, che precede la registrazione sonora.
Secondo Kittler, a partire dal fonografo il processo di registrazione sonora ha un impatto non solo sul suono ma anche sulla memoria, che è filtrata dall’intervento di una macchina. Altro che mera riproduzione o Alta fedeltà: la macchina diventa capace di produrre suoni e registrare l’inaudito. Cos’è l’inaudito? È “il luogo in cui l’informatica e la fisiologia del cervello coincidono” 3, il sound che non può essere messo per iscritto, “il non-scrivibile per eccellenza” che i solchi dei dischi e i nastri catturano. Il discorso è anche disco – un disco-rso, come si legge ne Il Testamento di Dracula dove Kittler commenta Lacan. E i disco-rsi per eccellenza sono i testi delle canzoni rock.
Kittler riprende ad esempio Fat Old Sun dei Pink Floyd, contenuta in Atom Heart Mother del 1970, l’anno della collaborazione con Antonioni per Zabriskie Point. Al di là del tono pastorale, alcuni passi evocano a Kittler l’atto stesso di ascoltare un disco. “Nessuno sa chi canta: la voce chiamata David Gilmour che canta la canzone, la voce cui si riferisce la canzone, o forse la voce stessa dell’ascoltatore, che non fa alcun rumore e pertanto dovrebbe cantare una volta date tutte le condizioni della magia sonora”. Da qui l’intuizione visionaria di Kittler: “la prossimità impensabile tra la tecnologia sonora e l’autocoscienza, simulacro di un feedback che tiene circolarmente insieme mittente e ricevente. Una canzone canta a un orecchio in ascolto, ingiungendolo di cantare. Come se la musica non provenisse dall’altoparlante stereo o dalle cuffie ma nascesse nel cervello stesso” 4.
Inquietante, no?
Moonchild
Non si tratta, in fin dei conti, di una descrizione accurata delle allucinazioni? Le tecnologie avanzate di riproduzione del suono creano voci che implodono nelle orecchie di chi ascolta. La distanza storicamente necessaria all’esperienza estetica si annulla. Le voci registrate aggrediscono le orecchie senza alcuna mediazione, senza medium che traduca il rumore in messaggio; scivolano all’interno dei padiglioni auricolari e ronzano nella testa come elicotteri invisibili. Il medium non è più, alla McLuhan, il messaggio. “The sound of music in my ear / Distant bells” cantano i Pink Floyd. Commenta Kittler: “La poesia lirica compie così quello che la psicoanalisi – che non a caso nasce alla stessa epoca – considera come l’essenza stessa del desiderio: la soddisfazione allucinatoria di un desiderio” 5.
Ora, se c’è una canzone che per Kittler mostra il collasso tra dentro e fuori – come nella copertina di Ummagumma (1969) –, tra orecchie in ascolto e voce registrata, questa è Brain Damage. Una meta-canzone che canta le condizioni nelle quali è cantata, dove “i suoni annunciano ciò che viene prodotto dai suoni stessi” 6. Un processo articolato in tre tappe – il prato, il corridoio di casa, la propria testa – che corrispondono a una fase specifica nella storia dei media. Nelle tre stanze del testo si snoda “l’inarrestabile avanzamento della follia” che “passa per orecchie incapaci di difendersi”.
Nella prima, “The lunatic is on the grass”, voci e risa infantili vengono da lontano, da uno spazio non localizzabile – siamo nell’era della riproduzione monofonica. Nella seconda, “The lunatic is in the hall” e “The lunatics are in my hall”, la voce, che diventa plurale, si avvicina, varca la soglia di casa, evolve nitidamente nello spazio domestico – siamo nell’era dell’Alta fedeltà e della stereofonia. Nella terza, “The lunatic is in my head”, suoni e voci provengono da ogni dove e invadono l’ascoltatore: “Quando i suoni […] possono riemergere davanti, dietro, a destra e a sinistra, sopra e sotto l’uditore, salta in aria lo spazio in cui ci si orienta quotidianamente”. Non solo la fonte dei suoni non è chiaramente localizzabile, ma non si sa più se provengono dall’interno o dall’esterno della testa dell’ascoltatore: “gli argini si sono ormai rotti, la testa esplode e si sentono solo urla che rimangono inascoltate”.
Un effetto surround che porterà alla quadrifonia, in cui l’immersione lascia spazio all’implosione e a un’impasse ermeneutica. Tutto cominciò, secondo Kittler, con l’Azimuth Coordinator, sintetizzatore prodotto dagli ingegneri di Abbey Road 7, e col chitarrista Syd Barrett. “Con buchi neri al posto degli occhi” prima di sprofondare “in una terra di nessuno medica tra psicosi da LSD e schizofrenia”: Kittler vedeva riprodursi in Barrett il destino di Nietzsche. “La critica lo aveva ribattezzato ‘lo zombie’”, ricorda lo scrittore Michele Mari, “e fra il pubblico c’era chi gli gridava di tutto. Lui li guardava sorridendo e rimaneva fermo, oppure accennava a suonar la chitarra senza nemmeno sfiorare le corde con le dita” 8, con lo sguardo “così abulico, così altrove, con un filo di bava che gli colava dalla bocca semiaperta”.
Vegetable man o Crazy Diamond?
Dazed and Confused
Come Foucault ha scritto una storia della follia nell’età classica, così Roger Waters, con Brain Damage, racconta la storia dell’orecchio nel XX secolo e, assieme, la storia della musica rock all’era della follia tecnologicamente implementata 9. La follia diventa una metafora della tecnologia, come la musica registrata produce allucinazioni, che non a caso colpiscono l’udito più che la vista. Non solo: come osserva Kittler con un parallelo vertiginoso e geniale, i suoi sintomi ricordano gli effetti sonori dei Pink Floyd: “il rumore bianco c’è in One of These Days, il sibilo in Echoes, le gocce d’acqua in Alan’s Psychedelic Breakfast, le urla in Careful With That Axe, Eugene e i sussurri sono ovunque…”.
“There’s someone in my head but it’s not me” – il danno cerebrale è irreversibile. A Kittler interessava l’alienazione mentale, al punto da scrivere, non diversamente da Freud, sulle Memorie di un malato di nervi di Daniel Paul Schreber. Il sintetizzatore rock riannoda il legame tra luna e pazzia, come in quel romanzo di Philip K. Dick dove la luna Alfa III L2 è popolata da sette clan divisi per disturbi psicotici (Follia per sette clan, 1967). Ma, attraverso i Pink Floyd e quel sintetizzatore monofonico che aveva costruito nel suo appartamento a Friburgo, Kittler coglie anche il legame tra musica e luna.
Tecnologia, magia e follia si annodano nel suo pensiero. Che si sviluppa quando la luna è associata a una doppia noia: quella del pubblico televisivo da una parte, non più interessato a seguire le vicende spaziali, assuefatto dalla copertura mediatica del primo allunaggio; quella degli astronauti stessi mentre sono in missione dall’altra. Il lato nascosto della luna diventa il “prototipo della noia spaziale, avendo portato allo scoperto una Luna povera di eventi e di rivelazioni” 10. Cosa facevano gli astronauti sorvolando il lato nascosto della Luna da cui la Terra era invisibile? Ascoltavano musica, che dava tempo e forma a quel vuoto cosmico; la playlist spazia da Fly me to the Moon versione Frank Sinatra alla bossa nova, dalla Sinfonia “dal nuovo Mondo” di Antonín Dvořák a canzoni suonate con l’allora obsoleto theremin.
“I media determinano la nostra situazione” è il celebre incipit e la frase più controversa di Grammofono, Film, Macchina da scrivere che ha valso a Kittler l’accusa di tecno-determinismo. Kittler intendeva dire che di noi resterà solo ciò che i media riescono a registrare, codificare, stoccare e trasmettere. I media sono “a priori tecnologici del pensiero e della storia umani” 11; non semplice estensione del corpo dell’uomo come voleva McLuhan, piuttosto è l’uomo a essere estensione dei media.
“I’ll see you on the dark side of the moon”: chi parla nell’ultimo verso di Brain Damage? di chi è la risata registrata in mono sullo sfondo? Roger Waters, Syd Barrett – il genio saturnino che ha coniugato rock e astronomia (Astronomy Domine) –, Pan il dio dionisiaco delle orecchie, una voce aliena, i lunatici, il sound?
In una lettera del 22-23 gennaio 1913, Kafka racconta un sogno alla sua allora fidanzata Felice Bauer: afferra due microfoni di telefono sul parapetto di un ponte; sente “niente ma niente tranne che un canto triste, possente e senza parole, e il rumore del mare”.
Brain Damage, griderebbe Kittler.