
Esporre al pubblico la propria collezione, di qualunque natura essa sia, è una scelta che comporta, inevitabilmente, il mettere a nudo un lato intimo e personale. Significa condividere il proprio privato. Svelare preferenze, magnifiche ossessioni, idiosincrasie. Ma cosa spinge a collezionare? Passione, curiosità, senso del possesso, egotismo… Difficile dirlo, e talvolta troppo facile liquidare la questione con riduttive letture psicoanalitiche. Molte collezioni sono figlie più dell’entusiasmo immediato e dell’intuizione che di condizionamenti critico-teorici o vili calcoli mercantili e speculativi. Il vero collezionista sa osservare, è lungimirante, è capace di cogliere e precorrere lo Zeitgeist. Nei più felici dei casi diventa compagno di strada dell’artista, suo sostenitore e mecenate incondizionato. La centralità di questo attore del sistema dell’arte, in un periodo in cui le opere sono potenti status symbol mediatici e gli artisti blue chips impazzite, è stata intelligentemente analizzata da Adriana Polveroni e Marianna Agliottone nel recente libro Il piacere dell’arte. Pratica e fenomenologia del collezionismo contemporaneo in Italia. Proprio ricercando questo “piacere” bisogna partire per affrontare la collettiva a cura di Gemma De Angelis Testa e Giorgio Verzotti che, per la prima volta, raccoglie negli spazi di Palazzo Reale una selezione di opere dalla Collezione ACACIA — Associazione Amici Arte Contemporanea, promossa dal Comune di Milano. Dalle cinicamente agrodolci favole di Maurizio Cattelan ai mondi alla rovescia di Paola Pivi; dalle relazioni emozionali di Mario Airò ai solipsistici e compiaciuti ricami di Francesco Vezzoli; dall’approccio alchemico alla materia di Francesco Gennari al recupero di un magico primario punk-noise di Nico Vascellari, in mostra si succedono una trentina di lavori di diciotto artisti di fama internazionale. Un ricco compendio delle più significative e recenti esperienze del contemporaneo italiano, che ben si inscrive nel percorso di promozione, valorizzazione e tutela dell’arte contemporanea portato avanti dall’Associazione a partire dal 2003. Allo stesso tempo, un gesto di condivisione che assume una valenza sociale e politica perché, nel momento in cui si instaura e rafforza la dialettica fra pubblico e privato, è legittimato e rafforzato il ruolo stesso dell’Associazione come interlocutore culturale, e si delineano con maggiore evidenza i prodromi del tanto vagheggiato museo di arte contemporanea di Milano, destinatario ultimo del patrimonio di ACACIA. Un dubbio, però, si insinua sottile: dal momento che svariate problematiche distanziano l’Italia dal modello dei sistemi museali americani e la congiuntura economica non aiuta, è davvero opportuna la struttura di un museo di arte contemporanea o è forse possibile, e auspicabile, individuare soluzioni alternative per tesaurizzare quello che è già, a tutti gli effetti, un “museo diffuso” sul territorio?