Chiara Leoni: I tuoi lavori chiamano spesso in causa il concetto di “slittamento” inteso come cambiamento progressivo e tuttavia drammatico. Mi sembra che sottolinei l’impossibilità di una stasi nel mantenimento dell’equilibrio e la sensazione di smarrimento che questo incessante cambiamento comporta.
Deborah Ligorio: I miei lavori sono piuttosto narrativi e solitamente le osservazioni d’impronta sociologica ne sono il filo conduttore. Una peculiarità dei nostri tempi è la velocità dei cambiamenti. Mi interessa leggere gli effetti prodotti da queste trasformazioni attraverso un approccio umano ed emotivo, ma non sentimentale o lirico. Si tratta di operare attraverso uno sguardo disincantato, producendo un’analisi che risvegli la consapevolezza e ipotizzi possibili soluzioni per non subire passivamente questi mutamenti.
CL: Flussi, Migrazioni, Movimenti, Ritmi, che hai presentato quest’anno nella mostra “Ambient Tour” alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, analizzano da diversi punti di vista — floristico, faunistico, antropologico — diverse isole italiane; tra queste, Pantelleria, nota soprattutto per i dammusi. Come sono nati questi lavori?
DL: Nello specifico l’interesse per i dammusi nasce dal merito che queste architetture hanno di adottare la tecnica del condizionamento passivo. Da necessità e condizioni particolari possono nascere delle diversità rispetto agli standard, come per questo tipo di architettura che risponde alle esigenze del luogo, economizzando sia nella scelta dei materiali sia nei consumi. Abitazioni ataviche possono suggerire soluzioni per fronteggiare l’attuale problema energetico all’architettura contemporanea.
CL: Gli artisti hanno sempre vissuto sotto il paradigma della mobilità — una condizione che prevede un continuo adattamento e che oggi più che mai sembra essersi universalizzata. Nel tuo lavoro l’idea di adeguamento oscilla tra i poli della malinconia e della necessità, una progressione che accresce forza e consapevolezza personali e tuttavia ha un costo emotivo elevato.
DL: La malinconia proviene dal bisogno di punti fissi e si scontra con la necessità avventurosa di smuoverli: nel paradigma della mobilità il confronto crea revisioni, sradicando i punti saldi. Lo vediamo nel dialogo tra culture, nelle alleanze economiche e nel mescolarsi dei linguaggi. Diversamente da molti altri miei lavori, nel nuovo video Il sonno (2007), nel commento alle riprese aeree che vedono protagonista il Vesuvio, in un sorvolo delle aree urbanizzate circostanti fino alla cima del vulcano, rifletto su una scelta estrema, quella intrapresa dagli abitanti delle aree adiacenti al vulcano di non abbandonare una zona definita a rischio.
CL: Nella tua produzione recente prendi in esame strategie e zone peculiari del sud nostrano. Una ricerca che si discosta sensibilmente dagli scenari cinematografici da frontiera americana di Donut to Spiral (2004) o dall’ubiquità sottomarina di Wired Under Water (1999).
DL: Dopo aver ricreato ambienti metafisici in diverse animazioni ed esplorato paesaggi leggendari come quelli di Donut to Spiral, ho sentito la necessità di puntare i riflettori su luoghi a me più familiari. Di guardare all’Italia, e in particolare al sud, con gli occhi di chi proviene da questi posti ma con la curiosità e gli interrogativi di chi vive altrove. Vivere a Berlino per diversi anni mi ha fatto venire voglia di raccontare questi posti avendo maturato il distacco necessario per circoscriverli.
CL: Caratteristica dei tuoi lavori è la variazione di temperatura emotiva determinata dal sonoro: da un lato il tuo parlato che oscilla tra enunciazione di dati e rivelazioni intimistiche, dall’altro colonne sonore fatte di silenzi e contrappunti, suoni e strumenti insoliti.
DL: Il parlato e le colonne sonore sono entrambi un commento alle immagini e assieme creano un’atmosfera, interpretando le immagini e definendone il carattere.
CL: Collabori con dei musicisti?
DL: Spesso sono io stessa a manipolare i suoni e a scegliere la melodia che più rende la sensazione che voglio dare, mi rivolgo poi a dei tecnici che perfezionano le mie combinazioni. Questa è la procedura più semplice e che ho adottato quasi sempre, pur avendo ogni volta desiderato collaborare con dei musicisti. Per i video presentati nella mostra “Ambient Tour” sono invece riuscita a lavorare con Ivan Seal e Andrew Moss che hanno fatto un ottimo lavoro, interpretando le mie esigenze e rispondendo con il loro contributo in modo molto personale. Per il prossimo video non utilizzerò la mia voce né musiche particolari, ma avrò un sonoro che capta frammenti di trasmissioni radiofoniche, in cui si alternano pezzi di discorsi, musica e interferenze — fondendosi in un commento al viaggio.
CL: Tempi sembra un omaggio a luoghi senza tempo. La colonna sonora è composta di un ipnotico frinire di cicale e tutto è immoto, a parte le girandole colorate.
DL: Soggetto di questo video sono i trulli di Alberobello e della campagna pugliese, un altro esempio di architettura bioclimatica tradizionale. La staticità delle immagini è legata all’immobilità del contesto: il caldo torrido, il suono delle cicale e la stasi imperturbata restituiscono il ritratto di un tipico pomeriggio estivo. Il video è, in ultimo, un omaggio a queste caratteristiche abitazioni, immutate nel tempo eppure sempre funzionali.
CL: Hai spesso fatto uso di pattern, griglie e cartografie immaginarie, mappe stilizzate che trasfigurano tanto il macro (la città vista dall’aereo) che il micro (la disposizione delle scrivanie in un ufficio) in uno schema rassicurante, apparentemente composto da punti fissi. Tuttavia queste forme continuano a migrare, sovrapporsi o annullarsi.
DL: Queste mappature sono una visualizzazione astratta di configurazioni sociali, politiche ed economiche, di flussi di trasformazione e di cambiamenti di abitudini e prospettive. Le forme richiamano dei pattern modernisti eppure si riconfigurano seguendo i flussi della società contemporanea in cui l’immagine che osserviamo ci suggerisce che, come per Thomas Friedman, “il mondo è piatto”.
CL: Irregular Configuration (2005), prodotto dalla Kunsthaus di Graz, si confronta coi cambiamenti di abitudini della fauna europea in rapporto al fenomeno del riscaldamento globale. Come è nato questo lavoro?
DL: Il lavoro è in parte ispirato al Monumento continuo di Superstudio e alla sua visione provocatoria di un’urbanizzazione totale: immersa nella natura, un’unica enorme struttura, la città, che si espande lungo il paesaggio, all’infinito. Le sequenze animate in Irregular Configuration sono una visualizzazione dello stato di cementificazione del territorio europeo, realizzate sulla base dei dati raccolti dal progetto “Corine (European Commission Programme To Coordinate Information On The Environment)”. Il video riporta inoltre le trasformazioni del paesaggio europeo dovute all’incremento termico, vale a dire i cambiamenti di abitudini della fauna tra migrazione e adattamento, elencando informazioni tratte dai report della European-Environmental-Agency. Il video è nato come un assemblaggio composito di griglie metropolitane, paesaggi naturali e rapporti sotto forma di testi e animazioni che si articolano in una doppia proiezione, in un alternarsi tra paesaggio urbano e naturale.
CL: Anche in questa occasione entra in gioco il concetto di sostenibilità su cui, sin dagli inizi della tua attività, hai intrapreso un’approfondita riflessione. Tale concetto supera il contesto ambientale e ambientalista: riguarda l’ecologia della vita quotidiana, i rapporti umani, gli adattamenti culturali, l’equilibrio interiore in rapporto all’esterno…
DL: Sì, penso si possa considerare una filosofia applicabile all’economia in generale, sia a quella dell’esistenza individuale sia a quella sociale. La sostenibilità è un atteggiamento che si confronta con la consapevolezza che tutto tende a esaurirsi, una teoria che si preoccupa del mantenimento di un equilibrio costante. Robert Smithson per parlare d’entropia, la tendenza dei sistemi organizzati di disintegrarsi nel tempo, usava il monito di Nabokov: “The future is but the obsolete in reverse”.