Ci sono luoghi che hanno contribuito a fare la storia dell’arte. Punti di riferimento dove gli artisti scambiavano progetti e idee dialogando e ricercando. La Fondazione Marconi rappresenta questa tipologia di incontro. Giorgio Marconi fin dalla sua prima, storica mostra del 1965 diventò una cartina tornasole di ciò che accadeva nelle arti visive in quel momento con un occhio di particolare riguardo verso la pittura (senza dimenticare la fotografia, basti pensare all’attenzione verso Man Ray). In quell’anno aprì le porte dello Studio Marconi – così si chiamava la galleria originariamente con una collettiva di quattro pittori allora in voga: Valerio Adami, Enrico Baj, Emilio Tadini e Mario Schifano.
Tadini ha fatto parte di questo nucleo quasi famigliare dagli esordi. L’intellettuale milanese ha assorbito quello che accadeva oltreoceano, dalla Pop art di Warhol, Lichtenstein e altri, alle influenze pittoriche surrealiste europee del gruppo spagnolo Equipo Crónica con Eduardo Arroyo, la Figuration narrative francese di Hervé Télémaque, o ancora la pop colorata di David Hockney e Allen Jones dalla Gran Bretagna. Emilio Tadini era l’intellettuale a cui tutti giravano intorno: uomo carismatico e personaggio colto, critico e raffinato. Nei suoi scritti teorici è infatti tangibile l’attitudine attivista che ha fatto da propulsore nello scambio culturale. La mostra dedicata all’artista concentra l’attenzione a un particolare periodo lavorativo di Tadini, quello dal 1967 al 1972, esponendo una ricca selezione di alcuni corpus di lavori: la serie Vita di Voltaire (1967) e L’uomo dell’organizzazione (1968), legate alla pop art; Color & co. (1969), Circuito Chiuso (1970), Viaggio in Italia (1971), Paesaggio di Malevic e Archeologia (1972).
I quattro piani della Fondazione sviluppano un pathos visivamente crescente, integrando anche il piano inferiore. Le opere dedicate alla figura di Voltaire, dove la metafisica Pop marcatamente personale di un Tadini giovane e vivace – ritraggono un uomo senza volto con giacca e cravatta, accompagnato da figure surreali e grottesche di rinoceronti, elementi di ispirazione e dettagli del quotidiano – fino, salendo di piano in piano, alle opere più frammentarie dove Tadini si concentra ironicamente su oggetti e citazioni di artisti del passato o suoi contemporanei. E ancora: coloratissimi pennelli e vasetti per la vernice (quelli dello yogurt Yomo), rossetti, scarpe, grandi vasche, pistole, elementi geometrici, sedie, arredi di design e manichini dechirichiani. Un micro-mondo colto e articolato che ha segnato un punto importante nella tradizione pittorica italiana.