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5 Giugno 2019, 5:36 pm CET

Hans Josephsohn ICA / Milano di Damiano Gullì

di Damiano Gullì 5 Giugno 2019
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Hans Josephsohn. Veduta dell’instllazione presso ICA, Milano, 2019. Fotografia di Dario Lasagni.
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Hans Josephsohn. Veduta dell’instllazione presso ICA, Milano, 2019. Fotografia di Dario Lasagni.
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Hans Josephsohn. Veduta dell’instllazione presso ICA, Milano, 2019. Fotografia di Dario Lasagni.
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Hans Josephsohn. Veduta dell’instllazione presso ICA, Milano, 2019. Fotografia di Dario Lasagni.
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Hans Josephsohn. Veduta dell’instllazione presso ICA, Milano, 2019. Fotografia di Dario Lasagni.
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Hans Josephsohn. Veduta dell’instllazione presso ICA, Milano, 2019. Fotografia di Dario Lasagni.

Ne La prospettiva come forma simbolica Erwin Panofsky analizza la concezione dello spazio dall’antichità classica a quella moderna per dimostrare come gli artisti rappresentassero la spazialità secondo la specifica concezione che essi avevano del mondo. La prospettiva è quindi una forma simbolica, attraverso la quale si esprimono tanto la soggettività del singolo artista quanto lo Zeitgeist.

Nella rappresentazione artistica, sia essa pittura o scultura, il rapporto della figura con lo spazio cambia allora e si modifica nel tempo come anche convenzioni e ideali estetici vengono, di volta in volta, superati e sovvertiti. Nelle sculture di Hans Josephsohn il ricorso a una pluralità di punti di vista prospettici sempre diversi, lo straniamento delle proporzioni al di là dei canoni condivisi, la fragile monumentalità sono conseguenza e riflesso di questo intreccio.

La storia di Josephsohn – con il suo muoversi dalla Germania a Firenze, che deve lasciare costretto dalle leggi razziali, alla Svizzera – dialoga inevitabilmente con la grande storia collettiva e i drammi della Seconda guerra mondiale e si reifica in un ripensamento della figurazione intenso e struggente, quasi catartico per l’artista. La personale di Josephsohn – la prima in Italia –, organizzata da ICA Milano in collaborazione con il Kesselhaus Josephsohn di San Gallo e a cura di Alberto Salvadori, costituisce un acuto momento di scoperta e riscoperta di questo seminale protagonista della scultura del secondo Novecento.

Un ampio corpus di opere in ottone, creta e cemento, disegni preparatori e un docufilm ne documentano pratica e poetica dagli anni Cinquanta fino ai primi anni 2000. Negli spazi di ICA si alternano le varie tipologie in cui lo stesso Josephsohn ha classificato il proprio lavoro: teste, mezze figure, figure in piedi, figure distese, rilievi. Partendo da “qualcosa di vivo”, dal quotidiano – molte delle figure femminili ritratte hanno avuto un ruolo importante nella vita di Josephsohn – l’artista riconduce volti e corpi a pochi tratti essenziali, si sofferma sui dettagli, li ingrandisce, li deforma, per astrarli, sfidando mimesi, verosimiglianza e illusione. Ne risultano figure “parziali”, di forte immediatezza espressiva, ancestrali ma estremamente contemporanee, che conservano in nuce la ieraticità dell’amata statuaria etrusca, scoperta dall’artista durante i suoi soggiorni in Italia. Fondamentale la materia – che è mezzo e fine –, la sua plasticità e l’interazione con l’ambiente e la luce, come ben evidente nei rilievi.

L’opera di Josephsohn è stata definita “plastica esistenziale”. E davvero definizione non poteva essere più calzante nel sintetizzare la straordinaria capacità dell’artista di parlare, attraverso le sue sculture – a tratti malinconiche, a tratti ironiche – dell’uomo e del suo incerto essere nel mondo.

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