Come si impara rapidamente quando ci si avvicina al mare, la complessità risuona costantemente durante la ricerca. Gli oceani sono un campo in cui la “conoscenza” non ha trovato ancora una sua stabilità, ne conosciamo appena il 5%. I sensi terrestri di tempo, geografia, gravità, volume, scala e movimento andrebbero nuovamente valutati attraverso una prospettiva allargata e olistica, il più delle volte non direttamente in dialogo con la nostra esperienza occidentale del mondo che tende a separare scienza e sensorialità, analisi e intuizione.
La complessità oceanica non è comprimibile, quindi l’unica metodologia che si adatta alla produzione di conoscenza intorno agli oceani è quella che non riconosce alcun dogma ma rimane altresì fluida su tutti i livelli, radicalizzando la combinazione di soggetti e dati che inizialmente sembrano non condividere alcuna connessione.
L’attuazione di tutto questo però necessita di un cambio di prospettiva a priori, in cui la cultura del progetto si pone come pratica critica che mette in discussione le modalità convenzionali di abitare e sperimentare il mondo, basate sul controllo umano e sullo sfruttamento di altri esseri. In tal senso autori – siano essi pensatori, artisti o designer – e istituzioni potrebbero intervenire in campi che necessitano della loro capacità di traduzione, identificando sfide e ineguaglianze così come beni comuni non ancora valorizzati, e aprendo spazi di trasgressione. È necessario capire dove ci si situa, quali sono posizioni e punti di vista adottati per non ricorrere a quello che Donna Haraway definisce provocatoriamente il “God-Trick”1: un trucco basato sull’illusione di eliminare il “corpo” della conoscenza. Come vedere? Da dove vedere? Cosa limita la visione? Per chi vedere? Con chi vedere? Chi riesce ad avere più di un punto di vista? Chi viene accecato? Chi indossa i paraocchi? Chi interpreta il campo visivo? Quali altri poteri sensoriali desideriamo coltivare oltre la visione?
Il pensiero ecologico oggi – in vista delle urgenze ambientali, dell’estinzione delle specie e dei cambiamenti climatici – potrebbe essere un altro modo per praticare le conoscenze situate e collegare questo concetto con la nozione di post-umano2, suscitando potenzialmente nuove forme di solidarietà con gli altri esseri. Questa tendenza ci invita a un pensare interconnesso generato da una collettività di produttori di conoscenza, e che tuttavia perde i suoi confini e ne complica la forma.
Tornando all’oceano, sia che esso si divida nei suoi rumori (Serres, 1996), nei suoi microbi (Helmreich, 2009), nelle sue molecole (Steinberg, 2011) o nelle sue risonanze affettive (Bachelard, 1994; Michelet, 1861), ci si confronta continuamente con il paradosso che qualsiasi tentativo di “conoscere” questa entità smembrando le sue parti costitutive può solo rivelarne la sua inconoscibilità quale oggetto idealizzato stabile e singolare (Connery, 1996).4
Queste riflessioni nascono da una conversazione con Markus Reymann, direttore di TBA21-Academy, piattaforma culturale che dal 2011 promuove una comprensione più profonda degli Oceani guidando artisti, scienziati e leader di pensiero in spedizioni di scoperta collaborativa.
Il centro del discorso rimane il cambio di paradigma che riguarda la produzione di conoscenza pensata come scambio tra le discipline, oltre all’utilizzo delle potenzialità dell’arte quale veicolo di comunicazione, cambiamento e azione. La ricerca di TBA21-Academy dimostra quanto siano correlate l’esperienza collettiva dei corpi e la formulazione di pensiero attorno agli Oceani.
“Quando elabori quello che succede vivendo insieme a un gruppo di persone per lo più sconosciute per due settimane sull’oceano, realizzi che questa è una sorta di scuola di pensiero. Sebbene il tuo corpo sia in costante oscillazione, ti ci abitui. Questa fisicità fuori controllo, gli spazi limitati da condividere, sono tutte pratiche che a un certo punto si fondono in una cosa unica. E poi, c’è l’esposizione agli elementi, al movimento, attraverso cui si comprende l’alterità dell’oceano. Questa esperienza immersiva è a sua volta trasformativa, un lavoro generato in una temporalità collettiva e oceanica”.
–– Markus Reymann.
Su commissione dell’istituzione a ogni spedizione organizzata su Dardanella, la barca-simbolo di TBA21-Academy, segue un progetto a lungo termine, nato sulle onde, tra le correnti oceaniche, tra corpi umani e pensieri multidisciplinari, che viene poi sviluppato al rientro dagli autori coinvolti.
Il progetto più recente “Territorial Agency: Oceans in Transformation” ha appena inaugurato su Ocean Archive – lo spazio virtuale per la condivisione decentralizzata sulla conoscenza degli Oceani gestito da TBA21-Academy – e avrà la sua dimensione fisica a Ocean Space, nella Chiesa di San Lorenzo a Venezia.
Iniziato tre anni fa alla luce di una conversazione con Reymann, il lavoro di Territorial Agency –organizzazione indipendente che combina architettura, analisi spaziale, difesa e azione per influenzare il cambiamento dell’ambiente abitato – è partito da una riflessione sull’innalzamento del livello del mare in termini spaziali, da cui sono emerse una serie di domande: qual è l’impatto di una rapida urbanizzazione sulla costa? Che cosa significa per lo scioglimento delle calotte di ghiaccio? Per i livelli di carbonio nell’aria? Per il declino degli stock ittici? E quello delle barriere coralline? Le estensioni delle linee di produzione hanno cominciato a emergere e a far vedere che, se fuse insieme, non c’è distinzione tra terra e mare. Si estendono solo nell’oceano o dall’oceano sulla terra.
“Le aree di ricerca in mostra sono rappresentate attraverso una serie di traiettorie che Territorial Agency ha tracciato in tutto il mondo, visualizzando nuove connessioni: un esempio è la relazione tra l’incendio dell’Amazzonia e l’inverdimento del Sahara, e il modo in cui l’oceano connette questi agenti, lo stesso oceano che ingloba anche il concetto dell’Atlantico nero[1]. C’è una connessione tra dati ambientali, culturali, storici che non si è mai vista tutta insieme in un’analisi. Quest’ultima indica le enormi trasformazioni negli oceani attivate dagli stessi, uno spazio che ci viene comunicato come principalmente vuoto.
Nel caso di “Territorial Agency: Oceans in Transformation” la ricerca, la raccolta e la curatela dei cospicui dati oceanici ottenuti tramite sensori, satelliti e centri di controllo in tutto il mondo, vengono modellati insieme così da ottenere un rendering leggibile. E questo trova un’espressione in innumerevoli strati di visualizzazione, poi trasformati in un’immagine in movimento”.
–– Markus Reymann.
L’immagine in movimento è ricorrente tra le produzioni sostenute da TBA21-Academy, come se l’intento fosse quello di riformulare il mondo “sentendo” gli Oceani, creando così nuovi significati attorno alla sua percezione. L’autore tedesco Ingo Niermann in 5, propone nuovi immaginari su come innamorarsi del mare, perché l’amore inter-specie diventi cura e possa calmare la bulimia estrattiva che viene esercitata sugli oceani. Questo concetto trova un’empatia maggiore nel film da lui diretto Sea Lovers (2020) le cui immagini sono state filmate durante “The Solomon Excercises”, la seconda spedizione di TBA21-Academy condotta da Chus Martinez.
Ancora, nei teatri progettati per “Moving off the Land II”, Joan Jonas rende omaggio all’oceano e alle sue creature facendo tuffare lo spettatore in un mondo acquatico dove la stratificazione di immagini in movimento espande la narrativa in uno spazio-tempo oceanico. Performance, poesia e prosa inscenati nella commistione di nuotate con esseri acquatici, collaborano a creare quei legami – torti e da riconnettere – riguardanti la relazione complessa dell’uomo con l’ambiente.
Indipendentemente dal formato scelto dunque, la complessità della ricerca di TBA21-Academy sembra concentrarsi su quella parentela tra mondi, corpi, pensieri, domini diversi che, per tornare ad Haraway, si fa forma etica del pensare con, supportando pratiche artistiche fondamentali per immaginare un futuro di migliore coesistenza con la natura oceanica.
Anche in questo momento di staticità e di confinamento globali, la prossima spedizione di “Life for Beginners”, ciclo diretto da Chus Martinez e in collaborazione con l’HGK FHNW di Basilea, avverrà su Ocean Archive. Una serie di film d’artista affronta il come, in assenza dell’oceano, abbiamo bisogno di imparare a muoverci come onde, pensare come l’acqua, respirare come pesci, sentire come la natura.
Dal punto di vista istituzionale dunque, è sempre una forma di negoziazione, su scale diverse, ma interconnesse: che si tratti di una spedizione, della collaboratività che una mostra complessa richiede, della selezione dei borsisti che sonderanno nuove possibilità alla ricerca, o dell’attuare nuove forme di fruizione, la produzione di conoscenza può assomigliare all’interconnessione degli agenti oceanici e alla loro distribuzione sul globo come forma di salute circolare. E la stessa istituzione si pone sempre la stessa sfida, ovvero rimanere intrinsecamente trasformativa senza perdere il proprio nucleo, ma elaborando contorsionismi e nuove forme di solidarietà sulla base di quei gradi di parentela.
Rimane quindi da elaborare la domanda, ogni volta diversa e generativa: come e che cosa, insieme?