Sono le 9 del mattino e incontro Ferran Adrià all’interno della Sagrada Familia. Mi spiega che ama visitarla almeno una volta all’anno e mi dice che gli piacerebbe iniziare qui l’intervista.
Maurizio Cattelan: Ferran, quando oggi ti sei svegliato e guardato allo specchio, cosa ti è venuto in mente pensando allo chef Ferran Adrià?
Ferran Adrià: Sicuramente ho pensato che ho la fortuna di fare qualcosa che mi piace, considerando sia i momenti belli che quelli meno belli, e che il mio scopo è quello di conoscere i limiti di ciò che faccio.
MC: Non sei stanco di Ferran Adrià?
FA: Non sono stanco di Ferran Adrià lo chef. Certe volte sono stanco di Ferran Adrià il personaggio, ma seguo questo principio: non ti preoccupare di ciò che non puoi cambiare e, per ora, non c’è nulla che io possa cambiare riguardo al personaggio Ferran Adrià.
MC: Come immagini che Gaudì avrebbe considerato la tua cucina?
FA: Non so. La verità è che chi è all’avanguardia in un determinato settore non è necessariamente interessato a quella che è l’avanguardia in altri campi.
Facciamo un giro all’interno della Sagrada Familia e ho come la sensazione di essere su un altro pianeta.
MC: Ferran, potresti immaginare un mondo nel quale non è necessario nutrirsi?
FA: Wow, non ci sarebbe ragione per cucinare. Devo partire dalla constatazione che la cucina d’avanguardia ha origine dal bisogno di nutrirsi. Questa è la grossa differenza rispetto alle altre pratiche artistiche. Sarebbe meraviglioso vivere su un pianeta dove mangiare fosse solo un fatto puramente emozionale.
Una volta che il genio di Gaudì ha raggiunto le nostre anime, Ferran mi chiede di andare con lui a El Taller de Puertaferrissa dove, per sei mesi all’anno — quest’anno nove perché il ristorante ha cambiato il periodo d’apertura —, egli crea ciò che costituisce la struttura creativa di elBulli.
MC: La componente creativa è giudicata un valore in cucina?
FA: In un ristorante no. All’interno di una medesima categoria, un ristorante non è più costoso per il fatto di essere più creativo di un altro. Voglio dire, la creatività oggi non è un punto in più. Magari, in futuro, le cose cambieranno.
MC: Esistono, nel mondo della gastronomia, ruoli comparabili a quello del mercante o del gallerista?
FA: Forse quando lo chef possiede un ristorante all’interno di un albergo; in quel caso l’albergo potrebbe essere considerato come una galleria e funzionerebbe in quanto tale. Quando uno chef possiede un ristorante, egli può creare e vendere il frutto del suo lavoro senza figure intermediarie. Per un professionista creativo questo è fantastico. Il ruolo del mercante invece lo si può trovare laddove chef e ristoratore non coincidono. In quel caso si potrebbe parlare di “agente” o “consulente”.
MC: Ciò significa che, dal momento in cui crei fino a quello in cui sei effettivamente al lavoro, sei completamente libero?
FA: La cucina d’avanguardia non è un business redditizio; quindi, o hai altre risorse finanziarie che ti danno la libertà di cui hai bisogno, o ti trovi a dover chiudere l’attività. Per quelli che come me sono abbastanza fortunati da aver trovato altre fonti di profitto, la cucina d’avanguardia offre una libertà eccezionale.
MC: Il tuo ego creativo è soddisfatto?
FA: Non era mia intenzione diventare uno chef, tanto meno dedicarmi alla creatività; ecco perché considero tutto ciò che ho ottenuto in questo ambito come un dono. Per un individuo creativo che vuole continuare a essere positivo verso la propria professione così come verso la propria vita questa attitudine è essenziale.
Mi aggiro per El Taller e noto un disegno di Matt Groening raffigurante Ferran come un personaggio de I Simpson. È la copertina del libro Food for Thought, Thought for Food scritto da Vicente Todolí e Richard Hamilton.
MC: Ferran, cosa significa per te questo libro?
FA: Senza alcun dubbio è il regalo più bello della mia vita. Che due persone come Vicente e Richard abbiano dedicato un anno e mezzo della loro vita a spiegare cosa è la cucina, in quanto linguaggio, e il suo possibile dialogo con l’arte, fa di questo libro un’icona per l’intero mondo della gastronomia.
MC: Sarò capace di comprendere elBulli e il tuo lavoro attraverso questo libro?
FA: Questo libro aiuta particolarmente a comprendere che l’aspetto interessante della cucina d’avanguardia non sta dietro le quinte, come molte persone del settore credono. La cosa davvero interessante è il risultato finale, le emozioni provate dalle persone che vengono a mangiare in un ristorante di questo tipo. Se poi qualcuno volesse conoscere meglio il lavoro che vi è dietro, la cosa migliore sarebbe studiare il Catalogo Generale di elBulli.
MC: Ferran, puoi nominare un piatto bulgaro, per favore?
FA: Non ne ho idea, non conosco nemmeno la lingua bulgara. Quello della gastronomia è un linguaggio infinito, molto complesso e impossibile da conoscere a fondo. Gli chef hanno semplicemente un po’ più di esperienza in cucina rispetto al resto della gente.
MC: Come crei un nuovo piatto?
FA: È molto semplice: tu hai un’idea, la sviluppi e, se funziona, crei un nuovo piatto. La cosa difficile è farsi venire l’idea, questo è qualcosa che non si può imparare, tutto il resto sì.
MC: Brevemente, puoi descrivere la tua cucina?
FA: Noi siamo alla ricerca di emozioni attraverso l’esperienza di qualcosa di nuovo, ma se vuoi conoscere più a fondo gli elementi alla base della nostra cucina, sul sito web di elBulli vi è una sintesi della nostra arte culinaria che, in 23 punti, spiega molto bene il nostro lavoro.
Sono le 2 del pomeriggio e Ferran mi invita a pranzare con lui al ristorante giapponese Koy Shunka, dove mi dice che il suo amico Hideki prepara il miglior sushi d’Occidente.
MC: Perché mi hai portato in questo ristorante?
FA: Sai cosa mi interessa di più del cibo? Il nutrimento dell’anima. E questo è ciò che succede quando vengo qui a mangiare.
MC: È importante per te che la tua cucina sia apprezzata?
FA: Voglio che la gente provi emozioni attraverso quello che faccio. E non solo per via dell’implicita componente sensoriale. La provocazione, l’ironia, l’umorismo giocano un ruolo importante all’interno dell’esperienza emozionale.
I nigiri-sushi vengono serviti e Ferran mi spiega che qualcosa di così semplice come una pallina di riso con un pezzo di pesce o un frutto di mare all’interno può diventare da buono a magico: la qualità del riso e la sua cottura, il taglio del pesce e, cosa ancora più importante, il bilanciamento tra la temperatura del riso e quella del pesce e il tempo che impieghi per mangiarlo. E poi non devi mai aggiungere alcun condimento perché lo chef ci ha già pensato.
Per Ferran i nigiri-sushi sono effimere sculture viventi con le quali si confronta ogni volta che viene in questo ristorante.
MC: Cosa pensi del cibo giapponese?
FA: Sono stato per la prima volta in Giappone nel 2002 e, senza alcun dubbio, la cucina giapponese ha influenzato enormemente la mia carriera. Il Giappone è un altro pianeta. La loro cucina e la loro cultura sono completamente differenti dalle nostre. Non usano la tovaglia e non hanno i coperti. Non ci sono né vino né pane. Tutto è molto diverso rispetto al nostro modo di intendere il cibo. Ma ciò che più mi interessa sono le sensazioni. Quando loro cucinano c’è qualcosa che tu non puoi vedere ma solo percepire. Qui sta la differenza tra la cucina giapponese e quella occidentale.
MC: Cosa vuoi dire? Non capivi la loro cucina mentre eri là?
FA: Esattamente. Non l’ho compresa allora e credo che non ci riuscirò mai. Perché bisogna vivere là un bel po’ di tempo per poter capire la loro cultura. L’unica cosa che voglio quando vado in Giappone è ricevere delle forti emozioni.
MC: Ti preoccupano le polemiche che circondano il tuo lavoro?
FA: Per niente, anche se capisco che dove c’è un’avanguardia c’è anche una anti-avanguardia con la quale devi convivere per il resto della tua vita.
MC: Anche se pensi a te stesso solo in quanto chef e nient’altro?
FA: Io sono uno chef, certo, ma quello che faccio può avere conseguenze anche fuori dal mondo della gastronomia. Comunque non c’è modo per noi di tenere la cosa sotto controllo.
MC: Dopo la tua esperienza a documenta 12, cosa pensi del mondo dell’arte?
FA: Penso esattamente ciò che penso del mondo gastronomico: che c’è dentro un po’ di tutto. Ma alla fine bisogna prestare attenzione solo a ciò che si trova di positivo. In questo senso è stato molto importante per me scoprire la sensibilità che circonda il mondo dell’arte.
Dopo aver passato un’ora ad assaggiare sushi, torniamo a El Taller, dove sarò spettatore del lavoro creativo di Ferran e della sua squadra.
Alle 19.30 andiamo da Inopia, un tapas bar nel distretto L’Eixample. Il nostro viaggio sta per finire e durante la corsa in taxi gli rivolgo la mia ultima domanda.
MC: Ferran, non ne hai abbastanza di doverti giustificare per quello che fai?
FA: Sì, un po’. Ma d’altra parte la divulgazione del nostro lavoro a elBulli è molto importante. Essendo una cucina densa di riferimenti necessita di essere spiegata.