Mio padre camminava sempre veloce, tanto che – soprattutto quando ero bambino – era difficile stargli al passo. Veloce nell’azione così come nel pensiero, non era però un uomo frettoloso. Anzi: spesso criticava quella smània dei tempi moderni che spinge adulti e bambini a mangiare in fretta, a giocare in fretta, a studiare in fretta, a guadagnare in fretta, a vivere in fretta, per poi morire di colpo. Perché – diceva – in questa frenesia dell’accelerazione non ci si accorge che quei gesti fulminei dei ninja-karateka, quelle veloci pennellate del maestro calligrafo, sono il risultato di un lento e lungo lavoro fatto di accurate osservazioni, di finissime misure, di aggiustamenti minuziosi. La maestria e la padronanza del gesto che fanno l’eccellenza del buon artigiano e del vero artista, si conquistano muovendosi con estrema cura e lentezza.
Infatti quando, con la sua rapida camminata, mio padre raggiungeva il suo studio per esplorare materiali e forme nuove, ecco che il suo muoversi veloce si tramutava in un’attenta lentezza. Ricordo che da bambino passavo ore ed ore ad osservare affascinato la lenta accuratezza dei suoi movimenti e la precisione millimetrica dei suoi gesti. Il suo studio era una specie di oasi temporale dove tutto invitava a rallentare la corsa, a soffermarsi con calma sui minimi dettagli, a prendersi il tempo necessario per esplorare con cura tutte le caratteristiche e le proprietà di un materiale, di un gesto, di uno strumento. Imparai così che la maestria e la padronanza che fanno l’eccellenza dell’artista si conquistano muovendosi con accurata lentezza, per poter cogliere anche il più minimo dettaglio che rende il gesto intelligente. Prima di affrettarsi a disegnare, dipingere o progettare, mio padre si dava sempre il tempo di studiare bene i materiali sui quali operava: superfici, textures, spessori, elasticità…
Il percorso della ricerca – sia essa scientifica, tecnologica o artistica – ha i suoi tempi lenti, necessari per esplorare, provare, ricominciare, soffermarsi a riflettere, teorizzare, verificare. Volerli accelerare porta inevitabilmente a togliere senso e interesse alla ricerca; spingere a tutti i costi verso un rapido raggiungimento del risultato finale non può che distruggere le potenzialità educative del percorso che ci permette di raggiungerlo. Perché è soprattutto il percorso che è educativo, più che il risultato! Questo dovrebbe essere il principio di fondo di ogni azione educativa: dare tutto il tempo necessario per la sperimentazione accurata e la libera riflessione, e ritardare il più possibile il momento della conclusione. Perché la risposta chiude e cancella l’universo di possibilità che la domanda aveva aperto. Anche mio padre era molto più interessato alle domande che non alle risposte. E ad una domanda in particolare: come si potrebbe fare diversamente? Questa domanda, che usava ripetere spesso, a sé stesso prima ancora che agli altri, e che è stata il motore di tutte le sue ricerche, sia di design che artistiche, diventò presto anche per me uno stimolo costante, una guida che ha accompagnato tutta la mia crescita intellettuale, da bambinetto a scolaro, poi da studente a professore universitario. Nella sua apparente semplicità infatti, quella domanda riassume molto bene ed al tempo stesso rende operativo in modo facilmente comprensibile uno dei principi più fondamentali della ricerca scientifica: l’esplorazione sistematica di tutte le possibili variazioni di un’azione. Non possiamo certo sostituirci al bambino nel suo processo di costruzione mentale: questo infatti non può essere che un’esperienza intima e personale; possiamo però creare ed allestire dei contesti particolari, degli scenari studiati appositamente per favorire l’emergenza delle necessarie coerenza e sinergia tra più processi di interazioni, situati a più livelli di organizzazione, che sono all’opera nello sviluppo cognitivo, affettivo e sociale di ogni individuo.
È proprio questo che Bruno Munari intese realizzare con le sue opere rivolte ai bambini: allestire degli spazi e degli scenari dove sia possibile esplorare in modo intenzionale e consapevole – e non distratto e casuale – le diverse interazioni tra l’azione del gesto e le resistenze della materia, offrendo la più ricca varietà possibile di esperienze visive e tattili; dove sia possibile far interagire diverse strategie di esplorazione, tramite il confronto attento e dialogato tra le proprie azioni e quelle degli altri soggetti che stanno condividendo le stesse esperienze; dove ogni forma di giudizio preconcetto – sia esso estetico, pratico o morale – è momentaneamente sospeso durante tutte le fasi di esplorazione e di confronto, lasciando così libero spazio al piacere della meraviglia e all’entusiasmo della scoperta; dove l’adulto non impone la sua presenza né le sue direttive ma è sempre attento a cogliere ogni più piccola occasione per sottolineare l’intelligenza di un gesto e favorirne così la presa di coscienza, senza però mai voler colonizzare con il proprio vissuto l’esperienza sempre individuale e singolare della costruzione di un pensiero consapevole. È in questo modo, affrettandosi lentamente, alla ricerca di domande più che di risposte, che va assaporata la ricchezza del percorso che ha portato a questa eccezionale e multiforme produzione di Bruno Munari. Solo così, affrettandosi lentamente come faceva il Maestro, si può cogliere appieno la raffinatezza del suo pensiero creativo.