L’assenza di un confine netto tra concetti generalmente opposti alimenta le opere di Francesco Barocco, connotandole di una valenza semantica profondamente variegata. L’attenzione per la sfera del sacro rappresenta una costante per l’artista, che nelle sue opere cita con disinvoltura i maestri della Storia dell’Arte, senza scadere in una sterile dimostrazione di velleità intellettuali, bensì creando un legame tra discipline diverse, su cui si fonda lo ‘scibile’ dell’artista.
Già a partire da Senza Titolo (2004), Senza Titolo (2006) e Senza Titolo (Piero Della Francesca) (2006), il Crocifisso di Cimabue e di Giunta Pisano, o la portata innovativa della composizione prospettica di Piero della Francesca diventano un semplice riferimento formale e il punto di partenza per una riflessione e rielaborazione personale sulla scultura, l’architettura e il design.
Una leggenda lega una delle opere più popolari della storia della scultura del Settecento a un personaggio tanto misterioso quanto ambiguo. Raimondo di Sangro, meglio conosciuto come il principe di Sansevero, era uno degli scienziati più eminenti della nobiltà napoletana del Settecento. Il principe sarebbe appartenuto a una setta massonica di alchimisti ed esoterici; da grande anatomista quale fu, fece imbalsamare una giovane coppia che era al suo servizio.
Nella cappella Sansevero a Napoli si conservano oggi le “Macchine anatomiche”, i corpi dei due giovani e del feto nel grembo della donna, iniziandola a un rito che reca chiare tracce di simboli massonici e templari e che trova continuazione nei marmi e nella scultura del Cristo Velato di Giuseppe Sammartino, memento mori su cui si anima uno straordinario gioco di panneggi.
Nella serie Partecipation mistique (2009) di Barocco, nove stampe fotografiche in bianco e nero si soffermano sui particolari delle sculture di Sammartino e Corradini, attraverso accostamenti o semplici close-up che stabiliscono una relazione con lo spettatore simile al concetto che Freud definisce “perturbante”, come ammette l’artista. L’opera rivela un legame con la connotazione magica delle antiche sculture, e un riferimento all’esoterismo di certe immagini pagane raffiguranti i miti di Iside e Osiride. Il confine tra trascendenza ed esoterismo, sublimazione ed erotismo, rivelato da un accostamento per immagini di vecchi libri sulla scultura, trova innumerevoli riferimenti anche nella storia dell’arte precedente al Settecento, come l’Estasi di Santa Teresa d’Avila del Bernini.
L’utilizzo di un immaginario composto da simboli legati alla sfera erotica ritorna nel collage Senza Titolo (2009), che possiede invece riferimenti alle avanguardie storiche. L’opera nasce infatti dalla personale interpretazione dell’artista di un racconto dei romanzi per immagini di Max Ernst. La figura mitica di una donna dalle cento teste (La Femme 100 têtes) assume l’aspetto di una capigliatura femminile arricchito di spunti surrealisti.
Se la pratica del collage, o ancora dell’assemblage, rivela un aspetto principalmente bidimensionale, capace di fare emergere elementi inconsci, il processo manuale dell’incisione opera a vantaggio dell’aspetto grafico del lavoro mostrando sbavature di inchiostro, tracce di materia e le imperfezioni del supporto.
Nella serie Senza Titolo (2009), l’incisione è utilizzata piuttosto come una tecnica tridimensionale, che offre lo spunto per un’ulteriore riflessione sulla scultura. La disciplina dell’incisione lavora nello spazio, dove la lastra “ha un potenziale enorme nei tre millimetri dello zinco”, afferma Barocco, e dove “ogni singolo segno è un piccolo solco che poi si riempie di inchiostro”. Lo strumento del raschietto diventa il mezzo per operare secondo modalità scultoree, lavorando sugli strati di materia. Un’incisione raffigura una maschera funebre greca, dall’aspetto avveniristico di un guerriero alla Blade Runner: il processo di raschiatura ha eliminato la materia in eccesso e ha rivelato forme inaspettate.
Ogni incisione, infine, è protetta da una “gabbia” in ottone, un materiale che, ossidandosi, trattiene e mostra le impronte digitali e gli agenti del tempo sulla materia e che l’artista predilige perché “molliniano”, ovvero “magico, anacronistico, decadente”.
Nella serie di incisioni, la grata assume una veste concettuale oltre che scultorea: a cornici e basamenti sono attribuiti dei ruoli non soltanto funzionali, ma anche formali, e la cornice/gabbia diventa scultura a sé stante.
Il basamento delle opere Senza Titolo (2009), esposte alla GAM di Torino nell’ambito della mostra “I giovani che visitano le nostre rovine non vi vedono che uno stile”, rivela allo stesso modo una pratica di rovesciamento della sua funzione, e i piedistalli che reggono e contengono le immagini fotografiche diventano inoltre accattivanti come un oggetto di design.
L’aspetto magico che rintracciamo nelle opere di Barocco si palesa ancora più chiaramente nella scultura Esagramma (2008), che rappresenta quattro sentenze de I Ching, dove le quattro facce della scultura corrispondono ognuna a una domanda che l’artista ha rivolto all’oracolo.
L’opera diventa dunque una forma di autoanalisi, in cui l’aspetto psicoanalitico e più concettuale dell’intuizione assume la forma di un modulo quadrato dove è possibile decifrare le combinazioni rivelate interrogando l’oracolo.
L’aspetto sistematico della pratica de I Ching, che prevede novanta combinazioni possibili, ognuna data dalla combinazione numerica di tre monete, è inoltre da mettere in relazione con la ritualità del setting psicoanalitico. Un oracolo personale, che si rintraccia in altre opere, come nella scultura di piccole dimensioni Indovino (2009), in Autoritratto (2009), o in L’essenziale è indicibile (2008), quest’ultima realizzata con la tecnica del frottage.
La funzione della tecnica nell’opera di Barocco rappresenta un omaggio alla tradizione, che controlla una buona parte dell’opera; ma che subito dopo si impossessa di reminiscenze inconsce e approda a terre lontane, dall’antichità dei miti pagani, al misticismo nella tradizione iconografica cristiana, fino alla filosofia del pensiero orientale. È nel momento in cui l’opera diventa “indicibile”, infatti, che “ciò la separa da un’ipotesi di scuola”.