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14 Luglio 2015, 11:50 am CET

Gian Paolo Striano di Marco Tagliafierro

di Marco Tagliafierro 14 Luglio 2015
Gian Paolo Striano, Dissolution, 2011. Olio su bobina in polietilene, cuscinetti a sfera, 250 x 40 x 50 cm. Courtesy Blindarte contemporanea, Napoli.

 

Gian Paolo Striano, Dissolution, 2011. Olio su bobina in polietilene, cuscinetti a sfera, 250 x 40 x 50 cm. Courtesy Blindarte contemporanea, Napoli.
Gian Paolo Striano, Dissolution, 2011. Olio su bobina in polietilene, cuscinetti a sfera, 250 x 40 x 50 cm. Courtesy Blindarte contemporanea, Napoli.

Marco Tagliafierro: Dotate di un primordiale potere energetico ed evocativo, grazie alla loro vitalità espressiva, le immagini costituiscono i principali veicoli e supporti della tradizione culturale e della memoria sociale, che in determinate circostanze può essere “riattivata e scaricata”. Come ti poni rispetto a questo pensiero? 

Gian Paolo Striano: Anche le forme archetipiche che per convenzione associamo alla sfera della figuratività sono sempre il risultato di una combinazione di elementi puramente astratti. È interessante analizzare in che modo avviene il processo di attivazione: un artista d’altronde non fa altro che questo, proporre suggestioni che nel migliore dei casi inducono un qualche tipo di associazione. L’Arte Concettuale, alla quale attinge molta parte della produzione contemporanea, ha marginalmente modificato questo processo, sostituendo alla suggestione un punto di vista univoco che non dà adito a divagazioni: è una verità rivelata.

MC: La giustapposizione di immagini, impaginate in modo da tessere più fili tematici attorno ai nuclei e ai dettagli di maggior rilievo, provoca nello spettatore un processo interpretativo aperto, “la parola all’immagine”?

GPS: Tutte le immagini, anche se puramente documentarie sono il risultato di scelte e interpretazioni. Anche il solo guardare senza alcuno strumento tecnico richiede un filtraggio attraverso il nostro vissuto e i nostri organi; El Greco per esempio dipingeva figure umane allungate perché affetto da un difetto oftalmico, questo per dire che le immagini possono parlare solo per trasposizione. Che un’opera possa vivere autonomamente e in maniera esaustiva solo della propria presenza è un’aspirazione che chiunque fa arte dovrebbe inseguire, come in un film la sceneggiatura perfetta permette di comprendere la trama senza necessità di spiegazioni da parte degli attori. Per risponderti, la parola è data all’immagine, la stessa parola scritta è un’immagine.

MT: È possibile pensare a un’ambientazione come a una macchina, una sorta di gigantesco condensatore che si pone lo scopo di illustrare i meccanismi di tradizione di temi e figure del recente passato visivo e anche di quello più remoto, attraverso formule espressive dettate dall’emozione?

GPS: Nella mia ricerca la scelta dei materiali riveste un ruolo fondante, la materia porta con sé un valore sociale e una scala di nobiltà; quando decido di usare una sostanza, mi aspetto che essa svolga proprio la funzione di condensatore di cui parli. Mettere lo spettatore a contatto con elementi reali e nocivi genera automaticamente una partecipazione emotiva o una repulsione. La sabbia mista ai metalli pesanti, il tufo intriso di rifiuti edili, il Teflon, l’Eternit, lo scarto della lavorazione industriale del ferro, la giada cinese: sono tutte materie che ho usato e che da sole introducono un argomento e una storia, questo perché, a differenza di altre espressioni artistiche, la scultura lavora effettivamente con il dato del reale e non solo con la sua rappresentazione.

Marco Tagliafierro è critico d’arte e curatore. Vive e lavora a Milano.

Gian Paolo Striano è nato nel 1977 a Napoli, dove vive e lavora.

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