Gianni De Luca (1927 – 1991) è un autore che ha attraversato il Novecento del fumetto italiano da protagonista; un autore al tempo stesso discreto e rivoluzionario. Discreto come figura pubblica, rivoluzionario per il linguaggio, che ha influenzato artisti internazionali da Frank Miller a Dave McKean, da Bill Sienkiewicz a Vanna Vinci. Non è quindi un caso che nel 2008 il Festival internazionale di fumetto BilBOlbul, a Bologna, gli abbia dedicato una mostra antologica, un convegno e un volume di saggi col titolo di “De Luca. Il disegno pensiero”. Una mostra con circa duecentocinquanta opere, dalle tavole degli esordi su Il Vittorioso (“Il mago Da Vinci”, 1947) alle illustrazioni e copertine per Il Giornalino, fino ai capolavori: Il commissario Spada, la trilogia shakespeariana, Paulus, gli adattamenti di Il giornalino di Gian Burrasca e La freccia nera. L’obiettivo dell’operazione era chiaro: evidenziare la ricerca grafica di De Luca, la sua consapevolezza teorica del linguaggio e delle potenzialità pedagogiche del medium – come risulta anche dal volume pubblicato a corollario (Black Velvet, Bologna 2008), con contributi critici imprescindibili della figlia di De Luca, Laura, e di editori e studiosi come Antonio Faeti, Gianni Brunoro, Luigi Bernardi, Luca Raffaelli e Paul Gravett.
A dire il vero il lavoro di De Luca aveva già interessato tanti suoi contemporanei. Ma dopo la morte dell’autore, l’editoria sembra dimenticarne l’opera, della quale le Edizioni San Paolo avevano già dato parziale ristampa. È infatti solo negli anni Zero che si assiste a una vera e propria riscoperta della produzione deluchiana, attraverso le ripubblicazioni di Edizioni BD, Black Velvet e Alessandro Editore, e l’inclusione de Il commissario Spada. Milano Criminale nei “Grandi classici del fumetto – Serie oro” di la Repubblica. Dal 2008 si moltiplicano i contributi critici. Si parlerà di “classico moderno”[i] e a De Luca saranno dedicati approfondimenti e trasmissioni radiofoniche.[ii] Ruolo importante in questo recupero lo hanno avuto anche siti che hanno proposto i testi dell’autore (come ad esempio corrierino-giornalino.blogspot.it) o iniziative di editori come Mondadori, che nel 2008 ha pubblicato Il commissario Spada. Gli anni di piombo, una selezione di avventure di uno dei personaggi deluchiani più noti, un poliziotto vedovo con un figlio adolescente nella Milano degli anni Settanta. O come Edizioni San Paolo, che ripubblica – sempre nel 2008 – Paulus, la storia dell’omonimo alieno che, con un particolare riproduttore di eventi storici, osserva la vita di San Paolo, in un futuro dominato dal malvagio SATS (Supremo Autocrate Tempo Spazio). O ancora l’uscita di Disegni invisibili. Pensieri e parole di un maestro del fumetto italiano, conversazioni con Laura De Luca sul fumetto e sull’educazione all’immagine (Audino, Roma 2012)[iii]; o le riedizioni di Black Velvet: nel 2008 Gian Burrasca e altre storie (con La freccia nera di Stevenson e Pattini d’argento della Dodge, negli adattamenti di Paola Ferrarini e Renato Gelardini); nel 2012, a cura di Stefano Gorla e Sergio Rossi, Il diario di Gian Burrasca: dal romanzo di Vamba (adattato da Claudio Nizzi), Romeo e Giulietta e Amleto.
Gli ultimi due titoli sono parte della cosiddetta “trilogia shakespeariana”, che in questo 2018 sarà riproposta come primo volume di una collana che Nicola Pesce Editore dedicherà all’opera di De Luca. Composta da Romeo e Giulietta, Amleto e La Tempesta – scritti da Raoul Traverso – la trilogia è uscita a puntate su Il Giornalino tra il 1975 e il 1976. Tre testi in cui il fumetto incontra il teatro come linguaggio e in cui la drammatizzazione[iv] e la messa in scena di eventi, azioni e parole superano il limite strutturale della vignetta. In sostanza, le tavole – spesso doppie – sono gli ambienti in cui De Luca fa agire i personaggi moltiplicandone nello spazio la figura; tale successione costruisce una traiettoria. Prendiamo, ad esempio, Amleto e in particolare la scena nella quale il principe decide di allestire lo spettacolo-trappola per gli assassini del padre. Nella vignetta di De Luca, il principe entra in scena dalla porta a sinistra in fondo a una sala, la cui profondità è accresciuta dalla prospettiva; poi gira in tondo silenzioso percorrendone la parte posteriore; e quindi si muove fino al proscenio per fermarsi nell’angolo opposto a quello d’entrata, a destra, dove conclude il soliloquio cominciato solo nella parte finale del percorso. La figura di Amleto è moltiplicata: ne abbiamo una successione di sedici, che tormentano un libro tra le mani, mentre le battute riguardano solo le ultime cinque. Non ci sono vignette, il tempo è suggerito dalla successione della figura nella sala, ovvero nello spazio.
In altre occasioni, più personaggi possono agire (moltiplicarsi) simultaneamente. Pensiamo alla preparazione del duello tra Amleto e Laerte, in cui il principe appare inizialmente in fondo a sinistra. È una sala rettangolare, con figuranti e armature decorative ai lati, un tavolo al centro, dietro a cui vi sono i troni con la regina. Amleto è accolto da Laerte e re Claudio, si toglie la giacca mentre si scusa per le parole usate in precedenza e arriva sul proscenio quasi al centro della doppia pagina, chiedendo a gran voce i fioretti perché il duello abbia inizio. Intanto, il figlio di Polonio ha seguito per alcuni passi il principe, poi si è avvicinato al tavolo per prendere la spada, mentre un paggio ne porta due ad Amleto, il quale ne sceglie una e la prova all’aria, sempre sul proscenio. Claudio nel frattempo si è spostato dietro il tavolo, e si muove verso destra invitando tutti a brindare e i giudici a tenere gli occhi aperti. La moltiplicazione delle figure riempie ed equilibra la scena. Il loro movimento è però simultaneo e, se come spettatori a teatro si gode di uno sguardo d’insieme sull’intera scena, da lettori ci si orienta grazie ai balloon: è la loro disposizione la linea lungo cui procedere.
In questo incontro tra fumetto e teatro, la vignetta sembra eliminata. Può però riapparire sotto mentite spoglie: l’architettura dei luoghi, la scenografia, può infatti individuare unità narrative. Prendiamo Romeo e Giulietta, quando lui raggiunge lei al balcone. L’inquadratura è dall’alto a destra, la tavola doppia presenta un esterno del palazzo dei Capuleti in cui, da sinistra a destra, abbiamo una strada, il muro di cinta, il cortile interno e, su due piani con le scale per accedervi e le trifore sulla facciata, il palazzo, che presenta una struttura angolare che colloca il balcone dal fondo al proscenio. Romeo arriva dalla strada con un amico, lo saluta, scavalca il muro di cinta, entra nel giardino, sale le scale, segue l’angolo e giunge sotto al balcone; contemporaneamente Giulietta, in parallelo dal momento in cui Romeo sale le scale, giunge dalle sue stanze ed esce sul balcone fino a raggiungere l’amato. La simultaneità del loro percorso, da sinistra a destra, e dal fondo al proscenio, e la successione di figure per mostrarne l’incedere, sono analoghe a quelle già citate. Qui però abbiamo una scansione del movimento in vignette, anche se non nella forma canonica. Vediamo Giulietta nelle trifore, poi alla porta, infine sulla prima metà del balcone, prima, e sulla seconda, dopo – le due metà divise da una pianta: sono spazi delimitati da elementi architettonici, unità narrative, vignette in sequenza.
Il “conflitto” con la vignetta – per ripensarla, superarla – è centrale in De Luca. Se il disegno è tradizionale, essenziale, preciso, è nella sua organizzazione sulla tavola che l’autore sperimenta, nel suo divenire narrazione, come si può notare anche in Paulus (testi di Mastrandrea), uscito nel 1987 su Il Giornalino, e ne I giorni dell’Impero (testi di Mauro Cominelli) – quest’ultimo incompiuto per la morte dell’autore ed edito a puntate su Il Giornalino nel 1993, con le ultime cinque tavole non ancora inchiostrate. Nel primo dialogano gli “Atti degli apostoli” e la fantascienza; il secondo è un peplum che, come Paulus affronta il discorso religioso, qui attraverso gli occhi di un ragazzo, Fabio, orfano di genitori, in una storia disegnata con le classiche tavole a vignette. A ben vedere, però, appaiono soluzioni particolari. Nel terzo episodio, ad esempio, due Germani a cavallo attaccano Fabio e Caio: la scena è un disegno unico, da sinistra i barbari scagliano una lancia contro i romani; ma è divisa in due vignette i cui contorni sono infranti dalle linee cinetiche della lancia e dal balloon di Caio che urla “I Germani!”.[v] Non è la prima volta che De Luca usa questa tecnica, già presente nelle storie del commissario Spada pubblicate su Il Giornalino dal 1970 al 1982. E sono proprio queste storie poliziesche a fornirci un ricco campionario della ricerca grafica di De Luca, di come e perché De Luca cerchi di superare la vignetta.
Superarla significa, ad esempio, infrangerne la cornice, per legare tra loro scene o per far emergere la terza dimensione nel fumetto, come nella seconda tavola dell’esordio di Spada, Il ladro d’uranio (1970), dove il Boeing 727 della Sabena emerge dalla vignetta che ne raffigura il volo invadendo le vignette a fianco (p. 10).[vi] Oppure significa usarla per frazionare il continuum temporale, come in Geronimo (1973-74), quando Spada entra nel capanno dove si è nascosto Geronimo e la raffigurazione della scena che occupa per intero la tavola è divisa in quattro vignette orizzontali. In una prospettiva aerea, il criminale è in linea di profondità, da sinistra, con il commissario a figura intera nella cornice luminosa della porta aperta. Le vignette segmentano il disegno e separano i balloons: rendono, con una divisione spaziale, il tempo del dialogo (p. 338). Le due soluzioni possono inoltre coesistere, come nella prima tavola di Terroristi, in cui quattro vignette orizzontali tagliano la strada di una città inquadrata dall’alto per costruire la sequenza di un’auto che arriva e parcheggia; sulla scena, rompendo le cornici delle vignette, vola un elicottero che si pone tra il lettore e la situazione (p. 493). Abbiamo poi vignette che focalizzano elementi per rallentare il tempo; o, se più d’una, per mostrarne il passaggio: ad esempio, le lettere che Mario in Fantasmi (1982) non riesce a scrivere a suo padre, Spada, si accumulano accartocciate sullo scrittoio (p. 630).
Infine, arriviamo all’eliminazione delle vignette, e in Fantasmi ne abbiamo diversi esempi: alcune di queste soluzioni sono analoghe alla trilogia shakespeariana (p. 632); altri riguardano la configurazione di personaggi e oggetti in unità narrative (p. 641); altri ancora la disposizione dei soggetti in maniera tale da guidare la lettura degli eventi (p. 637). È però un’eliminazione apparente. Il fumetto deve avere un ordine di lettura e, come con i balloons e le traiettorie delle figure nella trilogia, il lettore deve potersi orientare. La vignetta, le unità narrative, la loro sequenza, sono la struttura portante del fumetto. Non possono essere assenti, ma rese invisibili o mascherate, sì. E il “conflitto” di De Luca è in questo. Non è teso a eliminarle, ma a sfidarne i limiti, a rendere il linguaggio sempre più espressivo, l’immagine sempre più alla ricerca del bello, la storia più avvincente.