
La metodologia di lavoro di Giulio Squillacciotti è quella di un filologo poeta a cui qualcosa è — volontariamente — andato storto. Di uno storico che fonda i propri risultati su un’archeologia scrupolosa e comprovata, ma alla fine scompiglia le carte e spiazza lo spettatore con un gioco di prestigio. L’attenta indagine archivistica su materiali reperiti da un lato, e la mescolanza ironica tra realtà e immaginazione dall’altro, sono infatti le componenti essenziali della ricerca dell’artista romano, spesso giocata sul confine — estetico e ideale — tra documento e racconto. Far, From Where We Came (2008), per esempio, è un video realizzato a partire da una serie di 54 fotografie raccolte disordinatamente sulle bancarelle dei mercatini, tra la Spagna e la Turchia, nell’arco di due anni. Quello che si è venuto a creare è un bacino affollato di ricordi iconografici, di personaggi con un volto ma senza un nome né una storia. Squillacciotti ha lavorato su questo materiale (ri)costruendo una saga familiare verosimile ma non vera, documentata ma immaginaria, filologica ma finta. Lo stesso principio metodologico che sta alla base di un’installazione in progress, che si costruisce via via a partire dal materiale raccolto durante un viaggio a Istanbul. Il titolo stesso — Gestione della distanza e costruzione dell’eredità — rimanda all’atto di creazione dell’artista, che è archeologo e demiurgo allo stesso tempo: è l’autore a realizzare qualcosa ex novo (un’intervista a qualcuno cui si attribuisce un’identità fittizia), ma a partire dal racconto di esperienze realmente vissute, tanto dall’artista quanto da sconosciuti. Fotografie, agende fitte di appunti, lettere personali costituiscono sempre gli elementi iniziali del processo creativo, raccolti e analizzati via via, poi plasmati a piacimento per immaginare vite nuove e realtà sconosciute. Ma Giulio Squillacciotti è filologo per vocazione, e per scelta; il suo background è quello di un medievista, con studi di arte medievale che l’hanno inevitabilmente reso incline a questo approccio documentario. Un interesse storico che si fa esplicito in San Vincenzo al Volturno Photobook, lavoro “diaristico” dedicato agli scavi archeologici dell’insediamento monastico altomedievale in provincia di Isernia. Decisamente più vicino alla contemporaneità, ma non diverso nell’impostazione dagli altri lavori, è invece R.M.H.C. (2007), video-documentario sulla scena musicale underground romana nel ventennio compreso tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta. Anche in questo caso si tratta di un work in progress, che si va componendo in maniera via via più complessa. Un archivio che già ammonta a sessanta ore di interviste ai protagonisti diretti, oltre a materiale iconografico, video, musicale, verbale. Spetterà all’artista-filologo un lavoro di analisi e di cernita di quanto è stato raccolto, per realizzare un video della durata finale di sessanta minuti. È la dimensione della memoria, quindi, l’altra componente essenziale della ricerca di Squillacciotti; da intendersi in un’accezione collettiva, sociale — come in questo caso — oppure privata, personale. Due piani che si mescolano in Ancora incosciente dell’assenza, installazione fotografica in cui la morte del capofamiglia in un contesto contemporaneo viene analizzata come fenomeno non solo privato, ma allo stesso tempo etnografico e sociale.