Maurizio Bortolotti: Vorrei iniziare questa intervista chiedendoti di raccontarmi un po’ i tuoi inizi di artista. Direi che il tuo percorso è abbastanza atipico per un artista italiano, poiché il tuo lavoro nasce e si fonda sull’idea del network. Puoi spiegarmi meglio come nasce l’idea complessiva del tuo lavoro e come i tuoi disegni, in mostra alla Gamec di Bergamo, a cura di Giacinto Di Pietrantonio, le fotografie, i video e i progetti interattivi sono legati a all’idea di network?
Giuseppe Stampone: Il network è uno strumento che mi piace definire politico. Il network o “l’architettura dell’intelligenza” sono l’unione di Mente, Corpo e Spazio, uno spazio “Pubblico” fatto di connessioni e condivisioni fra diverse discipline, metodi, linguaggi e media allo scopo di ampliare l’osservazione delle realtà contemporanee. Bisogna passare da una concezione “tecnica” di network, a una tecno-cultura, antropologica, che tutto comprende nella differenza. È importante non vedere i miei lavori in modo frammentato, la mia opera va vista nel suo insieme: il mio lavoro è il network.
MB: Infatti so che sei grande amico di Derrick de Kerckhove, il continuatore della linea di Marshall McLuhan, e di Alberto Abruzzese, un altro grande teorico della relazione tra i mass media e l’arte. Qual è stata la loro influenza nel tuo lavoro?
GS: Sono stati loro ad avvisarmi dell’arrivo dello tsunami tecnologico. Grazie a loro, in tempi non sospetti — 2003 — ho iniziato a prendere le mie prime lezioni di “surf ” (fare surf per cavalcare l’onda anomala è l’unico modo per non essere travolti dall’urto e cadere nel grande mare dell’informazione). Oggi si parla di crisi economica, sbagliamo, così continueremo ad annegare negli abissi! La crisi è strutturale e potrebbe essere una liberazione, l’acqua purifica, oggi stiamo vivendo un momento di mutazione epocale, l’onda anomala: questa grande onda d’acqua mi fa venire in mente la visione (più che catastrofica, salvifica) del “Diluvio Universale”. Non è un problema di medium ma di mentalità, è un problema di sensibilità tecno-culturale, e anche fisico, perché per fare “surf ” e camminare sull’acqua bisogna sapere che il diluvio universale non è una catastrofe.
MB: Credo che nel tuo modo di lavorare ci siano delle affinità con quella linea dell’arte italiana che è sempre stata interessata a produrre l’arte in relazione con lo spazio sociale, il cui principale rappresentante è oggi Michelangelo Pistoletto, che ha sviluppato negli anni passati il suo più ambizioso progetto con “Cittadellarte”. Pensi di avere delle affinità con il suo lavoro?
GS: Mi piace pensare all’artista e al suo impegno etico più che politico, o se preferisci politico in senso lato, perché la politica in senso proprio, invece, richiede un’analisi precisa delle forze in campo e conseguente presa di posizione, scelta di una parte contro un’altra. L’artista è un politico che fa performance, che ricrea una nuova estetica del quotidiano, che grazie alla sua forma mentis usa “L’intelligenza come forma d’arte”. Intendo dire Intelligenza come capacità di sentire e produrre collegamenti, quindi, in definitiva Architettura dell’Intelligenza: mente, corpo e spazio — mente, mondo e network. La “Cittadellarte” mi sembra uno dei primi esempi dove l’intelligenza diventa forma d’arte ed è stato per me un input importante per la creazione successiva del mio network Solstizio. Quindi: impegno etico prima che estetico (oltre l’estetico), impegno politico (come militanza quotidiana, nel quotidiano) e urgenza personale di costruire strutture connettive, piattaforma cognitive, tattili e trasfiguranti. Per questo motivo, nel 2003 ho iniziato a fare “surf” e nel 2006 ho creato il mio primo meta-progetto, Acquerelli per non sprecare la vita, da cui nel 2008 nascerà la piattaforma Solstizio (www.solstizio.org), due esempi che rispondono alla tua domanda.
MB: Nel tuo modo di lavorare ci sono forti affinità con il modello dei “social network”. Non tanto per i riferimenti che fai a questi nei tuoi progetti, ma perché recuperi l’idea chiave che è alla base di questo nuovo modo di condivisione dell’esperienza collettiva. Che cosa ti interessa oggi dei “social network”?
GS: I social network sono oggi i simboli di apertura e partecipazione. L’arte è aperta e partecipativa per sua natura. L’artista ha sempre incarnato la figura ideale di colui che deve interpretare e guidare verso “nuove” strade, utilizzando i medium del proprio tempo, in periodi di transizione come questi. Come dice McLuhan “L’artista è sempre impegnato a scrivere una minuziosa storia del futuro perché è la sola persona consapevole della natura del presente”. Come si fa oggi a non prendere in considerazione i social network? Significa non capire il tempo in cui viviamo. Sarebbe come dire che nella Parigi della fine dell’Ottocento gli artisti e gli intellettuali lavoravano senza tenere conto della seconda rivoluzione industriale e delle ultime scoperte scientifiche. Oppure pensare di parlare di Rinascimento senza tenere in considerazione dell’invenzione della scrittura o della prospettiva!
MB: Abbiamo lavorato insieme varie volte e in quelle occasioni abbiamo avuto modo di parlare a lungo del tuo lavoro. Da questi dialoghi è nato il libro che abbiamo fatto per l’editore Damiani, che più che essere una monografia d’artista è un volume che spiega il metodo che è alla base del tuo lavoro: la “Global Education”. Mi puoi dire in che cosa consiste? E soprattutto perché come artista, anziché limitarti a produrre delle opere, hai messo al centro del tuo lavoro il concetto di “Global Education”?
GS: “Global Education” è il meta progetto che formalizza linguisticamente tutto il mio percorso di “Solstizio Network”. “Global Education” è una “esperienza formale” che si dà come un percorso, un’esperienza e che è l’antitesi della forma chiusa, dell’opera come elemento unicamente da contemplare, collezionare o conservare. Le mie serie di “Abbecedari” si pongono, insieme alle mappe, come spazi di riqualificazione educativa mediante analisi e riflessioni che non solo rivisitano i vari paesi in cui decido di elaborare un nuovo discorso, ma traducono e tradiscono ritmicamente il luogo comune per ridisegnare il mondo e per costruire un modello comunicativo incline a soppiantare il dilagante fenomeno della perdita di identità culturale. Per mettere in crisi la catalogazione e l’omologazione sociale, a fianco dei modelli di relazione semantica precostituiti, pongo l’ipotesi di una nuova alfabetizzazione (orale ed esperienziale) mettendo in discussione la relazione convenzionale tra significante e significato in questi modelli; mettendo in crisi l’illusionismo pittorico e creando scollamenti ironici tra denominazione visiva e denominazione verbale. La mia volontà è quella di ri-creare una nuova albabetizzazione non data e creata da pochi per tanti (la dittatura occidentale del carattere tipografico di Gutenberg) ma ri-creata attraverso la partecipazione attiva delle persone; in altre parole, un alfabeto condiviso e per capirci. Il mio metodo consiste in questo. Vado in un paese (Cina, Stati Uniti, ecc.) vivo un mese in quel luogo e sul mio moleskine prendo appunti delle storie di quel luogo, poi torno in studio e sviluppo tutte le lettere che nascono da quell’esperienza. Una volta che ho tutte le lettere con i disegni torno in quel luogo e faccio scegliere alle persone del posto cosa scriverci sotto ogni lettera. Quando tutte le lettere sono complete realizzo le mappe geopolitiche dove vado a “geo-referenziare” ogni lettera dell’abbecedario. In questo senso il workshop è per me una fase indispensabile e integrale di un progetto totale dedicato alla formazione, all’istruzione, all’insegnamento sul presente dell’arte e della vita.
MB: Avendo spesso lavorato all’estero, soprattutto nei paesi asiatici, come l’India e la Corea del Sud, o a Cuba, che cosa hai trovato di interessante in questi paesi e qual è stata l’influenza che essi hanno esercitato su di te?
GS: Nel mio lavoro recente ci sono stati tre momenti importanti: le due Biennali, Kochi-Muziris in India, quella de L’Avana, e la grande mostra “The Flower of May” fatta in occasione del 30mo anniversario della rivolta a Gwangju contro lo stato autoritario e dove ho incontrato una figura straordinaria come Ai Weiwei. Questi sono luoghi ancestrali, dionisiaci, pulsanti e connettivi, vivi e proiettati al futuro, al contrario dell’attuale situazione in Europa. L’eurocentrismo è statico e autoreferenziale, ormai obsoleto. Noi oggi giriamo su noi stessi, stilisticamente siamo ancora vicini a iconografie in bianco e nero e pensiamo che in questi ultimi anni una delle cose più di moda nelle nostre grandi mostre europee sono gli archivi. In Europa pensiamo a come “preservare”, “conservare”, “salvaguardare” e “proteggere”, e purtroppo non succede solo con i monumenti e con l’arte, ma accade sopratutto con la politica, con le sue lobby di potere. Siamo conservatori, affezionati alle poltrone. In quei luoghi extra-europei le parole chiave sono invece “futuro”, “sperimentazione” e quando c’è la tradizione è dinamicamente proiettata nel presente. Per fortuna che nel nostro Bel Paese a un certo punto sia concettualmente che stilisticamente è arrivato un artista di nome Maurizio Cattelan, che ci ha svecchiato da una vecchia iconografia rendendo al mondo un’immagine nuova e innovativa. L’immagine di un bambino dispettoso e giocoso pieno di vita che ha avuto voglia di fare il “Pinocchio”.
MB: Arrivato a questo punto della tua carriera, quali sono i tuoi progetti per il futuro? Continuerai sviluppando il tuo lavoro sul network o stai pensando a sviluppi in nuove direzioni? Che cosa ti incuriosisce oggi?
GS: Progetti per il futuro? Risponderei volentieri: Uscirne vivo! Sto progettando una piattaforma Tattile (Esperienza-formale) insieme a cinque collezionisti (produttori di vino, industriali, ecc.) che prevede anche una residenza per artisti e curatori, cento ettari immersi nella campagna toscana in Val di Chiana (www.tenimentidalessandro.it ). E con Solstizio network stiamo sviluppando nuovi progetti, sempre su temi ambientali e per il rispetto dei diritti umani sviluppati attraverso l’arte e la didattica in Brasile e Cina. Sono alcuni anni che penso di aprire una scuola “Global Education” per ragazzi della scuola primaria e secondaria al fine di creare un’esperienza formale diversa. Che cosa cosa mi incuriosisce di più oggi? Scoprire se è nato prima l’uovo o la gallina.