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12 Giugno 2015, 1:21 pm CET

Giuseppe Stampone di Maurizio Bortolotti

di Maurizio Bortolotti 12 Giugno 2015
P.P.P. Made in Italy (dettaglio), 2013. Penna Bic su carta, trittico composto da 3 disegni 40 x 55 cm. Collezione Giuseppe Calabresi, Roma
P.P.P. Made in Italy (dettaglio), 2013. Penna Bic su carta, trittico composto da 3 disegni 40 x 55 cm. Collezione Giuseppe Calabresi, Roma
P.P.P. Made in Italy (dettaglio), 2013. Penna Bic su carta, trittico composto da 3 disegni 40 x 55 cm. Collezione Giuseppe Calabresi, Roma

Maurizio Bortolotti: Vorrei iniziare questa intervista chiedendoti di raccontarmi un po’ i tuoi inizi di artista. Direi che il tuo percorso è abbastanza atipico per un artista italiano, poiché il tuo lavoro nasce e si fonda sull’idea del network. Puoi spiegarmi meglio come nasce l’idea complessiva del tuo lavoro e come i tuoi disegni, in mostra alla Gamec di Bergamo, a cura di Giacinto Di Pietrantonio, le fotografie, i video e i progetti interattivi sono legati a all’idea di network?

Giuseppe Stampone: Il network è uno strumento che mi piace definire politico. Il network o “l’architettura dell’intelligenza” sono l’unione di Mente, Corpo e Spazio, uno spazio “Pubblico” fatto di connessioni e condivisioni fra diverse discipline, metodi, linguaggi e media allo scopo di ampliare l’osservazione delle realtà contemporanee. Bisogna passare da una concezione “tecnica” di network, a una tecno-cultura, antropologica, che tutto comprende nella differenza. È importante non vedere i miei lavori in modo frammentato, la mia opera va vista nel suo insieme: il mio lavoro è il network.

MB: Infatti so che sei grande amico di Derrick de Kerckhove, il continuatore della linea di Marshall McLuhan, e di Alberto Abruzzese, un altro grande teorico della relazione tra i mass media e l’arte. Qual è stata la loro influenza nel tuo lavoro?

GS: Sono stati loro ad avvisarmi dell’arrivo dello tsunami tecnologico. Grazie a loro, in tempi non sospetti — 2003 — ho iniziato a prendere le mie prime lezioni di “surf ” (fare surf per cavalcare l’onda anomala è l’unico modo per non essere travolti dall’urto e cadere nel grande mare dell’informazione). Oggi si parla di crisi economica, sbagliamo, così continueremo ad annegare negli abissi! La crisi è strutturale e potrebbe essere una liberazione, l’acqua purifica, oggi stiamo vivendo un momento di mutazione epocale, l’onda anomala: questa grande onda d’acqua mi fa venire in mente la visione (più che catastrofica, salvifica) del “Diluvio Universale”. Non è un problema di medium ma di mentalità, è un problema di sensibilità tecno-culturale, e anche fisico, perché per fare “surf ” e camminare sull’acqua bisogna sapere che il diluvio universale non è una catastrofe.

Saluti da L’Aquila da Giuseppe Stampone, 2011. Installazione partecipativa composta da 2 teche 250 x 120 cm, 1 teca 300 x 200 cm, tavolo in legno con 100.000 cartoline, piattaforma interattiva sul web. Produzione MACRO, Roma. Collezione La Gaia, Busca, Cuneo
Saluti da L’Aquila da Giuseppe Stampone, 2011. Installazione partecipativa composta da 2 teche 250 x 120 cm, 1 teca 300 x 200 cm, tavolo in legno con 100.000 cartoline, piattaforma interattiva sul web. Produzione MACRO, Roma. Collezione La Gaia, Busca, Cuneo

MB: Credo che nel tuo modo di lavorare ci siano delle affinità con quella linea dell’arte italiana che è sempre stata interessata a produrre l’arte in relazione con lo spazio sociale, il cui principale rappresentante è oggi Michelangelo Pistoletto, che ha sviluppato negli anni passati il suo più ambizioso progetto con “Cittadellarte”. Pensi di avere delle affinità con il suo lavoro?

GS: Mi piace pensare all’artista e al suo impegno etico più che politico, o se preferisci politico in senso lato, perché la politica in senso proprio, invece, richiede un’analisi precisa delle forze in campo e conseguente presa di posizione, scelta di una parte contro un’altra. L’artista è un politico che fa performance, che ricrea una nuova estetica del quotidiano, che grazie alla sua forma mentis usa “L’intelligenza come forma d’arte”. Intendo dire Intelligenza come capacità di sentire e produrre collegamenti, quindi, in definitiva Architettura dell’Intelligenza: mente, corpo e spazio — mente, mondo e network. La “Cittadellarte” mi sembra uno dei primi esempi dove l’intelligenza diventa forma d’arte ed è stato per me un input importante per la creazione successiva del mio network Solstizio. Quindi: impegno etico prima che estetico (oltre l’estetico), impegno politico (come militanza quotidiana, nel quotidiano) e urgenza personale di costruire strutture connettive, piattaforma cognitive, tattili e trasfiguranti. Per questo motivo, nel 2003 ho iniziato a fare “surf” e nel 2006 ho creato il mio primo meta-progetto, Acquerelli per non sprecare la vita, da cui nel 2008 nascerà la piattaforma Solstizio (www.solstizio.org), due esempi che rispondono alla tua domanda.

MB: Nel tuo modo di lavorare ci sono forti affinità con il modello dei “social network”. Non tanto per i riferimenti che fai a questi nei tuoi progetti, ma perché recuperi l’idea chiave che è alla base di questo nuovo modo di condivisione dell’esperienza collettiva. Che cosa ti interessa oggi dei “social network”?

GS: I social network sono oggi i simboli di apertura e partecipazione. L’arte è aperta e partecipativa per  sua natura. L’artista ha sempre incarnato la figura ideale di colui che deve interpretare e guidare verso “nuove” strade, utilizzando i medium del proprio tempo, in periodi di transizione come questi. Come dice McLuhan “L’artista è sempre impegnato a scrivere una minuziosa storia del futuro perché è la sola persona consapevole della natura del presente”. Come si fa oggi a non prendere in considerazione i social network? Significa non capire il tempo in cui viviamo. Sarebbe come dire che nella Parigi della fine dell’Ottocento gli artisti e gli intellettuali lavoravano senza tenere conto della seconda rivoluzione industriale e delle ultime scoperte scientifiche. Oppure pensare di parlare di Rinascimento senza tenere in considerazione dell’invenzione della scrittura o della prospettiva!

Saluti da L’Aquila da Giuseppe Stampone, 2011. Particolare dell’installazione partecipativa composta da 100.000 cartoline 21 x 14 cm. Collezione La Gaia, Busca, Cuneo
Saluti da L’Aquila da Giuseppe Stampone, 2011. Particolare dell’installazione partecipativa composta da 100.000 cartoline 21 x 14 cm. Collezione La Gaia, Busca, Cuneo

MB: Abbiamo lavorato insieme varie volte e in quelle occasioni abbiamo avuto modo di parlare a lungo del tuo lavoro. Da questi dialoghi è nato il libro che abbiamo fatto per l’editore Damiani, che più che essere una monografia d’artista è un volume che spiega il metodo che è alla base del tuo lavoro: la “Global Education”.  Mi puoi dire in che cosa consiste? E soprattutto perché come artista, anziché limitarti a produrre delle opere, hai messo al centro del tuo lavoro il concetto di “Global Education”?

GS: “Global Education” è il meta progetto che formalizza linguisticamente tutto il mio percorso di “Solstizio Network”. “Global Education” è una “esperienza formale” che si dà come un percorso, un’esperienza e che è l’antitesi della forma chiusa, dell’opera come elemento unicamente da contemplare, collezionare o conservare. Le mie serie di “Abbecedari” si pongono, insieme alle mappe, come spazi di riqualificazione educativa mediante analisi e riflessioni che non solo rivisitano i vari paesi in cui  decido di elaborare un nuovo discorso, ma traducono e tradiscono ritmicamente il luogo comune per ridisegnare il mondo e per costruire un modello comunicativo incline a soppiantare il dilagante fenomeno della perdita di identità culturale. Per mettere in crisi la catalogazione e l’omologazione sociale, a fianco dei modelli di relazione semantica precostituiti, pongo l’ipotesi di una nuova alfabetizzazione (orale ed esperienziale) mettendo in discussione la relazione convenzionale tra significante e significato in questi modelli; mettendo in crisi l’illusionismo pittorico e creando scollamenti ironici tra denominazione visiva e denominazione verbale. La mia volontà è quella di ri-creare una nuova albabetizzazione non data e creata da pochi per tanti (la dittatura occidentale del carattere tipografico di Gutenberg) ma ri-creata attraverso la partecipazione attiva delle persone; in altre parole, un alfabeto condiviso e per capirci. Il mio metodo consiste in questo. Vado in un paese (Cina, Stati Uniti, ecc.) vivo un mese in quel luogo e sul mio moleskine prendo appunti delle storie di quel luogo, poi torno in studio e sviluppo tutte le lettere che nascono da quell’esperienza. Una volta che ho tutte le lettere con i disegni torno in quel luogo e faccio scegliere alle persone del posto cosa scriverci sotto ogni lettera. Quando tutte le lettere sono complete realizzo le mappe geopolitiche dove vado a “geo-referenziare” ogni lettera dell’abbecedario. In questo senso il workshop è per me una fase indispensabile e integrale di un progetto totale dedicato alla formazione, all’istruzione, all’insegnamento sul presente dell’arte e della vita.

MB: Avendo spesso lavorato all’estero, soprattutto nei paesi asiatici, come l’India e la Corea del Sud, o a Cuba, che cosa hai trovato di interessante in questi paesi e qual è stata l’influenza che essi hanno esercitato su di te?

GS: Nel mio lavoro recente ci sono stati tre momenti importanti: le due Biennali, Kochi-Muziris in India, quella de L’Avana, e la grande mostra “The Flower of May” fatta in occasione del 30mo anniversario della rivolta a Gwangju contro lo stato autoritario e dove ho incontrato una figura straordinaria come Ai Weiwei. Questi sono luoghi ancestrali, dionisiaci, pulsanti e connettivi, vivi e proiettati al futuro, al contrario dell’attuale situazione in Europa. L’eurocentrismo è statico e autoreferenziale, ormai obsoleto. Noi oggi giriamo su noi stessi, stilisticamente siamo ancora vicini a iconografie in bianco e nero e pensiamo che in questi ultimi anni una delle cose più di moda nelle nostre grandi mostre europee sono gli archivi. In Europa pensiamo a come “preservare”, “conservare”, “salvaguardare” e “proteggere”, e purtroppo non succede solo con i monumenti e con l’arte, ma accade sopratutto con la politica, con le sue lobby di potere. Siamo conservatori, affezionati alle poltrone. In quei luoghi extra-europei le parole chiave sono invece “futuro”, “sperimentazione” e quando c’è la tradizione è dinamicamente proiettata nel presente. Per fortuna che nel nostro Bel Paese a un certo punto sia concettualmente che stilisticamente è arrivato un artista di nome Maurizio Cattelan, che ci ha svecchiato da una vecchia iconografia rendendo al mondo un’immagine nuova e innovativa. L’immagine di un bambino dispettoso e giocoso pieno di vita che ha avuto voglia di fare il “Pinocchio”.

MB: Arrivato a questo punto della tua carriera, quali sono i tuoi progetti per il futuro? Continuerai sviluppando il tuo lavoro sul network o stai pensando a sviluppi in nuove direzioni? Che cosa ti incuriosisce oggi?

GS: Progetti per il futuro? Risponderei volentieri: Uscirne vivo! Sto progettando una piattaforma Tattile (Esperienza-formale)  insieme a cinque collezionisti (produttori di vino, industriali, ecc.) che prevede anche  una residenza per artisti e curatori, cento ettari immersi nella campagna toscana in Val di Chiana (www.tenimentidalessandro.it ). E con Solstizio network stiamo sviluppando nuovi progetti, sempre su temi ambientali e per il rispetto dei diritti umani sviluppati attraverso l’arte e la didattica in Brasile e Cina. Sono alcuni anni che penso di aprire una scuola “Global Education” per ragazzi della scuola primaria e secondaria al fine di creare un’esperienza formale diversa. Che cosa cosa mi   incuriosisce di più oggi? Scoprire se è nato prima l’uovo o la gallina.

Maurizio Bortolotti è critico d’arte e curatore. Vive e lavora a Milano

Giuseppe Stampone è nato a Cluses (Francia) nel 1973. Vive e lavora tra Roma e New York

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