Dopo la considerevole crescita dell’interesse nei confronti dei Balcani e dell’area baltica alla fine degli anni Novanta, una seconda ondata di pubblicazioni e di iniziative più specifiche hanno creato nuovi canali di accesso a queste “storie” d’arte contemporanea. Il libro Leap Into The City è il risultato dei tre anni di finanziamenti da parte della German Federal Culture Foundation, che ha reso possibile una full immersion nelle identità culturali di sette città diverse. East Art Map, il libro del collettivo di artisti sloveni Irwin, rappresenta la consacrazione del loro rigoroso e allo stesso tempo concettuale progetto omonimo in ambito accademico, che denuncia la mancanza di spazi destinati a contenere “storie perdute” e di network alternativi, che non si rifacciano necessariamente ai modelli occidentali.
La prima parte di questo articolo [Flash Art # 261], che ha affrontato argomenti diversi come gli eventi nella ex Yugoslavia, si concludeva proprio dove questo viaggio ha inizio: un itinerario che percorre le vecchie repubbliche, le confederazioni e gli stati satellite dell’ex URSS, facendo tappa a Sofia, Tallin, Riga, Kaliningrado e Varsavia. In agosto ho attraversato i Balcani fino alla regione baltica, ponendo diverse domande su questioni come l’identità culturale ai membri della scena artistica contemporanea di ogni città, analizzando insieme le modalità secondo cui ciascuna infrastruttura si impegnava a sviluppare strategie parallele ai modelli dell’Europa occidentale.
Sofia, Bulgaria
Dopo le molte anticipazioni su questo luogo, Sofia, in Bulgaria, la zona più a est dove mi sono spinto, mi è sembrata alla fine più simile a una città come Bruxelles, piuttosto che alla cosiddetta “pecora nera dei Balcani”. Architettonicamente la città appare meno barocca rispetto all’inconfondibile “architexture” di Skopje o di Pristhina, e possiede un’identità urbana piuttosto anonima. Questo “pavone urbano” si nota per l’abbondanza delle informazioni visive; le pubblicità rendono più evidente e allo stesso tempo cancellano dal campo visivo la presenza di alcuni edifici. L’artista Luchezar Boyadjiev ha realizzato diversi progetti che prendono in esame la possibilità che una pubblicità possa competere con i monumenti, fino a rimpiazzarli. Con l’aiuto di Photoshop, l’artista realizza situazioni in cui la pubblicità e la realtà del consumatore si confondono, in un processo d’inversione il cui risultato è un incubo neo-capitalista.
La curatrice della Sofia Art Gallery, Maria Vassileva, ha dovuto compiere un grande sforzo per realizzare un programma espositivo all’avanguardia, trasformando la galleria in una delle poche istituzioni pubbliche che si dedicano all’arte contemporanea. Vassileva e la curatrice locale Daniela Radeva hanno recentemente inaugurato “Important Announcement”, una rassegna dell’arte bulgara degli ultimi vent’anni, che utilizza il testo come uno strumento di produzione artistica. Le curatrici hanno presentato numerose opere, famose a livello internazionale, ma mai esposte qui prima d’ora. Una selezione di più di 30 artisti bulgari includeva Boyadjiev, Nedko Solakov e Veronika Tzekova, ognuno dei quali ha utilizzato il medium della scrittura filtrandolo attraverso la fotografia, l’installazione e il disegno. Boyadjiev ha rivisitato il famoso An Artist Who Cannot Speak English Is Not An Artist (1993) dell’artista croato Mladen Stilinovic, con la sua edizione di English For Artists.
La mancanza di istituzioni capaci di fornire un servizio di piattaforma per l’arte contemporanea è evidente. La curatrice della Biennale di Mosca, Iara Boubnova, ha recentemente iniziato una protesta creativa contro la mancanza di un museo d’arte contemporanea, arruolando gli artisti locali e dando un’anticipazione del museo con un’iniziativa provocatoria, quella di realizzare un negozio di articoli da regalo. Il negozio del Museum of Contemporary Art (MUSIZ) di Sofia vende miniature di celebri icone di artisti bulgari contemporanei, una tattica intelligente per coinvolgere il pubblico, dando la possibilità di possedere una “piccola” collezione di opere d’arte.
Oltre al negozio del museo, Boubnova ha dato inizio a una serie di mostre clandestine in uno dei chioschi tipici di Sofia. In questi negozi, durante il periodo comunista, il commesso stava all’altezza del marciapiede e le vetrine si aprivano istantaneamente mentre il cliente doveva inginocchiarsi per qualsiasi acquisto. Utilizzando lo stesso sistema per presentare i progetti degli artisti, questo intervento in stile Wrong Gallery è stato battezzato “Bend-to-Art”, ovvero “piegarsi-per-l’arte”.
Kiev, Ucraina
In mezzo a una squadra di muratori, The Inverted Shadow Tower di Olafur Eliasson era coperta da un telo di plastica, con un fascino da backstage dopo la sua ultima apparizione a Venezia nel 2005. Victor Pinchuk, l’uomo più ricco dell’Ucraina che ha comprato e venduto alcune delle più importanti industrie del Paese, ha aperto la sua collezione privata, il Pinchuk Art Centre, il 15 settembre scorso.
La Fondazione ha dovuto fare i conti con le difficoltà causate dall’amministrazione municipale, come nel caso del suo trasferimento nello storico e vastissimo edificio dell’arsenale di Kiev, bloccato a causa delle divergenze con il governo locale. La nuova sede si trova in un megacentro chiamato Arena, in stile Fun Palace di Cedric Price, con ristoranti, bar, casinò, discoteche, negozi di abbigliamento di lusso e showroom di automobili, ora arricchito dalla presenza di un museo d’arte contemporanea.
Nicolas Bourriaud curerà la collezione internazionale; l’impresa è stata presentata a Venezia nel corso dell’ultima Biennale. Il suo progetto si focalizza soprattutto sulla sovrapposizione tra arte e tecnologia — argomenti già presenti all’interno della vasta collezione di Pinchuk, compresi i new media ucraini. Victor Pinchuk, che colleziona dal 1993 grazie anche ai suggerimenti di Olexandr Solovyov, è riuscito a mettere in piedi una collezione d’arte contemporanea ucraina talmente vasta che, se le istituzioni del Paese volessero mettere in piedi una loro collezione, si rivolgerebbero a lui, proprio come la Tate Modern fa con Saatchi, rimediando così all’arretratezza in campo artistico. Questa collezione è il punto di riferimento della scena artistica locale, dominata da un debole mercato. Fatta eccezione per la Bereznitsky Gallery, gli spazi artistici locali includono nel mercato anche quelle opere che non possiedono un valore dal punto di vista della cultura visiva e che quasi non si distinguono dall’artigianato. La scena artistica ha vissuto il suo apice durante l’epoca di Soros quando la curatrice del Soros Center era Marta Kuzma. Al momento, la programmazione prevede solo laboratori e mostre superficiali.
Victor Pinchuk sembra l’unico capace di far confluire il suo denaro verso uno sviluppo dell’arte contemporanea. Il nuovo Pinchuk Art Centre riceverà un’attenzione internazionale, e a ogni ente della città e del Paese non resterà che adattarsi di conseguenza.
Shargorad, una piccola città a sud di Kiev, conta circa 2.000 abitanti. A fine agosto è stata invasa dalla scena artistica russa e ucraina per il vernissage di “Globe City” — che deriva letteralmente dal nome “Shargorad” (più appropriatamente “Global Village”, cioè villaggio globale). Il festival ha portato l’arte dove non si sarebbe mai pensato di trovarla. L’evento — fuori luogo come un atterraggio Ufo — è stato inaugurato da un discorso “alieno” del REP Group, un collettivo di giovani artisti il cui nome sta per “Revolutionary Experimental Space”. Nato durante le proteste dell’Orange Revolution nel 2004, il gruppo gode di una certa fama sia a livello locale che in campo internazionale. Grazie a un pullman organizzato dalla Bereznitsky Gallery — che ha appena inaugurato una spaziosa sede nel quartiere Mitte di Berlino — è stato possibile visitare una destinazione altrimenti difficile da raggiungere. In occasione dell’evento, finanziato e curato dalla Metafuturism Society For Alternative Art Development di Mosca, sono stati invitati Illya Chichkan, Boris Mikhailov, i Blue Noses e altri 20 artisti circa, che hanno realizzato dei progetti site specific. Intervenendo direttamente sul territorio — che è anche la città natale del co-fondatore — gli artisti hanno offerto una reinterpretazione dei dintorni rurali, sia per i turisti che per gli abitanti.
Tallinn, Estonia
Il Kumu Art Museum, la nuova sede dell’ex Art Museum of Estonia, a Tallinn, ha aperto lo scorso inverno, segnando un profondo cambiamento nelle modalità e nei luoghi di fruizione dell’arte e della cultura in Estonia. Ambientata nel futuristico e semi-circolare castello di pietra progettato da Pekka Vapaavuori, la collezione e la programmazione del museo, sotto la direzione dell’ex direttore del Soros Center a Tallinn, Sirje Helme, mappano il percorso della produzione artistica del Paese dal XVIII secolo a oggi. La direzione artistica è acuta e la collezione è organizzata tenendo conto della specificità della realtà locale dell’Estonia, senza però cadere nel provincialismo. La successione cronologica crea un dialogo tra arte e società, che riflette i traumi politici e i cambiamenti culturali, non limitandosi solo a riferimenti in campo artistico. Questa tensione non è subito evidente per il visitatore, ma rappresenta il conflitto costante tra il fare la Storia e il suo processo di classificazione.
Il Monumento al Soldato Russo Liberatore è un reliquiario che racchiude la scultura di bronzo in stile socialista di un soldato russo: una statua che commemora la liberazione del Paese dall’occupazione nazista, in omaggio ai soldati caduti durante la Resistenza. Secondo una leggenda locale, in realtà si tratterebbe di un estone travestito da militare russo, poiché la statua fu eseguita dal noto scultore locale Enn Roos, e inoltre assomiglia più a un estone che a un russo, l’etnia che tuttora rappresenta una minoranza nella Regione. Realizzata nel 1947, è uno dei pochi monumenti rimasti dai tempi dell’occupazione sovietica e rappresenta sia la “liberazione” dell’Estonia dai nazisti che la successiva occupazione sovietica. Diversi progetti prevedono la rimozione del monumento nonostante le proteste della Russia, ma la “fiamma eterna” del soldato è già stata estinta. L’organizzazione delle cerimonie di celebrazione in occasione dell’anniversario della liberazione dai nazisti da parte dei Russi, infatti, è stata ostacolata dalle minacce di atti vandalici, tra cui l’esplosione della statua.
In occasione delle tre mostre dal titolo “Flowers of Evil” presso Hobusepea, Draakon e HOP — i tre principali spazi commerciali a Tallinn — la curatrice Elin Kard ha organizzato una rassegna sul tema dei crimini politici a cui ha partecipato un gruppo di giovani artisti estoni. Eternal Flame, la preveggente videoinstallazione di Kristin Kalamees, del 2002, arriva dritta alla questione dell’esistenza dell’anti-eroe di bronzo nella società. Attraverso la descrizione di un’infatuazione incontrollabile e clandestina, il video racconta l’amore di una ragazza per la sua patria. Interviste con parenti e amici descrivono una ragazza normale e mite. Quando realizza di stare invecchiando, capisce che non potrà mai stare con il suo vero amore — una metafora della proibita Unione Sovietica. Quando viene a sapere dell’amore di un’altra ragazza più giovane, carica la statua di esplosivi pesanti — un ricordo delle recenti fratture coloniali e del concetto di “Ostalgia”. Alla fine di questa favola la nostra protagonista si innamora di nuovo, ma del monumento più vecchio di Anton Hansen Tammsaare, un noto letterato locale e autore di opere che oggi sono il simbolo della letteratura estone e dei numerosi aspetti dell’identità nazionale.
Kaliningrado, Russia
Kaliningrado è una città ibrida, conosciuta come la “Hong Kong Europea”, il che rappresenta di per sé una sfida per la costruzione di un’identità culturale. La subcultura rappresentata dai graffitisti e dai musicisti del “death metal” rimpiange l’età d’oro di Königsburg, la città vecchia. Quest’anno Kaliningrado ha festeggiato il suo sessantesimo anniversario e, nonostante la ricorrenza, la città continua a vivere una doppia identità. L’anno scorso, il team del National Center for Contemporary Art (NCCA) ha pubblicato Art Guide. Königsburg / Kaliningrad Today in occasione del 750mo anniversario di Königsburg, che, nonostante sia poco distribuito (oltre che dal suo sito web), rappresenta la prima e unica guida per comprendere lo stato attuale della cultura in questo Paese. Il libro illustra numerosi progetti architettonici, dalla superimposizione di elementi storici fino all’attuale piano per il futuro trasferimento dell’NCCA a Kronprinz Towers. Diversi progetti di artisti come Joachim Koester, SKART e Alexey Chebykin offrono riflessioni sulla città e sulla condizione di “oblast”, come la scoperta, avvenuta in ritardo, dell’importanza culturale di Immanuel Kant, nato a Königsburg, e di altre icone “risorte”.
L’NCCA è il principale ente impegnato a favore della cultura e dell’arte contemporanea nel contesto “oblast”. Dal 2002 il museo ha prodotto pH, una stilosa rivista biennale pubblicata in Russo e in Inglese. La programmazione artistica dell’NCCA non si appoggia a uno spazio permanente e di conseguenza le mostre si svolgono in spazi fuori sede, spesso in istituzioni non locali.
Varsavia, Polonia
La posizione di Varsavia — paragonabile a Lubiana, Praga o Budapest — la rende un incrocio tra l’Europa occidentale e orientale, e ciò lo si riscontra anche dal successo dei nuovi mercati dell’arte e da una certa indipendenza economica delle gallerie commerciali nel mercato globale. In risposta alla mancanza di fiere d’arte in Polonia, Lukasz Gorczyca e Michal Kaczynski della Raster Gallery hanno proposto una fiera delle gallerie più dinamiche in campo internazionale e locale. La fiera si è tenuta in un tempio storico, una specie di villa abbandonata. Progettata e realizzata nel 1949 dall’avvocato, matematico, filosofo, artista e imprenditore Antoni Moniuszko, la villa fu arredata secondo le sue esigenze e desideri, con opere d’arte e mobili disegnati esclusivamente per lui. Fino agli anni Ottanta rappresentava un punto d’incontro intergenerazionale per i “conoscenti”, con riunioni, feste e mostre. Moniuszko si è spento nel 2001 e la villa è rimasta com’era fino a oggi. In questa sede d’eccezione, la Galleria Raster ha invitato i loro milieu d’importanza internazionale. Le gallerie che hanno partecipato erano tra le più autorevoli: gb agency e Jocelyn Wolff da Parigi, Zero… da Milano, Hotel da Londra, Daniel Hug da Los Angeles, plan b da Cluj, Jan Mot da Bruxelles, Ibid Projects da Londra e Vilnius e, naturalmente, Raster e la Foksal Gallery Foundation di Varsavia. Inoltre, era possibile partecipare a visite guidate, screenings e performance per tutta la settimana.
È stato difficile valutare il successo delle vendite ma l’importanza di tale collaborazione a Varsavia sembrava il dato più significativo dell’evento.
Conclusioni
Questo racconto non è un’indagine comprensiva su queste città, che avrebbero indubbiamente bisogno di una copertura regolare. La globalizzazione della cultura attraverso biennali internazionali d’arte contemporanea si muove verso l’omologazione dei territori e l’annullamento delle differenze dei nuovi mercati, mentre è evidente l’assoluta mancanza di una riflessione sulle conseguenze di una biennale su questi territori.
Le istituzioni culturali d’arte contemporanea hanno aggiunto nuovi tasselli alla loro anatomia che funzionano come una bussola informativa e culturale, puntata su locali non-occidentali.
Ma anche loro pongono problemi di sostenibilità, dovuti a una copertura degli eventi culturali senza continuità, mantenendo così queste scene effettivamente sconosciute.