Nicola Trezzi: Mi vuoi parlare del tuo rapporto con l’eliminazione?
Irma Blank: Il mio ambito di ricerca è la lingua, la scrittura, la parola e il verbo, metto l’accento sul fare. Cosa faccio di questa scrittura? la riduco a segno, ritorno alla Ur-form, alla forma primaria, al primo impulso, al segno prelinguistico; da un lato rispetto la tradizione, l’andamento orizzontale della scrittura dell’occidente, l’ordine dell’impaginazione e dall’altro lato correggo, modifico, elimino. Elimino il senso dando al corpo della scrittura dignità di autonomia. Niente nasce dal nulla. Il mio riferimento è la scrittura, la lingua, la parola. La parola sofferta. La parola negata. Se da un lato eliminare il significato convenzionale è il tema centrale della mia ricerca, dall’altro riduco, semplifico il processo esecutivo. Nelle Eigenschriften e nelle Trascrizioni mimavo il gesto scritturale, partendo dall’ieri, attraversando l’oggi e indicando il domani, il gesto scritturale è il legame tra i tempi, il filo, il filo della vita. Poi man mano riduco; il segno scritturale diventa pura estensione, tensione fra inizio e fine. Comunicazione è tensione. È lo sguardo che guida l’analisi, captare qualcosa d’imprecisabile dentro il più profondo dell’io; registrare la tensione, il viaggio virtuale fra “l’io e il tu” e il rapporto con e fra gli altri, la dinamica della comunicazione nel mondo.
NT: Parlando di tecnica volevo chiederti se sei d’accordo nel vedere un lato performativo nei tuoi lavori la cui creazione richiede una presenza fisica unica.
IB: Secondo me la conoscenza la acquisisci, te ne appropri, solo attraverso l’esperienza, il fare; il risultato interessa relativamente. Quello che m’interessa è il procedere, il fare. Dunque lunghe sedute nell’esercizio dello scrivere, un lasciarsi andare, un consegnarsi alla scrittura. Con e nel tempo. Attingere, prendere ed esternarsi scrivendo sono due movimenti simmetrici. Le forme sono in noi. Dipende dalla direzione dello sguardo, dove si guarda, dentro di te o fuori; devi sapere che Avant-testo e Hyper-Text sono due cicli nati e portati avanti contemporaneamente. Si tratta della mia testimonianza globale di un momento, individuale e sociale, il caos magmatico prelinguistico dell’individuo nella spinta del volersi esprimere, pura energia, nel primo, e la inutile verbosità dell’oggi messa a tacere con la sovrapposizione del testo, nel secondo. E poi il vuoto, il nulla, presente in tutta la mia ricerca; niente è più importante del nulla, il vuoto è la sostanza della lingua, l’intervallo è la sostanza del pieno.
NT: In questo caso ti voglio chiedere di parlare del silenzio che è una parola che ritorna spesso nei tuoi lavori e nei titoli.
IB: Quando rileggo i miei testi mi accorgo che prima parlavo di silenzio, quella parte del linguaggio che è lo spazio del non detto, l’indicibile. Andando avanti prediligo il termine nulla, una questione di maggiore consapevolezza e conoscenza degli aspetti concettuali e teorici. “Silenzio” è più familiare, fa parte della nostra parlata quotidiana, mentre “Nulla” ha implicazioni speculative, filosofiche.
NT: Potremmo dire che dal silenzio sei passata al nulla?
IB: Nel senso di assenza di rumore, del non detto, di uno spazio purificato, carico di energia, aperto a un significato altro.
NT: In quale ciclo di lavori hai rappresentato questo passaggio dalla parola silenzio alla parola nulla?
IB: Questo è difficile dirlo, perché si tratta di un lento spostamento nel tempo da ciclo a ciclo ognuno con la propria caratteristica. Vivo il tempo come un continuum, considero le date un artifizio, una necessità fastidiosa. Forse il vuoto, il nulla incomincia a manifestarsi più chiaramente nei Radical Writings in quanto manca il riferimento al testo preesistente come nelle Trascrizioni.
NT: In qualche modo è bello che ogni tua serie abbia un inizio e una fine.
IB: È un dato di fatto. Anche io ho abbozzato un “percorso creativo” con le date come guida e promemoria, anche per me, per contrastare la mia tendenza ad inquadrare tutto in decenni: gli anni Settanta, gli anni Novanta.
NT: È una posizione interessante considerando il tuo legame con il linguaggio; ogni tua serie ha un inizio e una fine però non ti piace definirle con i numeri ma preferisci le parole “novanta”, “settanta”…
IB: Io dichiaro l’inizio, l’anno di nascita dei cicli, una data indicativa, un periodo, poi, per l’esatta attribuzione si trova la data su ogni lavoro e in alcuni cicli è parte integrante del titolo. Indicare la sequenza, un ordine può essere utile specialmente per chi non conosce il mio lavoro.
NT: In realtà penso sia abbastanza lineare: si parte con le scritture molto rigide degli anni Settanta e si arriva a un movimento sempre più libero e consapevole.
IB: Sì, lo è. Devi pensare che lo spostamento del punto di vista, il nuovo approccio, dunque nuovi strumenti, nuova tecnica era ogni volta un ricominciare, elettrizzante per l’aspetto creativo, il baratro dell’incognita, ma molto faticoso per i rapporti con l’esterno. Il nuovo lavoro andava presentato. Comunque, ogni ciclo ha avuto la mostra e una pubblicazione; poi, possibilmente, vengono dietro gli altri… molti hanno capito solo dopo vent’anni.
NT: Come ti senti nell’associazione del tuo lavoro con la parola “spiritualità”.
IB: Il mio lavoro è un esercizio spirituale, è contemplazione, è dimenticare sé e il mondo, è ignorare il corpo, è tastare i limiti del corpo. Tento di vivere l’esperienza nella sua totalità. Non solo il segno, il visivo, ma anche il suono che lo strumento scritturale produce oppure il rumore dell’espirare nel accompagnare l’“escriversi” segnico. Guardo e ascolto il mondo, tasto il polso del mondo. Oggi viviamo in un totale caos e io ho cercato di individuare l’essenza di questo caos: sono resti, resti di linguaggio, frammenti, tutto sigle, abbreviazioni, riduzioni, senza coesione, senza corpo, senza anima. Ho dato forma a questo mondo frammentato. Ho scelto poche lettere dei Global writings e le ho raggruppate in unità linguistiche, le ho dato un nuovo ordine lineare guardando alla realtà, alla comunicazione online. Infatti la nuova pubblicazione che facciamo con la galleria P420 si chiama Online.
NT: Pensi che la tua attenzione così speciale al linguaggio si rifletta nella tua vita, nel modo in cui tu comunichi? Non penso solo al tuo lavoro, ma anche verbalmente…
IB: Vorrei essere precisa, vorrei individuare la sostanza di un argomento; anche nei titoli dei miei lavori volevo che il titolo rimandasse senza equivoci all’essenza del mio esercizio, del mio concetto. In questo la lingua tedesca è insuperabile. “Schriftzug=Atemzug” [Escrivere = Espirare]: non avrei potuto dirlo più correttamente in un’altra lingua.
NT: Si potrebbe dire la stessa cosa della lingua inglese, che è molto pragmatica.
IB: La puoi modellare e poi oggi c’è una grande libertà, mai come oggi vengono accettati nuovi termini, fantasiosi e bizzarri, creativi. Un passo in avanti.
NT: Tuttavia, il tedesco rimane la lingua esatta per eccellenza.
IB: Eigenschriften (Self Writing) non avrei potuto dirlo in un’altra lingua.