Jasmine Gregory, Self Giving Birth Ever Miscarried, 2021. Olio e glitter su lino. 400 x 220 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, War Diaries: Will to Adorn, 2021. Olio si lino, seta, resina, glitter, e strass. 210 x 170 cm. Self Giving Birth Ever Miscarried, 2021. Olio e glitter su lino. 400 x 220 cm. Sissi, 2021. Olio, pizza, glitter, tovagliolo, inchiostro, e plastica su lino. 13 x 20 cm. Struggle Porn, 2021. Resina, strass, glitter, olio, e metallo su seta. 90 x 160 cm. Copy Me: Bad Clone, 2022. Divano in ecopelle bianca a U componibile con 5 posti, vasetti, olio su cotone, e plastica. 348 x 168 x 83 cm. Boy Leftovers, 2022. Olio su tela. 13 x 20 cm.
Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, Never Trust a Woman Who Wears Mauve, It Always Means That They Have a History, 2022. Olio, cellophane, e strass su lino. 120 x 130 cm. A Thing Among Things, 2021. Olio e glitter su lino. 110 x 90 cm. Call Me Ms. Bitch, Because I Don’t Miss, Bitch, 2021. Olio su lino. 200 x 170 cm. War Diaries: Will to Adorn, 2021. Olio si lino, seta, resina, glitter, e strass. 210 x 170 cm. Copy Me: Bad Clone, 2022. Divano in ecopelle bianca a U componibile con 5 posti, vasetti, olio su cotone, e plastica. 348 x 168 x 83 cm. Paint Abortions, 2022. 6 vasetti con colori ad olio ricoperti di tessuto. 19 x 7 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, Never Trust a Woman Who Wears Mauve, It Always Means That They Have a History, 2022. Olio, cellophane, e strass su lino. 120 x 130 cm. A Thing Among Things, 2021. Olio e glitter su lino. 110 x 90 cm. Call Me Ms. Bitch, Because I Don’t Miss, Bitch, 2021. Olio su lino. 200 x 170 cm. Copy Me: Bad Clone, 2022. Divano in ecopelle bianca a U componibile con 5 posti, vasetti, olio su cotone, e plastica. 348 x 168 x 83 cm. Paint Abortions, 2022. 6 vasetti con colori ad olio ricoperti di tessuto. 19 x 7 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, Copy Me: Bad Clone, 2022. Dettaglio. Divano in ecopelle bianca a U componibile con 5 posti, vasetti, olio su cotone, e plastica. 348 x 168 x 83 cm. Paint Abortions, 2022. Dettaglio. 6 vasetti con colori ad olio ricoperti di tessuto. 19 x 7 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, Copy Me: Bad Clone, 2022. Dettaglio. Divano in ecopelle bianca a U componibile con 5 posti, vasetti, olio su cotone, e plastica. 348 x 168 x 83 cm. Paint Abortions, 2022. Dettaglio. 6 vasetti con colori ad olio ricoperti di tessuto. 19 x 7 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, Self Giving Birth Ever Miscarried, 2021. Dettaglio. Olio e glitter su lino. 400 x 220 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, Struggle Porn, 2021. Resina, strass, glitter, olio, e metallo su seta. 90 x 160 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Nel 2017, sulla scena culturale degli Stati Uniti si accese un aspro dibattito legato alla presenza di una tela dell’artista newyorkese Dana Schutz, intitolata Open Casket (2016) alla Whitney Biennial. L’opera rimandava direttamente all’omicidio del quattordicenne afroamericano Emmett Till in Mississipi nel 1955, uno degli episodi di cronaca più drammatici e simbolici per la lotta a favore dei diritti civili negli USA. Al netto delle forti polemiche che circondarono il lavoro (secondo i detrattori, che chiesero l’immediata rimozione dell’opera dalla mostra, non era eticamente accettabile che un’artista bianca si appropriasse di un riferimento storico tanto legato alle questioni razziali), parte del valore estetico dell’opera di Schutz stava nel suo tentativo di affrontare, con il medium più tradizionale e un evidente rimando alle avanguardie novecentesche, un tema dal forte peso socio-politico in quel momento.
In un modo non dissimile, il lavoro di Jasmine Gregory (1987, Washington D.C.) è completamente immerso nella contemporaneità più militante, pur nella piena consapevolezza del passato estetico e sociale. Gli occhi dell’artista, di base a Zurigo, sono infatti aperti sui nodi brucianti della nostra epoca e sui suoi mezzi espressivi: è evidente nelle sue opere la presa di coscienza delle tematiche legate ai diritti civili in tutte le loro declinazioni – l’identità di genere, le questioni razziali ecc.; così come sono strettamente attuali la gamma cromatica, l’utilizzo di un’estetica camp e di un alfabeto visivo post-pop. E, non da ultimo, la familiarità con il mondo tecnologico, presente ad esempio nel rimando alla tecnica del Greenscreen, o a reality televisivi (come nella sua personale “Trouble at Casa Amor”, da Karma International, Zurigo del 2020) – oltre allo stesso utilizzo di archivi di immagini tratte dai social.
Questo racconto consapevole dell’attualità occidentale, però, lascia ampio spazio a rimandi alla tradizione artistica più canonica. Il principale mezzo espressivo di Gregory è infatti la pittura, per quanto inquinata da incursioni di diversa natura: i lavori esposti nella personale “Mommie dearest” all’Istituto Svizzero di Milano, allestiti in una sorta di stage teatrale, denotano una certa attenzione al medium in quanto tale, portavoce di una tradizione di cui si esplicitano le parentele.
Jasmine Gregory, Call Me Ms. Bitch, Because I Don’t Miss, Bitch, 2021. Olio su lino. 200 x 170 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, Never Trust a Woman Who Wears Mauve, It Always Means That They Have a History, 2022. Olio, cellophane, e strass su lino. 120 x 130 cm. A Thing Among Things, 2021. Olio e glitter su lino. 110 x 90 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, Struggle Porn, 2021. Resina, strass, glitter, olio, e metallo su seta. 90 x 160 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, Struggle Porn, 2021. Dettaglio. Resina, strass, glitter, olio, e metallo su seta. 90 x 160 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, War
Diaries: Will to Adorn, 2021. Pittura ad olio su lino, seta, resina, glitter, e strass. 210 × 170 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano,
2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, War
Diaries: Will to Adorn, 2021. Dettaglio. Pittura ad olio su lino, seta, resina, glitter, e strass. 210 × 170 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano,
2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, War Diaries: Will to Adorn, 2021. Dettaglio. Pittura ad olio su lino, seta, resina, glitter, e strass. 210 × 170 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
Jasmine Gregory, Sissi, 2021. Dettaglio. Olio, pizza, glitter, tovagliolo, inchiostro e plastica su lino. 13 x 20 cm. Veduta della mostra “Mommie Dearest” presso Istituto Svizzero, Milano, 2022. Fotografia di Giulio Boem. Courtesy Istituto Svizzero, Milano.
I riferimenti sono ad esempio alla ritrattistica barocca – evidenti in Call me Ms Bitch, Because I Don’t Miss, Bitch (2021), il lavoro che meglio sintetizza le tendenze di cui stiamo parlando; le pennellate nel trittico Self Giving Birth Ever Miscarried (2021) sono quelle delle avanguardie astratte, mescolate agli strass del pop; l’utilizzo del collage in Never Trust a Woman who Wears Mauve, It Always Means That They Have a History (2022), o del bicchiere di Martini in A Thing Among Things (2021) sono quelli del cubismo sintetico. Ma sono presenti anche riferimenti, molto più recenti, a David Hammons e Rosemarie Trockel. Quest’ultima è all’origine dell’installazione posizionata al centro dello spazio Copy Me: Bad Clone (2022): lavoro apparentemente meno interessante sul piano artistico, ma di fatto crocevia importante dei temi cari a Gregory – nonché perno allestitivo attorno a cui ruota tutto il palcoscenico della sala. Il rimando è apertamente al design industriale occidentale ma anche, di nuovo, alla storia dell’arte più canonica – con tre vasetti di colore ormai secchi posizionati per terra accanto al divano.
Resta quindi da chiedersi quale sia il reale atteggiamento dell’artista nei confronti di questa tradizione: l’ostentata piega ironica – quasi satirica – con cui sono trattati i soggetti della storia dell’arte, probabilmente è solo una delle chiavi interpretative, che nasconde una riflessione sulla modalità di restituzione di questa tradizione. Ciò che viene rifiutata è la declinazione tradizionale dal punto di vista di maschio caucasico di una storia scritta per secoli nello stesso modo, che è parte integrante di noi ma di cui è possibile proporre nuovi canoni. Come a dire, forse, che la pittura è una lingua più viva che mai, ma i vasetti attuali sono obsoleti ed è ora di sostituirne i colori.