Quando, alla Biennale di Venezia del 1999, Katarzyna Kozyra ricevette la menzione d’onore per la videoinstallazione Men’s Bathhouse — un lavoro che unisce gli elementi classici della performance a quelli della mise-en-scène mentre esplora un territorio per tradizione esclusivamente maschile — la maggior parte dei critici non riscontrò altro che una forte componente femminista nell’opera (una donna che si addentra in un luogo riservato agli uomini) e/o la sua vena provocatoria (la candid camera e una qualche violazione della privacy). Un tale modello interpretativo sembrò in seguito confermare la reazione ai suoi primi lavori.
Kozyra debuttò nel 1993 con la sua tesi di laurea, Pyramid of Animals, che all’epoca divenne un caso mediatico in Polonia, dibattuto sia dalla stampa che dai talk show televisivi. In un Paese dove era rarissima la dimostrazione d’interesse nei confronti dell’arte contemporanea, questo avvenimento rappresentò qualcosa di davvero straordinario. Perché l’opera suscitò una simile attenzione e un dibattito così acceso? Pyramid of Animals è un’installazione formata da una scultura dove un cavallo, un cane, un gatto e un gallo imbalsamati sono posti uno sopra l’altro. È facilmente riconoscibile il riferimento alla favola dei fratelli Grimm I musicanti di Brema anche se l’artista sostituisce l’asino con un cavallo. All’opera si accompagnava un testo in cui l’artista spiegava il processo di realizzazione della scultura. Fu proprio quel testo — che rivelava tecnica e propositi dell’opera — a suscitare maggiore dissenso. In esso, Kozyra ammetteva di aver scelto gli animali utilizzati tra quelli già destinati al macello; di aver partecipato al processo di macellazione e scuoiamento del cavallo e di averlo filmato (il video fa anch’esso parte dell’installazione); infine, affermava che il processo di realizzazione e la partecipazione al macello erano stati per lei importanti tanto quanto il risultato finale di una qualsiasi scultura, se non di più. Questa confessione indignò non solo i professori dell’Accademia, ma anche i media e il pubblico. Kozyra ottenne la sua laurea, ma l’Associazione degli Artisti in Polonia inviò un reclamo ufficiale sia al Ministro della Cultura che all’Accademia. I media diedero il via a una campagna d’odio, accusando l’artista di aver ucciso gli animali a scopi puramente esornativi e l’arte contemporanea di usare tattiche scioccanti, prive di tecnica. Si misero in discussione persino la moralità e i limiti dell’arte. Pochi afferrarono il vero messaggio di Pyramid of Animals, che rappresentava una riflessione sulla morte, l’assassinio, e sul loro significato nella cultura contemporanea, e non un lavoro sugli animali. Il messaggio dell’artista era un altro: e cioè che la cultura contemporanea è una cultura di morte, che l’uccisione degli animali è un episodio quotidiano, ma soprattutto comunemente accettato, a patto che segua certi standard arbitrari.
In seguito, l’installazione fotografica Olympia (1996), in cui l’artista mostra il suo corpo segnato dalla malattia mentre posa esattamente come l’Olympia di Manet; la videoinstallazione Women’s Bathhouse (1997), in cui Kozyra esibisce una femminilità naturale e spontanea attraverso una telecamera nascosta in un bagno turco di Budapest; infine, il già menzionato Men’s Bathhouse (1999), dove, con un pene finto, l’artista si introduce nell’area esclusivamente riservata agli uomini, sembrano tutte confermare un’immagine scandalosa di un’artista che va oltre i tabù culturali, associati in questo caso al corpo e agli stereotipi e ai comportameni sociali. Kozyra li viola e li trasgredisce, alimentando controversie ed esponendosi alle critiche del pubblico offeso.
La svolta — non tanto per l’artista quanto per l’accoglienza riservata alle sue opere — arriva con Rites of Spring (1999-2002), una videoinstallazione basata sulla reinterpretazione di una coreografia originale di Nijinsky per un balletto di Stravinsky. La coreografia, presentata per la prima volta all’inizio del secolo scorso, suscitò subito scandalo per i movimenti convulsi e spastici dei ballerini, lontani dal balletto più tradizionale. Kozyra ricostruì una parte di quella coreografia attraverso l’animazione, che le permise di assegnare il ruolo del Prescelto (una parte difficile per qualsiasi attore professionista) ad alcuni anziani. Stesi su un pavimento bianco, nudi, con attributi sessuali finti (donne con peni, uomini con vagine), sistemati da animatori professionisti e fotografati dall’alto (più di 20.000 scatti), interpretano un assolo o danzano insieme al corpo di ballo. Le videoproiezioni erano sistemate in modo da formare due cerchi. Nel cerchio interno, tre schermi mostrano i solisti che danzano nella parte della Vittima — la fanciulla prescelta che danzerà fino alla morte, sacrificata alla Primavera. Nel cerchio esterno, invece, sei schermi mostrano la performance dell’intero corpo di ballo — una folla di uomini anziani che circonda la Vittima. Lo spettatore, in un certo senso, sta in mezzo: tra il gruppo degli anziani ballerini e la Vittima, costretta a danzare.
In Rites of Spring, Kozyra rivela per la prima volta il suo legame col palcoscenico. Per certi versi, si tratta di un lavoro atipico: Kozyra, infatti, qui è la “grande assente”. Mentre nel video di Pyramid of Animals fa una breve apparizione (nei panni di una testimone che osserva all’entrata), ci appare nelle vesti di Olympia in un letto d’ospedale, si intravede mentre sistema l’obiettivo della telecamera nascosta nel bagno turco delle donne, è la protagonista in Men’s Bathhouse, in Rites of Spring invece è il regista invisibile e appare soltanto nel documentario girato sul set — mentre sistema i suoi ballerini e partecipa fisicamente alla “de-costruzione” della danza.
Il lavoro più recente di Kozyra, Faces (2005), ha ancora a che fare col balletto. Formalmente, esso appare molto simile — lo spettatore è circondato da schermi enormi che mostrano dei visi deformati da smorfie dovute all’intensa concentrazione e alla tensione. Bocche serrate, pupille in continuo movimento, fronti contratte solcate da gocce di sudore. Sono volti di ballerini: classici, moderni, hip hop, immagini catturate durante i loro spettacoli, ripresi in modo che nella proiezione non si veda mai il corpo. Si vedono invece i volti, che generalmente è impossibile scrutare durante lo spettacolo. Come in Rites of Spring, anche qui la danza subisce un processo di smontaggio, ridotta in frammenti di singoli movimenti e sequenze, che vengono poi riassemblati, in modo tale che in Faces il corpo dell’attore appaia del tutto smontato. Ciò che fino ad ora era una totalità integra, ora diventa visibile solo per frammenti. Lo spettatore si ritrova in un vortice di volti, può guardare e a sua volta essere guardato.
Nella videoinstallazione Punishment and Crime (Castigo e Delitto) del 2002, Kozyra ha a che fare con alcuni stereotipi cinematografici. Il titolo è ovviamente il capovolgimento di quello del famoso romanzo di Dostoevsky. Per realizzare il film, Kozyra ha frequentato un gruppo di giovani con l’hobby per le armi e le esplosioni. I luoghi dove si incontrano sono spesso posti isolati, per dare libero sfogo alla loro passione, e sparare all’impazzata con armi acquistate illegalmente ed esplosivi. Uno schermo più grande mostra il trailer di un film — alcuni minuti di una classica sequenza d’azione: un deposito salta in aria, mentre un’auto esplode, e ancora fuoco, esplosioni, mitragliatrici, lanciafiamme. I protagonisti di questi combattimenti indossano maschere da pin up, parrucche e collane fatte di pallottole. Tra le voci che commentano le esplosioni, si sente anche quella dell’artista. Le sequenze al rallentatore mostrano di tanto in tanto la spettacolarità delle esplosioni, catturando l’attenzione di chi guarda. Il senso di questa azione sta nella sequenza che trasmettono sei piccoli schermi. Ognuno dei sei filmati è il resoconto di oltre due ore di preparazione per le esplosioni e le cannonate che appaiono nel trailer.
La costruzione (il montaggio del deposito e la preparazione dell’auto) introduce alla distruzione. L’ultimo monitor mostra infine il castigo. Raggi di sole illuminano i rami di un albero, da cui pendono dei corpi. La performance artistica diventa mise-en-scène. Cosa è reale e cosa è cinematografico? Qual è il documentario e qual è il film? I protagonisti sono donne o uomini? Genere femminile e maschile si confondono. Cosa è vero e cosa è falso? Sono esplosioni finte o è vera dinamite?
Da oltre due anni, Kozyra sta lavorando a “In Art Dreams Come True”, un progetto che unisce gli elementi della performance a quelli della mise-en-scène, elemento già rilevato dalla giuria di Venezia a proposito di Men’s Bathhouse. Con il senno di poi, infatti, è ancora più interessante un codice di interpretazione di questo tipo rispetto alla definizione di “provocatrice” o “femminista”. In questo caso, Kozyra è la regista, organizza lo spazio in cui dovrà esibirsi, è l’attrice principale e, allo stesso tempo, è uno strumento nelle mani di altri. Il canovaccio della storia è semplice: sperando di diventare una “vera donna” e una “vera star”, l’artista finisce per mettersi nelle mani di alcuni specialisti: Gloria Viagra, travestito e DJ berlinese che per Kozyra rappresenta l’ideale della vera femminilità (trucco, stile, abiti), e Maestro, un cantante d’opera che dà lezioni di canto all’artista e la introduce nel mondo artificiale e convenzionale dell’opera. Con Gloria (e un trucco intonato), Kozyra fa shopping e frequenta night club e gallerie. Con Maestro, fa noiosi esercizi vocali, rilassando i muscoli che regolano l’emissione della voce. Con Gloria si esibisce in uno striptease in un night club per il compleanno di lei; con Maestro sale sul palco di un teatro, dove canta arie di Mozart e Gounod sotto la severa supervisione del precettore, dando una continua dimostrazione di incapacità.
Col tempo, i due mondi iniziano a confondersi e la maschera diventa un cardine essenziale di questo “Teatro della Metamorfosi”. Nelle sue continue trasformazioni, Kozyra è ora una diva dell’opera, ora la Madonna di Fatima, mentre Maestro è un cardinale che indossa una maschera da topo. A questo punto Kozyra diventa Lou Salomé, Maestro è invece un cane che interpreta Rilke. Anche gli abitanti della città di Pelago, in Toscana, e di Regensburg, in Bavaria, nonché i cani di Roma, per i quali è stata messa in scena l’ultima performance (Lou Salomé a Roma) hanno assistito a queste metamorfosi. Come si legge nel catalogo della presentazione di Kozyra al CAC di Varsavia: “Il creazionismo anarchico la spinge in un vortice di mistificazione e a una totale negazione dei limiti, nel continuo creare e distruggere le convenzioni. La sua principale ispirazione è il meccanismo per cui la costruzione avviene in concomitanza con la distruzione, e un’attrazione per la mutevolezza delle forme”.