Cominciamo con il cercare una definizione condivisibile della parola ARTE.
ARTE è il lavoro, qualsiasi lavoro, che permette di creare ciò che prima non c’era, esprimendo se stessi.
Con il proprio lavoro gli artisti raccontano di sé, la propria visione del mondo o di quella parte di esso che osservano e da cui traggono ispirazione. Raccontano i propri sentimenti insieme a quelli degli altri. Mostrano il proprio punto di vista. In sostanza, esprimono. Dunque: L’Arte è il lavoro più utile al fine dell’esplicazione della funzione umana dell’espressione per tramite della creazione.
Alcuni artisti creano delle opere che qualcuno vuole possedere e che quindi le acquista. Ad altri il lavoro viene commissionato. Altri ancora creano opere che trovano spazio nei musei ove testimoniano lo stato dell’arte in un momento storico. Taluni artisti usano, raccontano, creano il “brutto”, componente essenziale per la rigenerazione. Talaltri contestualizzano o astraggono. Ma tutti lavorano per comunicare, condividere e affermare il proprio essere e vendere le loro opere. Il motivo principale per scattare una fotografia è quello di far vedere agli altri quello che abbiamo già visto, come lo abbiamo visto, come lo abbiamo “sentito”. A volte per ricordarlo e farlo ricordare.
Può accadere che qualcuno riesca in questa impresa così bene che tanti altri finiscono per voler vedere, o sentire, come lui. O anche “far” vedere agli altri come vede lui, come “sente” lui. E se per far ciò l’autore della fotografia viene pagato, farà il fotografo. Se non lo paga nessuno farà il fotoamatore. Così semplicemente nasce la fotografia commerciale. Più viene chiesto a un fotografo di rappresentare (comunicare) un prodotto dal suo punto di vista e più questo fa vendere il prodotto stesso, più il fotografo lavora e guadagna. E fa guadagnare il committente (cliente).
Un fotografo commerciale esprime se stesso raccontando il prodotto di un altro. Il suo punto di vista su quel prodotto, che trasporta e contestualizza nel proprio mondo per raccontarlo a proprio modo, può destare emozione e memoria. E può far vendere di più: in questa circostanza viene pagato meglio.
Questo meccanismo fa sì che si storca il naso quando si tenta di definire ARTE la fotografia: perché l’aspetto della finalità commerciale della fotografia è principale. Ma il fatto che un pittore venda molto e bene lo rende meno artista? Che uno scultore realizzi multipli delle sue opere per venderne di più lo rende meno artista? Forse la discriminante sta nel fatto che il fotografo aiuta con il suo lavoro la vendita di prodotti altrui.
Poi ci sono i fotografi che con le loro foto non vendono un bel niente, se non le foto stesse. Ma quelli guai a chiamarli fotografi… Sono infatti artisti che “usano” la fotografia come mezzo espressivo per realizzare le loro opere, ma non ne vengono sporcati…
Insomma, commercializzano le loro opere e non quelle degli altri, quindi sono più puri. E tutti concordano nel definirli artisti. Però, l’artista che usa la fotografia, per accrescere il valore della sua opera e guadagnare di più, è costretto a limitarne il numero di esemplari per definirne il valore. Ovvero ne frustra l’essenza stessa e l’indole in nome del mercato.
Quando la fotografia è creata al fine di condividere la propria visione e il proprio sentire e non necessariamente per promuovere la vendita di un prodotto; quando una fotografia arriva al cuore o allo stomaco e chi l’ha creata spera che qualcuno se la compri e magari ne commissioni delle altre, allora è ARTE? Lo chiedo perché è questo che fanno tutti gli artisti, con lo specifico del loro mestiere di pittori, musicisti, scultori, fotografi e non. E che dire ora che la fotografia finisce di vivere e comincia a morire, insieme alla sua compagna di sempre: la carta stampata? E non vende più nulla né nulla potrebbe più vendere sui nuovi media dove sovrani sono il movimento e il suono? Forse tra le sue ceneri rimarranno confuse polemiche. Mentre alla fotografia non resterà altro che rifarsi d’arte.E gli artisti di cui si dice che sono troppo commerciali? Sono quelli nel cui lavoro si palesa troppo la volontà di vendere le proprie opere rispetto alla motivazione intrinseca, pura, del “bisogno di creare”, della febbre dell’arte che fa bruciare fronte e labbra degli artisti “meno commerciali” o “commerciali al punto giusto”? Fermiamoci qui, ma solo per ricordare che un’opera può anche non essere immanente: un concerto, un balletto sono un’opera realizzata dal talento di un interprete che termina con la calata del sipario. Ma ciò che rimane ed è stato prodotto è l’arricchimento e la crescita del pubblico che lo ha seguito. E solo il grande talento di chi sa raccontare e creare esprimendosi si può definire ARTE ed è capace di tanto. Torniamo a discutere e a parlare di talento, ovvero di ciò che permette a un artista di toccarci dentro. E non parliamo solo di mercato né di media, né solo di tasche, collezionismo e aste.
Come l’acqua va naturalmente al mare, così il talento vero sa trovare la via al sentimento tramite il lavoro dell’ARTE: tutta.