A che punto siamo? è il titolo che abbiamo scelto per un recente libro, che dà conto del primo convegno dedicato a esaminare lo stato dell’arte della fotografia in Italia, declinato nei suoi possibili aspetti — collezionismo, editoria, didattica. Si sentiva il bisogno di fare il punto, e soprattutto, di chiedersi a che punto fosse, oggi, la fotografia in Italia? Sì, ce n’era veramente bisogno. E il positivo clamore dell’iniziativa, che verrà duplicata nel marzo 2012 presso la Fondazione Forma di Milano, lo testimonia.
Un’iniziativa necessaria perché mai come in questo periodo assistiamo a un successo fotografico, ampio e diversificato, che coinvolge nel nostro paese luoghi espositivi (dove sempre più si organizzano mostre fotografiche, anche se in modo a volte troppo casuale), testate giornalistiche (dove “l’ampio spazio” per le foto è spesso più una dichiarazione di intenti che un impegno effettivo), librerie ed editori specializzati (che ingaggiano una dura lotta per affermare la propria specificità), scuole e corsi di formazione (non certo sufficienti), città e province (sedi di fiere e festival). Insomma, se di fotografia si nutre ormai, a vario titolo, un’ampia fetta di popolazione — soprattutto giovani, attenti a quel che avviene in questo campo —, è forse arrivato il tempo perché anche in Italia si possa costruire un sistema virtuoso che intorno alla fotografia aggreghi iniziativa privata e strutture pubbliche, scuole e gallerie, case editrici e pagine culturali dei quotidiani, esattamente come avviene in paesi come la Francia o la Germania.
E di “fare sistema” se ne sente la necessità, anche per sostenere e accompagnare il lavoro di autori italiani ormai celebri e celebrati nel mondo. Nel campo dell’arte e del collezionismo, nomi come Gabriele Basilico, Massimo Vitali, Paolo Ventura, Olivo Barbieri, Massimo Siragusa, ricevono un continuo interesse dal mercato e le loro quotazioni sono in costante aumento. Proprio l’immagine di un autore italiano, il Tuffatore (1951) di Nino Migliori, è stata scelta da un importante quotidiano francese come simbolo dell’ultima edizione di Paris Photo — principale fiera del collezionismo fotografico — e analizzata a fondo nei suoi possibili aspetti formali e simbolici. E se un autore come Mimmo Jodice viene invitato a esporre al Louvre un suo lavoro realizzato espressamente per il museo, Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna, Piergiorgio Branzi espongono in contesti internazionali dove si esalta il prezioso contributo italiano alla storia delle fotografia. Non è solo una questione di “grandi nomi” ma di un tessuto — si potrebbe forse già chiamarlo un indotto — che lavora seriamente nel mondo della fotografia proponendo per esempio una fiera come il MIA (Milan Image Art Fair), nuova nell’impostazione ma già affermata internazionalmente, una casa della fotografia come la Fondazione Forma di Milano, che espone le mostre più importanti del nostro paese e accoglie dibattiti e incontri, un centro propulsore come il Museo fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo. Allo stesso tempo, il recente annuncio della prossima apertura (si parla del 2014) di un museo della fotografia a Roma (successivamente “derubricato” a Dipartimento di Fotografia del Macro), conferma la realtà viva di un paese dove si “mastica” fotografia tutti i giorni anche se, indubbiamente, c’è ancora molto da fare.
Il cahier des doléances della fotografia non può che cominciare denunciando la scarsa partecipazione delle istituzioni, in gran parte assenti o troppo spesso distanti. Così, una mostra molto importante può casualmente cadere all’interno di un cartellone dove magari la fotografia è vista più come propaganda politica che come valida iniziativa espositiva. Manca insomma quella coerenza di programma che, al contrario, caratterizza altri ambiti e altri spazi espositivi. Anche in un campo cruciale come quello dell’educazione, si deve rilevare come i pochi corsi universitari esistenti lascino il campo a iniziative private (spesso meritorie, per carità) nell’organizzare corsi anche pluriennali dove però il controllo del livello didattico non è, ovviamente, sempre possibile. Le gallerie che espongono fotografie con regolarità e costanza scarseggiano e, ancor più grave, nei giornali l’attenzione alla fotografia appare discontinua, poco approfondita. Recensioni ragionate e critiche, come avviene per la narrativa o per il cinema, sembrano merce rara e, tutt’al più, si assiste periodicamente a qualche soprassalto di dotti filosofi, sociologi o critici che in lunghi articoli espongono la loro meraviglia nel costatare come la fotografia esista e, incredibile, abbia anche un seguito (il famoso florilegio di articoli con titoli come “l’Italia è tutta un clic” e via dicendo).
Eppure, un dibattito serio e approfondito sulla fotografia in quanto linguaggio autonomo, come nelle sue implicazioni ovvie o inaspettate con letteratura, cinema e arti plastiche, ha cercato di fare capolino di tanto in tanto, fin da quando, nell’immediato dopoguerra, si è riconosciuto proprio alla fotografia quel valore unico e irripetibile di documento storico — fosse anche di denuncia — non privo di lirismo di cui l’Italia era evidentemente affamata. Una lettura errata e semplicistica tende a omologare questo tipo di immagini al Neorealismo cinematografico. Più giusto sarebbe usare il semplice termine di Realismo Fotografico per autori come Gianni Berengo Gardin, Nino Migliori, Piergiorgio Branzi, Ferdinando Scianna, Pepi Merisio, Mario De Biasi e gli altri che dal dopoguerra hanno cercato di guardare in maniera diversa al nostro paese, usando anche letture alla francese (Cartier-Bresson, Doisneau e Ronis sono stati maestri nel raccontare una realtà fatta di immagini estemporanee e perfette, in un’oscillazione tra “istante decisivo” e foto posata) o assimilando la lezione americana di LIFE e della FSA (Farm Security Administration) che aveva documentato la siccità e la crisi USA degli anni Trenta. Si tratta di autori italiani che non si sono accontentati di guardare alla propria dimensione in un modo stereotipato ma, a costo semmai di inventare altri stereotipi, hanno cercato di lavorare nel profondo facendo riemergere idee e immagini del passato e della memoria come unica possibilità per guardare il presente. Mario Cresci, Carla Cerati e poi ancora Mimmo Jodice hanno condotto una ricerca originale e mirabile. Così, un autore fuori da ogni schema come Mario Giacomelli ha saputo creare il suo intimo e universale universo drammatico di forme e di segni — figure nere in attesa del bianco — che ancora incanta.
Ed è stata la specificità italiana, l’essere profondamente ancorati alla provincia e proprio per questo riuscire a farsi comprendere a ogni latitudine, a fare della lezione italiana di un genio come Luigi Ghirri il contributo teorico forse più originale e ancora attuale della nostra fotografia. Nessuno come Ghirri ha insegnato a osservare in modo diverso il nostro territorio, a sorprendere a sorprenderci in quel “Viaggio in Italia” che ha condotto aggregando accanto a sé una vera e propria scuola di nuove visioni che ancora sanno parlare in modo autonomo e originale. Autonomia, originalità, respiro internazionale: anche il lavoro di Ugo Mulas (soprattutto le sue “Verifiche”) come l’esplorazione teorica di Franco Vaccari (che sviluppava una serie di operazioni estetiche interrogandosi intorno al rapporto con gli strumenti usati) hanno saputo rinnovare il dibattito teorico in modo importante.
E se oggi la rapidità dell’informazione e la presenza ossessiva delle immagini pongono nuove sfide alla fotografia, proprio da alcuni autori italiani viene la proposta di nuove, valide modalità visive che traghettano con successo il linguaggio verso derive più artistiche. Autori come Massimo Vitali, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Vincenzo Castella, Luca Campigotto, solo per citare alcuni nomi, hanno costruito un solido profilo d’artista. Altri, come Antonio Biasiucci o Paolo Gioli, hanno confermato quell’unicità italiana, come in passato Mario Giacomelli. Biasiucci rappresenta in modo straordinario la forza che la fotografia ha nel permettere all’artista di esprimere una propria visione intima delle cose. Così come per Paolo Ventura, affermatosi tra New York e l’Italia, la creazione di immagini relative a ricordi immaginati (o ascoltati) costituisce la formula originale della propria creazione.
Anche la documentazione giornalistica, mai come in questo periodo, trova voci nuove e originali proprio in Italia. Paolo Pellegrin lavora in modo incessante sull’attualità internazionale affermando uno stile personale nel fotogiornalismo che gli ha fruttato una serie ininterrotta di riconoscimenti internazionali. Sulla stessa strada, trovando ognuno cifre narrative diverse, si muovono Alex Majoli, Massimo Berruti, Francesco Zizola, Davide Monteleone, Riccardo Venturi. Giovani fotografi come Alessandro Imbriaco, Moira Ricci, Simona Ghizzoni, Nicolò Degiorgis completano un quadro vivacissimo e pieno di talenti che conferma il momento positivo per la fotografia italiana.
Un momento ricco di fermenti, di modalità linguistiche, di autori. Ma ricco anche, per esempio, di importanti proposte editoriali, a cominciare dal grande volume di Paolo Morello (La Fotografia in Italia 1945-1975), che per la prima volta affronta in modo sistematico e con grande dovizia di documenti la storia della fotografia nel nostro paese; per continuare con il primo volume dell’opera edita da Skira La Fotografia, a cura di Walter Guadagnini, con testi di Francesco Zanot, Elizabeth Siegel e Quentin Bajac. Anche il nuovo volume Percorsi della fotografia in Italia di Maria Antonella Pelizzari (Contrasto, 2011), come la Storia culturale della fotografia italiana di Antonella Russo (Einaudi, 2011) e altri testi usciti in questi mesi confermano la tendenza.
Stiamo quindi vivendo un momento d’oro e di grande attenzione per la fotografia italiana. Un momento che deve poter vedere in primo piano l’impegno delle istituzioni pubbliche nel creare un numero maggiore di corsi universitari, nel sistemare e valorizzare gli archivi esistenti, nel sostenere quelle realtà museali ed espositive che agiscono con continuità e a volte sulla base di iniziative personali. Un passo essenziale per costruire quel “sistema virtuoso” della fotografia che ancora manca nel nostro paese.