Il famoso monito di Joseph Beuys “La rivoluzione siamo noi”, rievocato nel titolo della mostra, è un manifesto di autoaffermazione, un invito a resistere alle aspettative esterne per costruire sulle proprie scelte le fondamenta di un libero arbitrio intellettuale, sociale ed estetico. Nelle premesse del curatore Alberto Fiz, questa esortazione diventa uno strumento per incorniciare il collezionismo privato come un atto rivoluzionario, espressione di un investimento culturale mai scontato, capace di salvaguardare una memoria dell’arte contemporanea e, nelle proprie scelte, costruire una responsabilità etica ed estetica.
Seppur tale generosa definizione non sia applicabile a ogni raccolta privata, sicuramente rispecchia la serietà e la costanza delle ricerche a cui la mostra è dedicata, offrendo uno sguardo sulla ricchezza delle collezioni private italiane.
Superata la prima sala dedicata alla complicità fra artisti e mecenati – una raccolta di ritratti di committenti, dalla Famiglia Consolandi di Thomas Struth (1996) alla Famiglia Palmigiano di Alice Ronchi (2019) – questa “collezione di collezioni” sceglie di privilegiare le assonanze trasversali tra opere e artisti per guidare la nostra attenzione attraverso sessant’anni di arte italiana e internazionale, non riuscendo però risaltare la specificità delle singole raccolte, poste in secondo piano rispetto a un percorso tematico unificante più celebrativo che storico o critico.
Collegamenti e dialoghi formali sono suggeriti fra Combustione di Alberto Burri (1959, Coll. Consolandi), le resine oleose colate dai barili di Jimmie Durham (Spring Fever, 2010, Coll. Giuliani) e le esplosioni riprodotte sulla delicata stoffa di Robert Rauscheberg (Hoarfrost, 1974, Coll. Esposito). Così le indagini sul paesaggio di Gianni Pettena (About non conscious architecture, 1972, Coll. Alt) si rispecchiano nella ricerca di Richard Long (Asia circle stone, 1996, Coll. De Angelis Testa), mentre Paolini e Pessoli riverberano le maschere di de Chirico fino all’‘esaurimento’ (Il grande metafisico, 2016, Coll. Mattioli Rossi; The Exhausted de Chirico, 2018, Coll. De Iorio). Ma sono opere come Spin Off di Thomas Hirschhorn (1998, Coll. Sandretto Re Rebaudengo), La buona vicinanza di Chiara Camoni (2009, Coll. Nomas Foundation) e Amnesiac Shrine di Mike Nelson (2006, Coll. Giuliani) a risaltare per la capacità di tradurre in paesaggi scultorei ambienti mentali, scenografie per rituali segreti libere dai confini tematici e dell’allestimento spesso restrittivo, confermando così come le opere d’arte e le collezioni migliori non necessitino di giustificazioni per riuscire a parlare e a farci pensare. E, in tale pensiero, la rivoluzione siamo tutti noi.