Francesca Boenzi: Mi piacerebbe iniziare parlando di tuo nonno scomparso mentre stava scavando un tunnel.
Laure Prouvost: Sì, è molto triste. Non sappiamo ancora dove sia. Sono passati un paio di mesi. Era uno dei suoi ultimi lavori concettuali e consisteva nello scavare un tunnel all’insaputa delle autorità. Ma una sera non è più tornato a casa. Mia nonna era molto preoccupata.
FB: Perché l’immagine del tunnel ricorre così spesso nei tuoi video e nelle installazioni?
LP: Volevo esplorare la sensazione fisica che mio nonno doveva provare laggiù: il buio, le pareti fangose, sentirsi come un animale nascosto nella terra, i suoi occhi che splendevano in mezzo al fango, i piedi bagnati e l’acqua, i vermi, il disgusto, la puzza di umidità, i pochi pacchetti di patatine che ho ritrovato qua e là quando sono scesa giù per cercarlo, le pareti anguste, il fango sulle mie mani, il freddo, il sedere bloccato all’ingresso di mia nonna, che è venuta a cercarmi preoccupata… Ho dovuto spingerla fuori, ma lei è abbastanza pesante; tra l’altro non si muove dal giorno in cui mio nonno è scomparso. Mangia seduta sul divano. Anche la casa è piena di fango, dappertutto, solo i fornelli della cucina sono visibili. Il tunnel è una sorta di invito a qualcosa da cui è impossibile fuggire. Non abbiamo idea di dove finisca. Abbiamo mandato il nostro cane lì l’altro giorno, legandolo a una corda e ne è tornato tutto avvolto, solo la lingua rimaneva fuori; respirava pesantemente e non aveva trovato mio nonno. Siamo abbastanza preoccupati.
FB: Quello che viene in mente è un posto assolutamente scomodo e claustrofobico dove le sensazioni sono amplificate e distorte. Risuonano. Un canale sospeso che precede le esperienze del mondo…
LP: La claustrofobia è un argomento sul quale ritorno spesso. Rimanda a questa idea di essere in un luogo da cui non puoi fuggire, dove c’è solo una direzione. L’idea di avere norme e seguire un’unica direzione è qualcosa che voglio raggiungere e per la quale voglio lottare.
FB: Spesso dici di voler perdere il controllo del tuo lavoro. Mi sembra un modo per evitare regole e direzioni stabilite.
LP: Sì, il controllo. Non sono controllata. Non so se qualcuno di noi lo sia. Quindi mi interessa suggerire alternative, proporre diverse possibilità che rompano con l’idea di controllo. Sono inoltre consapevole che subentrino tante cose in quello che realizzi. Lo spettatore fa la maggior parte del lavoro con i suoi giudizi e le sue opinioni — che sono molto diversi dai miei. In questo senso, non ho controllo sulla sua interpretazione, e questo mi piace. Recentemente ho letto un saggio su un mio film, che è stato interpretato come una storia d’amore. Non avevo mai pensato a questa cosa prima, ma va bene, aggiunge qualcosa. Anche il tempo gioca un ruolo fondamentale. Cambia la percezione del lavoro: assume un significato completamente diverso quando viene mostrato e come viene mostrato. Naturalmente il contesto è qualcosa al quale siamo tutti attenti, ma mi piace l’idea che il mio lavoro possa assumere forme diverse in momenti differenti.
FB: A proposito dell’idea di perdere il controllo, mi piacerebbe che tu mi dicessi qualcosa sul nuovo film al quale stai lavorando: The Wanderer. Per la prima volta hai scelto di girare con attori e avere una sorta di sceneggiatura… stai cambiando idea?
LP: Sto lavorando a un nuovo film composto da sei parti, ognuna di essa indipendente dall’altra: la sequenza del tempo, del pettegolezzo, della comunicazione, dell’ubriachezza, la vecchia e la nuova sequenza, l’autorità. È l’adattamento cinematografico della “traduzione scorretta” dell’artista Rory Macbeth di un romanzo di Kafka dal tedesco all’inglese, senza dizionario e senza conoscere il tedesco. La storia diventa abbastanza surreale e i paesi diventano personaggi. Ho tradotto in maniera scorretta questo testo in un film. L’attore doveva recitare in situazioni di vita quotidiana come strade, pub, parrucchieri ecc., scontrandosi con realtà differenti. La location cambiava a seconda del testo. Gli attori improvvisavano recitando il testo. Abbiamo girato 80 ore di film che deve poi essere montato e deve formare sequenze di meno di 15 minuti. Ho un sacco di lavoro da fare, dunque! Sarà un unico film con tutte le sequenze messe insieme. È stata una sfida lavorare con un team così grande dato che in passato lavoravo principalmente da sola. E in questo caso consiste più nel dirigere un gruppo di persone, esprimere il tuo pensiero ed essere preciso nelle cose che vuoi presentare, una sfida totalmente nuova per me… in questo senso avevo bisogno di essere controllata! Ho girato moltissime scene perché volevo che le cose venissero fuori nel film, fuori dal mio controllo, affinché ci fossero sorprese e stimoli.
FB: Mi viene in mente una cosa che ha detto Robert Filliou: “Arte è ciò che rende la vita più interessante dell’arte”. Vedo una continua competizione tra arte e vita e lo sforzo di comprensione e di espressione è un elemento centrale nel tuo lavoro.
LP: L’arte spesso cerca di competere con la vita, ma non riesce mai ad afferrarla nella sua completezza. È una cosa incredibile, collegata e assolutamente affascinante vedere quanta energia e quanto movimento si vengono a creare tra le persone, le città, le culture e i media. È questo ciò che voglio in qualche modo includere nel mio lavoro — o, almeno, esprimere il mio fallimento nel cercare di raggiungere questo obiettivo —, ma come posso fare? Dato che utilizziamo solo una parte molto piccola dei nostri sensi — come per esempio l’udito, la vista, il tatto e gli odori —, mi piacerebbe evocare degli odori nella mente e una struttura quando guardiamo. Adoro una citazione di Broodthears, che dice: “Non credo nel cinema, né in nessuna altra arte. Non credo in un unico artista o in un’unica opera d’arte. Credo nel fenomeno, e negli uomini che mettono insieme le idee”. Non credo in un’unica mente o nel singolo artista. Ogni cosa appartiene a qualcosa. Tutto influenza tutto. Sono annoiata dall’importanza che arte e artisti attribuiscono a loro stessi. Sono ispirata e influenzata dal vedere una mostra come dall’andare a un mercato africano o in un negozio di computer o dal dentista (forse dal dentista proprio no!), dai suoni, dagli odori, dalle sensazioni che nascono da queste situazioni. Per la strada puoi vedere le cose più straordinarie… trovo interessante quello che si vede e si nota in un luogo familiare e come lo si elabora continuamente. Rielaboriamo i suoni — per esempio, se non vogliamo ascoltare il traffico, il nostro cervello decide di ignorarlo in modo da poter ascoltare una conversazione. Ma quando vai in giro ascolti ogni cosa e questo necessita di una diversa traduzione, una traduzione precisa di un’esperienza o una sensazione.
FB: Tutto questo porta ad alcune considerazioni sugli esiti della comunicazione e delle codificazioni. Sulla firma della tua e-mail si legge “Prouvost e figli. Promuoviamo le imperfezioni”. Condivido questa dichiarazione. Credi nel potenziale degli errori e delle imperfezioni?
LP: Sì. Consentono alle cose e alle idee di entrare nel lavoro, altrimenti tutto sarebbe molto statico, prevedibile e controllato. Meno strati ci sono, meno interpretazioni sono possibili. Gli errori e le imperfezioni possono portarti da qualche altra parte, laddove non te lo aspetteresti. È importante lasciare entrare l’inconscio. Penso di essere consapevole delle decisioni che prendo o delle ragioni per cui le porto a compimento. Non capisco me stessa veramente, ma la maggior parte di noi condivide emozioni simili e voglio metterle in relazione una con l’altra. Questo è ciò che il cinema e l’arte cercano costantemente di trasmettere. Poi devo dire che non sono una grande perfezionista e il mio approccio emerge dalla mia pigrizia attraverso la perfezione…
FB: Sto pensando alla storia che spesso racconti, questi frutti che cadono dal cielo, facendo un buco nel soffitto della tua stanza, tu che definisci tuo nonno un artista concettuale… Credi nei miracoli? E qual è il tuo rapporto con l’Arte Concettuale?
LP: Mi piace che ci siano cose che fraintendo e che non riesco a comunicare e voglio creare storie intorno a esse per comprenderle o credere in una soluzione. Mi piace l’idea che la mente si avvicini al soprannaturale e come una piccola storia possa diventare una grande storia, semplicemente passando da una persona a un’altra. È rassicurante, credo. C’è la sensazione di qualcosa di più grande di noi e l’Arte Concettuale è in un certo senso l’opposto… quindi forse tutto ha senso.