Continua la nostra analisi dei diversi modi con cui le aziende si accostano oggi al mondo dell’arte contemporanea esplorando nuove possibilità di reciproca valorizzazione.
illycaffè
La percezione di prodotto. Il caso di illycaffè è un esempio particolarmente illuminante di come l’arte contemporanea possa contribuire in modo decisivo alla percezione del prodotto da parte dei consumatori. Il caffè illy è pregiato, relativamente costoso e costruisce la sua affermazione di valore non sull’idea di un consumo quotidiano frettoloso e distratto ma su quella della degustazione. Il celebre progetto delle tazzine d’artista potrebbe essere visto come una operazione di merchandising simile a quella di molte altre aziende operanti in campi affini, ma è in realtà molto diverso. Se infatti si ripercorre l’intera cronologia delle varie serie prodotte a partire dal 1992, si nota facilmente come l’approccio decorativo e privo di una visione culturale unitaria e coerente dei primi anni evolva progressivamente in un’attenzione sempre più precisa e intraprendente nei confronti di personalità artistiche e progetti che chiedono al collezionista-consumatore di approfondire la conoscenza e di non fermarsi a una superficiale lettura basata sulla piacevolezza e la riconoscibilità dei segni. È stato così possibile coinvolgere artisti rigorosi e poco inclini al compromesso come Jannis Kounellis, Marina Abramovic, Michelangelo Pistoletto, Jan Fabre, Daniel Buren, Haim Steinbach, Louise Bourgeois, per limitarsi a qualche nome. Il segreto è stato quello di avvicinarsi a questi artisti partendo da una profonda conoscenza delle regole e delle convenzioni del sistema dell’arte, una conoscenza che è diventata parte della cultura aziendale e, progressivamente, si è trasmessa a un numero sempre maggiore di consumatori del caffè illy. Una conoscenza che ha portato illycaffè a essere accettata con un proprio spazio all’interno del percorso espositivo della Biennale di Venezia del 2003, non tanto per l’entità dell’offerta economica — uno sponsor improvvisato, pur pagando molto, non sarebbe stato ammesso — quanto per l’acquisita e riconosciuta “cittadinanza” all’interno del sistema dell’arte che legittimava la presenza del marchio illy in quel contesto. Da allora, illy è presente in molti dei più importanti appuntamenti internazionali dell’arte contemporanea.
La qualità dell’esperienza estetica della tazzina-opera si riflette nella qualità degustativa del caffè, nella progettazione attenta degli spazi dei punti vendita, del packaging, della comunicazione. Un percorso che non può essere imitato opportunisticamente ma soltanto compiuto passo dopo passo, conquistandosi la propria credibilità nel tempo. E che infatti, non sorprendentemente, ha dato luogo a imitazioni dalla vita breve e dallo scarso successo.
Unicredit
La strategia sistemica. Molte sono le banche che collezionano arte contemporanea, come abbiamo visto nella puntata precedente, ma nel caso di UniCredit a questa attività più diffusa e tradizionale se ne affianca un’altra: quella di proporsi come partner dei musei e delle istituzioni pubbliche, contribuendo a elaborare una strategia di “sistema” per favorire la crescita della scena artistica di un determinato paese. È per questo che l’attenzione di UniCredit, pur essendo in buona parte focalizzata sui giovani artisti, non si rivolge soltanto a quelli più affermati e riconosciuti, e quindi a quelli che offrono le maggiori garanzie di crescita a breve-medio termine (e in alcuni casi anche a lungo termine), ma si estende anche a coloro che, pur avendo prodotto una ricerca interessante e in qualche misura riconosciuta, non hanno ancora avuto la possibilità di affermarsi pienamente e quindi hanno particolare bisogno di sostegno e di visibilità.
Allo stesso tempo UniCredit lavora con alcuni dei principali musei italiani del contemporaneo come il Castello di Rivoli, il MAMbo e il MART, collabora stabilmente con la DARC impegnandosi in produzioni importanti come nel caso del Padiglione italiano della Biennale di Venezia in corso, sostiene spazi sperimentali di concezione innovativa come il C4 di Caldogno. Ma anche la ricerca sull’economia dei mercati artistici promossa dalla Fondazione Agnelli, o l’analisi delle condizioni che impediscono alle ultime generazioni di artisti italiani di raggiungere un maggior riconoscimento globale, ancora in cooperazione con la DARC e il Ministero degli Affari Esteri. L’arte contemporanea non è quindi considerata da UniCredit soltanto una forma di investimento ma come un canale particolarmente evoluto e innovativo di responsabilità sociale. Un approccio che il gruppo sta gradualmente estendendo a tutti i paesi nei quali esso è presente, in particolare a quelli dell’Europa dell’Est dove spesso le risorse pubbliche e private locali per l’arte contemporanea sono scarse e molto frammentate.
Furla
Un’altra azienda che tradizionalmente interpreta il suo impegno nel contemporaneo in termini sistemici è Furla, che dando vita al premio omonimo, oggi promosso ancora una volta in collaborazione con UniCredit, si è proposta di offrire alle ultime generazioni di artisti italiani una opportunità di visibilità nei confronti di curatori stranieri di primo piano, attraverso un articolato processo di segnalazione affidato, di edizione in edizione, ad alcuni dei nomi più interessanti del panorama curatoriale italiano. Per alcuni dei vincitori delle passate edizioni come Lara Favaretto, Massimo Grimaldi, Sissi o Pietro Roccasalva, il Premio Furla per l’Arte è stato una tappa importante, anche se allo stato attuale il prestigio e la visibilità del premio appaiono ancora prevalentemente focalizzati nell’ambito nazionale.
È particolarmente interessante notare come Furla non abbia mai strumentalizzato il proprio impegno nel premio nell’ambito delle proprie strategie promozionali e comunicative. E la stessa recente e discreta presenza di opere di artisti selezionati nelle passate edizioni del premio all’interno dei negozi monomarca Furla situati in grandi capitali internazionali come Tokyo è sempre stata primariamente vissuta come creazione di opportunità di visibilità per gli artisti piuttosto che come tentativo di indurre nei clienti una percezione artisticamente connotata del proprio marchio. Una logica che sfida dunque le categorie del marketing più tradizionale e che può essere compresa ancora una volta soltanto nei termini di un interesse verso l’arte contemporanea come campo di esperienza dalle valenze intrinseche e non strumentali.
Targetti
Il laboratorio di ricerca e sviluppo. L’arte contemporanea può diventare un importante laboratorio di innovazione per quelle imprese che si trovano a lavorare con determinati prodotti nei quali i percorsi creativi tipici degli artisti portano tipicamente alla scoperta e alla sperimentazione di possibilità tecniche che difficilmente sarebbero state esplorate seguendo processi ingegneristici di tipo tradizionale. È ad esempio il caso di Targetti, azienda leader nel campo dell’illuminazione, che ha sviluppato nel tempo una Light Art Collection, con opere, tra gli altri, di artisti come Olafur Eliasson, Gilberto Zorio, Anne e Patrick Poirier, Hidetoshi Nagasawa. Agli artisti vengono commissionate opere che esplorino nuove modalità espressive e tecniche di uso della luce, offrendo loro non soltanto il supporto finanziario per realizzarle, ma anche l’assistenza specialistica necessaria per affrontare problemi realizzativi che in alcuni casi danno luogo a vere e proprie innovazioni di prodotto, che possono poi trovare un loro ulteriore sviluppo in ambito industriale, e che comunque permettono a tutto il gruppo di lavoro di ampliare il proprio bagaglio di esperienze.
La panoramica potrebbe continuare ancora a lungo. Le imprese italiane stanno mostrando una certa fantasia nell’esplorare forme sempre nuove di relazione con l’arte contemporanea, spesso più che in altri paesi, magari economicamente più forti e più avanzati e dove però il rapporto arte-impresa si incanala ancora a volte lungo binari piuttosto tradizionali. C’è da augurarsi che questa attenzione continui a svilupparsi, a una condizione: che all’interesse si accompagni una reale curiosità e sensibilità nei confronti del contemporaneo. Perché accanto a queste esperienze riuscite si potrebbero raccontare anche le storie di forse altrettanti fallimenti, il cui minimo comun denominatore è sempre una scarsa disponibilità a capire, a confrontarsi, a imparare. E queste chiusure mentali non pagano mai, nel mondo del contemporaneo come altrove.