Tell them I said no, è una raccolta di saggi fondamentale di Martin Herbert su artisti come Cady Noland, Stanley Brouwn e Charlotte Posenenske che, per ragioni diverse, hanno deciso di ritirarsi dal mondo dell’arte. Nonostante non abbia mai avuto la pretesa di essere esaustiva, è curioso che la raccolta non dedichi neanche un capitolo a Lee Lozano. Eppure Lozano ha fatto cose radicali, partendo da dipinti piuttosto classici per poi arrivare a opere performative che hanno avuto serie conseguenze sulla sua vita personale. È il caso della discussa Boycot Piece (1971), opera per la quale smise di parlare con le donne: un gesto sessista da parte di una donna il cui lavoro scimmiotta il maschilismo, o una critica al fatto che le voci delle donne non fossero affatto ascoltate nella società e nel mondo dell’arte coeve? Lozano si spinge addirittura oltre con Dropout Piece (1970), il gran finale con cui si ritira completamente dal mondo dell’arte, riducendo il suo nome alla sola lettera “E” e disponendo di essere bruciata in una lapide senza alcuna iscrizione. Questo atto di sparizione, che si è svolto in momenti apparentemente molto diversi ma nell’arco dei soli dodici anni di attività artistica (1960-72), è ripercorso in modo convincente nelle sette sale espositive della mostra, seppur ristretta, che le dedica la Pinacoteca Agnelli – che viaggerà in una versione ampliata alla Bourse de Commerce a Parigi il prossimo autunno.
“Strike”, così si intitola la mostra, è concepita cronologicamente fatta eccezione per l’opera di apertura che già annuncia l’epilogo del suo percorso artistico. General Strike Piece (1969), uno dei suoi cosiddetti “Life-Art” Pieces, consiste in un foglio scritto a mano su cui l’artista annuncia la sua astensione da mostre e da altri eventi artistici, giungendo infine a Dropout Piece. La mostra fa poi un salto indietro di dieci anni, fino a una serie di autoritratti accademici. In un’altra sala è appesa una fitta serie di primi disegni che presentano già lo stile pittorico crudo per cui Lozano è conosciuta. Si tratta di disegni spigolosi – raffiguranti vari strumenti, fermagli e temperini accanto a parti del corpo o a una combinazione di entrambi – che non hanno perso la loro impertinenza. Il motivo modernista del corpo come macchina, che l’artista esplora in un modo del tutto personale, si fa sempre più caricaturale e contiene, al contempo, una dimensione femminista, non solo perché raffigura parti del corpo maschili – cosa piuttosto insolita nella storia dell’arte – ma lo fa con forme “aggressive” che sembrano imporre il loro potere patriarcale.
Nell’esplorare il rapporto corpo-macchina, Lozano utilizza anche il linguaggio e i giochi di parole, in parte ispirati dalle pubblicità in metropolitana e dalla sua passione per i fumetti. Il disegno di un uomo che taglia un pezzo di legno con una sega è accompagnato da una pungente battuta da maschio alfa: “l’ha fottuta per bene, ha detto”. Questo riferimento al mondo maschilista non si limita agli operai, ma anche agli artisti minimalisti che Lozano frequentava all’epoca – cosa che non si direbbe a giudicare dal suo lavoro, ma che dimostra come l’artista abbia assorbito diverse influenze che ha poi rielaborato idiosincraticamente a suo modo. In una fase successiva, Lozano mette da parte il linguaggio e si focalizza sugli strumenti stessi, ingrandendoli, per poi concentrarsi sulle loro superfici lucide in una serie di dipinti astratti che non solo bandiscono la figura umana, ma anche la pennellata gestuale in favore di un’applicazione quasi meccanica della pittura. È notevole come questa evoluzione sia tracciata in modo tale da apparire quasi inevitabile, terminando con l’esposizione di uno dei suoi taccuini su un piedistallo.
Peccato che, per mancanza di spazio, dei “Life-Art” Pieces sia esposto solo General Strike Piece – un monito sulle preferenze del mercato dell’arte inevitabilmente incline alla pittura a sfavore delle opere concettuali, che in “Strike” sarebbero potute essere esposte nella loro ascetica austerità, dove sono invece ridotte a mere riproduzioni nella brochure della mostra.<i>