Maria Chiara Valacchi: Sei appena tornata da New York dove hai preso parte alla residenza per artisti prodotta dalla Triangle Arts Association. Confrontandoti con il lavoro di altri tuoi colleghi qual è, se esiste, il metodo che deve perseguire un pittore?
Lorenza Boisi: La Triangle Art Association invita artisti da tutto il mondo — tra i trenta partecipanti invitati all’ultimo workshop residenziale in occasione della celebrazione trentennale della Fondazione, pochi i pittori, moltissimi gli artisti tangenti la pittura tradizionale o a essa trasversale. Notevole il vastissimo pubblico di professionisti e amatori, decisamente sensibile alla pittura. Anche alla mia… La pittura è pratica e soprattutto approccio. L’atto del vedere e quello del guardare sono in sé “funzione di pittura”. L’assiduità di studio caratteristica di questa pratica e le lunghe ore passate in condizioni di separatezza agevolano la “sintonizzazione” dell’artista con la propria soggettività. Questa prossimità, talvolta onanistica, con il sé, permette all’artista-pittore una ricognizione relativamente fedele della sua peculiarità che, nonostante l’alto rischio di solipsismo, resta, soprattutto oggi, preziosa risorsa collettiva. Questa “peculiarità” è il punto focale di una visione del tutto privata, seppure non necessariamente originale (io non credo alla spendibilità del principio di originalità stretta). Queste circostanze di lavoro valorizzano la modalità soggettiva, anche in senso lato… La connessione continua offerta dalla rete e dai molti dispositivi portatili entrati efficacemente nel novero dei nostri bisogni, il desiderio di condivisione inopinata, l’irresistibile sete di fonte aperta, sono varia risorsa, ma possono compromettere il giudizio dell’utente e offrire tentazioni emulative più o meno incoscienti. Io, con molti altri, sono permanentemente “connessa” in modo quasi vizioso. Voglio, però, credere che la persistenza di individui tuttora abili nell’isolamento mimetico sia una vera risorsa storica e sociale, intendendo: soggetti che abbiano la virtù, o si permettano il privilegio, di tornare nel luogo del sé e riportarne almeno un souvenir…
MCV: Ultimamente stai presentando lavori scultorei. Da cosa nasce questa necessità di traslare il tuo mondo dalla bi-dimensione alla plastica? Amplificazioni del lavoro pittorico o mondi altri?
LB: Fino a qualche decennio fa nessuno si sarebbe interpellato sulla pertinenza di “pratiche altre” relativamente all’attività di pittura di un artista-pittore. La questione della transmedialità segna il ricorrere di problematiche legate alla definizione-de-definizione-ri-definizione-sub-definizione-post-definizione etc. dell’arte e delle scelte che l’attività artistica, secondo le prospettive, comporta/offre. Io non desidero entrare nel merito critico di un’analisi generale per segnalare la mia posizione. Sono solo un pittore. Un artiste peintre, come si dice in francese specificando il proprio “genere”. Il mio orientamento artistico è ovviamente rivolto a un’indagine atmosferica interiore e psichica, nulla di particolarmente originale.
Catalogatemi, se vi è necessario, come espressionista. Molti prima, dopo e con me, dipingono, praticano la scultura modellata e la ceramica come naturali esternazioni di un palinsesto privato. La ceramica e la modellazione sono estensioni naturali della pittura, le installazioni ne sono esplosione. Non c’è progressione intenzionale, non c’è un aut aut, non c’è nemmeno una vera presa decisionale. È la natura delle cose, in un certo senso. Numerosissimi sono gli artisti eclettici che si sentono in primis pittori (seppure altri, se così definiti da terzi, se ne risentano apertamente). Storicamente portiamo il peso, piacevole, di una concreta tradizione di atelier. Sono un pittore che si avvicina alle cose che ama e spera di riuscire a farne di altrettanto amabili, non potendolo affatto evitare.
MCV: La problematica della de-finizione, ri-definizione, sub-definizione della materia artistica pensi possa essere stata causata da una necessità umana di catalogare o da un’incomprensione sulla pratica creativa?
LB: A tredici anni appesi un poster nella mia cameretta, scorrendo una lunga serie di statement variamente qualunquistici si leggeva: we fear what we cannot classify La classificazione ci aiuta a determinare, delimitare, a ordinare, dunque, intelligere il vero e il falso, o quanto si possa ritenere essere l’un e l’altro… dirimere, seppure sacrificando gli incidenti fisiologici. Dunque se nominare è umano, poiché rassicurante, oggi lo è anche rinominare ad libitum.
MCV: Nelle tue tele si percepisce un rifiuto formale a favore di una figurazione immaginifica, dove i soggetti sono sussurrati. Quali sono le regole estetiche del tuo lavoro?
LB: Ho sempre creduto che la mia vera fortuna artistica risiedesse nella sfortuna congenita di una vista pessima e una scarsa attitudine naturale al disegno. Non mi sono mai innamorata del mio lavoro, non ho vissuto né il compiacimento, né la vocazione virtuosistica. Ho fatto e faccio con quanto mi è stato dato. Senza dover reggere il vincolo amoroso o vessatorio di una dote di nascita. Nel mio lavoro non esistono “regole estetiche” poiché ogni giorno si naviga a vista. Con la pratica di studio, puntuale ma intensiva, lavoro intorno e dentro una materia mobile. Dissimilmente dalla maggior parte dei miei colleghi italiani non sono un pittore d’immagini. Sono un pittore d’incertezze e possibilità. L’atteggiamento perentorio e l’autorità nella vita mi sono invisi, così pure nell’arte, soprattutto nella pittura. Non sento la fascinazione dell’autorevolezza. M’interessa e mi “serve” lo scarto interpretativo, il terreno vago di una lettura morale e di una qualità narrativa incerte. L’ebrezza dell’incidente e dell’incidentalità. M’interessa che la mia pittura e quant’altro io faccia siano al tempo stesso narrazione e narratologia, soggetti e oggetti di loro stessi.
Ho sempre lavorato per rendere tangibile, condivisibile, un universo interiore, non verbalizzato, e ho superato la necessità di un racconto didascalico, per avvicinarmi alla vera essenza di un paesaggio morale profondamente atmosferico. Entrando nel secondo tempo della mia vita posso affrontare con maggiore coraggio il vagheggiamento e l’inevitabilità dello smarrimento.
MCV: Mancanza di coordinate spaziali, fondi risolti che da supporto divengono veri protagonisti del quadro. Una vulnerabilità descritta in pennellate. Questo tumulto espressivo di cosa è il risultato?
LB: Il risultato transiente di un’esistenza che da linea spezzata si è fatta natura liquida in attesa, forse, di una rarefazione.
MCV: Facendo principalmente pittura ti senti un Outsider o Insider di un sistema artistico contemporaneo?
LB: Sono un insider in quanto artista professionista. Un insider periferico nel sistema italiano, in quanto pittore ma, egualmente, partecipe del sistema internazionale seppure in modo dignitosamente minoritario. Sempre e comunque un inguaribile outsider, per non lasciare andare troppo lontano la mia vecchia, pessima adolescenza.