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15 Ottobre 2018, 11:57 am CET

Luigi Fassi sulla direzione del MAN, Nuoro di Micaela Deiana

di Micaela Deiana 15 Ottobre 2018
"Roman Signer. Films and Installations". Veduta della mostra presso MAN, Nuoro, 2016. Courtesy Confinivisivi.
"Roman Signer. Films and Installations". Veduta della mostra presso MAN, Nuoro, 2016. Courtesy Confinivisivi.
“Roman Signer. Films and Installations”. Veduta della mostra presso MAN, Nuoro, 2016. Courtesy Confinivisivi.

Nelle anticipazioni sul tuo percorso a Nuoro, hai dichiarato di voler lavorare sul MAN rafforzando il dialogo con il Mediterraneo. Quali riflessioni ispirano questa direzione?

La geografia del MAN, la sua storia e le vicende europee attuali rendono a mio avviso decisivo guardare quanto più possibile al Mediterraneo, in particolare alle sue sponde meridionali e orientali.

Per un museo mediterraneo come il MAN credo che questo debba essere un tema di lavoro spontaneo e privilegiato. Il Mediterraneo – e con esso anche la Sardegna – tende nei dibattiti europei a essere sempre visto da Nord, e interpretato come un problema, un elemento di disordine e incertezza. Pensiamo al dibattito sull’economia, i debiti pubblici, i confini e l’immigrazione. Questa visione era già presente in nuce nei dibattiti settecenteschi: l’Europa è più greco-romana o franco-carolingia? Così si domandava Montesquieu. La sua risposta ha fatto prevalere per molti aspetti la seconda interpretazione e le conseguenze sono evidenti: il Mediterraneo come entropia, una sorte di ospite indesiderato dell’Europa contemporanea. È interessante allora, mediante l’arte, guardare al Mediterraneo da Sud, esplorando sue prospettive e storie neglette. Ad esempio, che immagine si può avere della Sardegna guardandola dal continente africano? Gli artisti attivi nel bacino del Mediterraneo, con il loro patrimonio culturale e le loro ricerche possono aiutarci a capire che è anzitutto il Mediterraneo ad essere Europa. Chi più di chi vive nel Mediterraneo è consapevole infatti che trasmigrazioni, spostamenti e formazione di nuove culture sono l’abc della storia europea?

Negli ultimi anni stiamo appunto vivendo una grande attenzione critica verso il concetto di Sud ma, nonostante questo, lo sguardo sul Meridione ancora difficilmente sfugge dalle categorie neo-coloniali del selvaggio e dell’esotico. Cosa ne pensi?

Bisogna ribaltare la visione, guardare le antiche rappresentazioni cartografiche del Mediterraneo e capire che è una questione di prospettive storiche e di canoni che possono essere riconfigurati. Come ha scritto l’artista svedese-brasiliano Runo Lagomarsino: “If You Don’t Know What the South Is, It’s Simply Because You Are from the North”.

Con quali mostre si aprirà la tua programmazione?

Apriremo con tre progetti distinti, ciascuno inteso come una possibile linea guida di lavoro e ricerca per l’attività del prossimo futuro del MAN.

Il primo è una personale di Dor Guez, artista palestinese-israeliano di Tel Aviv, con una nuova opera commissionata dal museo. Il secondo è una personale di Francois-Xavier Gbrè, artista franco-ivoriano di Abdjan attualmente in residenza in Sardegna con il sostegno della Film Commission regionale, che presenterà in un viaggio fotografico le relazioni tra l’Africa Occidentale e la Sardegna, narrando la trasformazione di luoghi, tra emigrazione e spopolamento. Il terzo è una collettiva con opere pittoriche di Louis Fratino, Waldemar Zimbelmann e Anna Bjerger.

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