Un cumulo irregolare di sassi color ocra si trova impilato all’interno della vetrina della Galleria de’ Foscherari di Bologna. A uno sguardo più attento, vediamo come la superficie di queste pietre in terracotta non sia omogenea. La loro epidermide rossastra è arricchita da rigonfiamenti, aperture e sfiatatoi, nati sia per regolare il calore nella cottura, sia per evocare il profilo di possibili corpi celesti animati da crateri e promontori irregolari.
Negli strati più alti di questo accumulo di sculture delicate, la finitura regolare delle prime versioni si inizia a differenziare. Come mossa da una volizione interna, la superficie porosa dei corpi in terracotta comincia a essere abitata da lievi marcature, impressioni di piccoli utensili ripetute a mano e perciò difformi. Sono segni archetipi, simboli sintetici di costruzioni e abitazioni umane, la cui densità è per l’artista uno strumento per evocare la metafora di possibili agglomerati urbani (Meteore e Città, 2015-2020).
L’attenzione per la superficie introduce appropriatamente il percorso espositivo, costruito intorno al continuo interesse di Luigi Mainolfi per la capacità narrativa della “pelle della terra”, per citare un titolo ricorrente nelle sue esposizioni1. Il suo lessico terroso ritorna infatti nei lavori a parete protagonisti della mostra (Etna, 2021). Qui, su grandi tavole di legno, l’artista modella l’argilla in nuovi rilievi, onde, affossamenti e “sentieri” per creare un nuovo paesaggio terrestre. Una volta cotta, la terra nera inizia quindi a evocare mutevoli vedute vulcaniche.
I paesaggi lavici sono sempre in movimento. L’attività della materia calda che li contraddistingue continua inesorabilmente a modificarsi, solidificandosi e rivelando fratture sulla propria pelle. Così questi rilievi scultorei nascono dalle tracce sulla materia malleabile lasciate dal movimento delle mani dell’artista, interessate a indagare e a ricreare il disegno caotico dei panorami lavici. Sono terreni oscuri, visti dall’alto, la cui superficie opaca è interrotta da aperture, cavità e caverne che rivelano, dietro le nere formazioni più solide, un interno rosso fuoco, substrato ancora acceso, pronto a creare nuovo caos e nuovi disegni.
Dalle vedute laviche, la mostra ci porta a osservare un’altra superficie in terracotta, la cui finitura sabbiosa nasconde all’interno di lievi dune un delicato disegno di labbra ieratiche. Colle serio (2020) sembra mettere così in scena un episodio di pareidolia, ovvero la nostra propensione inconscia a riconoscere forme antropomorfe nei disegni naturali quali, per esempio, le immagini di rilievi sfocati su pianeti lontani e desertici. Con tecniche tradizionali e una simbiosi con i propri materiali, lasciati liberi di dare sfogo alle proprie propensioni naturali, Mainolfi crea mondi possibili e paesaggi scultorei, aridi e inospitali alla vita ma non allo sguardo.
All’interno di queste geografie alternative si muovono anche forme dal ricordo animale. Le geometrie organiche e opache di Apesse (2009) mostrano nella loro sintesi la memoria degli arti di un animale, insicuro della necessità di una simmetria ma certo nel proprio equilibrio, creato da Mainolfi in solido bronzo.
Fra la rappresentazione dell’informe e la sintesi geometrica del reale, Mainolfi sviluppa un lessico scultoreo capace di evocare la volizione caotica della natura. Sono immagini ambigue, instabili, mai ferme nella nostra percezione. Oscillano senza una distinzione netta fra figurazione e astrazione, copia e invenzione, entropia ed equilibrio, immaginazione e materialità.
Il percorso espositivo attraverso queste superfici terrose, abitate da forme scultoree e biologie alternative, si chiude dunque con un sistema stellare di pianeti in terracotta. Cinque sfere di diametri diversi, riposano sul pavimento della galleria (Sfere di Castellamonte, 2015). La loro superficie, seppur levigata, non cancella del tutto la necessità della terra di essere ruvida al tatto. E perciò, ricca di dettagli, diversità e particolari che rendono tali mondi scultorei aperti a una nostra nuova esplorazione.