Le eredità artistiche e teoriche di Marcel Broodthaers, morto nel 1976 lo stesso giorno del suo cinquantaduesimo compleanno, hanno permeato la fenomenologia dell’arte dagli anni Sessanta a oggi. Non sempre però il pubblico riconosce nelle pratiche attuali la sua primogenitura e la profonda reinvenzione dei linguaggi, tra cui l’ideazione di un nuovo modello di museo.
Al MAMbo il merito di avergli dedicato il giusto plauso italiano con la mostra “L’Espace de l’écriture”, curata da Gloria Moure e incentrata sulle opere prodotte tra il 1968 e il 1975. La scrittura resa immagine, l’amore per la poesia di Stéphane Mallarmé, l’idea magrittiana di una pluralità di senso tra le parole e le cose orientano concettualmente la trama espositiva. L’installazione La Salle Blanche del 1975 ne rappresenta una sintesi ideale: collocato nella sala centrale del museo, l’ambiente è lo spaccato di una stanza vuota dai muri ricoperti di decine di parole scritte in nero che paiono “echeggiare” nello spazio, suggerendo una rete mentale di relazioni possibili tra parola, immagine e oggetto. L’opera è anche una critica aperta alle istituzioni, ai modi codificati di rappresentare l’arte, all’idea stessa di museo, temi tutti riassunti nel suo progetto più famoso “Le Musée d’Art Moderne”, di cui si possono vedere in mostra altri lavori come Un Jardin d’Hiver II del 1974, uno spazio caratterizzato dal “décor” di piante, sedie, disegni e proiezioni filmiche, a cui s’ispirano oggi molti giovani artisti e curatori.
La decostruzione del linguaggio è sviluppata genialmente in due celebri opere del 1969. Il cortometraggio in bianco e nero La Pluie (projet pour un texte) mostra il tentativo fallimentare dell’artista di scrivere un testo sotto la pioggia che cancella inesorabilmente l’inchiostro. Nell’installazione Un coup de dés jamais n’abolira le hasard. Image, esposta nella sezione “La spazializzazione della poesia”, l’azione di cancellare si trasforma invece in un atto di costruzione dell’immagine: su placche in alluminio l’artista ha inciso sequenze di rettangoli neri che sostituiscono le parole mallarmeane del libro Un coup de dés, traducendo così plasticamente l’idea stessa di parola, di pagina, e giocando sul confine tra presenza-assenza.