Mario Perniola definiva la svolta fringe dell’arte come la perdita della distinzione fondamentale che teneva separata l’Outsider Art dall’arte istituzionale (L’arte espansa, Einaudi 2015). In questo territorio laterale e discontinuo sembra inserirsi il lavoro di Maria Lai. La mostra al MAXXI è l’omaggio rispettoso a un artista che ha saputo attraversare il Novecento da osservatrice attenta ma estranea a mode e correnti, sempre salda alle proprie origini (l’entroterra sardo) e alle proprie impellenti necessità espressive.
“Abbiamo voluto mostrare questi materiali come un paesaggio totale”, spiega Luigia Lonardelli, curatrice insieme a Bartolomeo Pietromarchi, “una modalità di sentire l’opera in famiglia con le altre, rimettendo in discussione la consequenzialità temporale come lettura univoca”.
Cinque le sezioni che costruiscono diacronicamente il discorso prediligendo l’accostamento per temi più che per singoli lavori, a partire dalla metà degli anni Sessanta, quando l’introduzione dei telai rende evidente un cambiamento nel rapporto con la materia. La mano, protagonista indiscussa, apre e chiude il percorso. Tenendo per mano il sole, titolo della prima Fiaba cucita, introduce i temi del gioco e della narrazione, all’artista così cari, in cui “lo stupore che i bambini hanno e che gli adulti perdono” prende vita nelle favole video animate in collaborazione con il regista Francesco Casu. Mentre L’arte ci prende per mano, grafia infantile su una gigantesca lavagna di ardesia, congeda lo spettatore, raccontando esperimenti partecipativi ante litteram.
Nel mezzo telai, lenzuoli, carte, abiti, fiabe, tele e libri cuciti, libri scultura, Geografie e mappe: il materiale impiegato per i lavori non è mai acquistato di proposito, ma cercato e recuperato dall’artista all’interno della dimensione domestica. L’attenzione per il pregrafismo, che nei suoi libri di carta e poi di stoffa si scioglie in pagine piene, deriva dall’apprendimento molto tardo della scrittura e dalla conseguente fascinazione per la parola innanzitutto come suono, ritmo e immagine puri. Le sculture richiamano i colori e i materiali dell’Ogliastra, una terra selvaggia e instabile con cui l’artista intesse rapporti di reciproca appartenenza e ossequioso rispetto (Legarsi alla montagna, 1981).
Per un’arte femminile, non femminista, Maria Lai riassume la sua visione quale “bisogno di un grande vuoto davanti a noi, che poi è la morte, che ci fa paura come fa paura ogni cosa bellissima, perché la bellezza deve avere anche il suo lato terrificante.”