Sul tavolo di lavoro: Generi cinematografici americani, di Stuart Kaminski, una Introduzione alla retorica del cinema risalente ai tempi dell’Università, A più voci e Tu che mi guardi, tu che mi racconti di Adriana Cavarero, Il percorso e la voce. Un’antropolgia della memoria di Carlo Severi ma soprattutto l’ultimo romanzo di Christa Wolf Un giorno all’anno, 1960-2000, che raccoglie il racconto autobiografico di un particolare giorno dell’anno, registrato senza interruzioni nell’arco di vent’anni. Dice Wolf che nelle sue giornate come nei suoi romanzi, quello che resta impresso nella memoria non è tanto la Storia, quanto gli oggetti, i riti del quotidiano, i personaggi. Ed è questo un aspetto che caratterizza il lavoro di Marinella Senatore, che attraverso la fotografia, il video, l’installazione e il suono si caratterizza come una storyteller e usa il linguaggio del cinema e quello della narrativa per raccontare delle storie in cui chi ascolta non può che identificarsi. “Qualcuno parla; qualcuno ascolta” e chi ascolta non è meno attivo del narratore, perché — ci ricorda Severi — si ascolta anche con gli occhi: il narratore e lo spettatore ricreano assieme nella memoria il racconto attraverso una serie di oggetti. Un telefono, una coperta, una tazza, il lembo di una tovaglia: elementi che si ripetono nelle opere di Senatore e che ci fanno precipitare all’interno dell’immagine: dettagli stranamente familiari che evocano in ciascuno un ricordo, che andiamo poi a intrecciare con la storia che ci viene raccontata. Il gioco è scoperto nella serie fotografica “Places” (2004), dove, attraverso l’uso di luci cinematografiche, l’artista trasforma gli interni di un appartamento romano in altrettante vedute di Francia, Grecia o Irlanda. Il frammento fotografico (la luce fredda sulla spalliera di una sedia bianca) sembra essere la scena dove un’azione (o un ricordo) possa avere (o ha già avuto) luogo. La narratività dell’immagine è l’elemento chiave anche nelle installazioni: con Castilia (2004) l’artista ricrea un interno di una abitazione privata, illuminato da proiettori a incandescenza a simulare un’alba. In fondo alla parete, uno specchio riflette presumibilmente la parete di fondo, quella dunque occupata dallo spettatore — ma la luce rimandata dallo specchio è quella di un notturno. Lo spettatore si trova nello spazio cinematografico per eccellenza: fuori campo e in un altro tempo rispetto all’immagine che osserva. Fuori campo, che nelle opere video si caratterizza come voice off — un narratore o una narratrice che racconta —, mentre sullo schermo si sovrappongono immagini che non coincidono con la storia narrata. Immagini/memoria. Nell’ultimo video All The Things I Need (2006), realizzato per il progetto “Neverending Cinema” alla Galleria Civica di Trento, Senatore affina più precisamente il lavoro sulla voce, già esplorato nei precedenti I’ll Never Die (2003), I’ll Take You Back to The Star (2003) e Time Is Running Out (2004). Girato con attori non professionisti in un set costruito nelle sale della Galleria, il video è un documentario in forma di musical: quattro personaggi raccontano dal proprio punto di vista la storia di W. Bentley, scienziato che ha scoperto i fiocchi di neve, perdendo nella cronaca della sua storia, la propria. Per questo lavoro l’artista non ha scritto un testo, ma composto alcune canzoni: da storyteller si è trasformata in cantastorie. La figura del narratore extradiegetico scompare per affidare il racconto — corale, così come è nella natura del cinema — a diversi personaggi, a diversi volti, a più voci.