La rigorosa precisione del pensiero creativo e l’intransigente ricerca di un ordine logico e sistematico sono le qualità che hanno contraddistinto nei suoi principi fondamentali la produzione artistica di Mario Nigro. Risoluto e introverso come lo furono pochi pittori del dopoguerra, Mario Nigro appartiene a quel gruppo di intellettuali radicali che in Europa e negli Stati Uniti ricercarono l’assoluto e si proposero di raggiungere una definitiva autonomia dei mezzi espressivi, riconducendo strutture e forme estetiche del quadro a regole fondamentali.
Vogliamo qui ricordare i nomi di alcuni artisti di sensibilità a lui affine, che precorsero i tempi e sostennero comuni battaglie, e nel farlo appare subito evidente una straordinaria continuità fra le diverse espressioni dell’arte del Ventesimo secolo, per le quali era norma suprema l’ideale ascetico della purezza e dell’autenticità degli elementi formali. Fra tali personalità Kazimir Malevich occupa senza dubbio il primo posto, seguito dagli esponenti del Costruttivismo russo e dagli insegnanti del Bauhaus come Friedrich Vordemberge-Gildewart e Josef Albers. Un particolare risalto va dato anche a Piet Mondrian, a Theo van Doesburg e a George Vantongerloo. Vanno inoltre citati gli svizzeri Max Bill, Richard Paul Lohse e Camille Graeser, e infine — dopo il l945 — gli americani Barnett Newman, Ad Reinhardt e Mark Rothko, che con la pittura a campi di colore e la pittura Hard-Edge dettero un nuovo e coerente sviluppo alla pittura assoluta, imponendo in modo monumentale e suggestivo la presenza visiva del colore. Ma, per quanto multiforme apparisse lo scenario negli altri settori dell’avanguardia, sia negli Stati Uniti che in Europa le posizioni artistiche, in cui la norma suprema era rappresentata dalle regole della costruzione, dal purismo e dal dogmatismo estetico, non scomparvero mai totalmente.
Con l’avvento della monocromia, dell’Arte Cinetica, delle varianti europee della Op-Art, dei gruppi Zero, Azimut, di Support-Surface, di Nouvelle Peinture e di Malerei-Malerei — per accennare soltanto ad alcune tendenze — si ebbero sempre nuove affermazioni artistiche dell’essenzialità. Due motivi soprattutto spinsero artisti europei e statunitensi a scegliere deliberatamente e con spirito missionario una posizione d’isolamento, per trovare nella riduzione al fondamentale e all’elementare la propria realizzazione artistica: l’amore per la geometria, e la fede in un’arte come manifestazione di ciò che, per esprimersi in termini hegeliani,“significa in sé” e “si spiega da sé”.
Mai prima di allora nella storia dell’umanità e neppure nella storia dell’Occidente era accaduto che all’arte fosse attribuito un significato così immanente e in grado di darsi le proprie leggi con tale autorità. Persino la soggettività del creatore doveva subordinarsi alle esigenze oggettive di assolutezza dell’opera: all’artista non era consentito lasciare segni della propria individualità, si soffocavano la libera fantasia e l’istinto a favore di una disciplina rigorosa, in conformità con lo spirito razionale del pensiero sistematico.
Se finora non si è fatto alcun accenno all’Italia non è perché l’adesione ai principi della matematica e delle proporzioni avesse avuto qui un minore sviluppo. Al contrario, all’interno di una riflessione sull’Arte Astratta e Concreta, l’Arte Razionale italiana merita un ampio spazio, poiché in nessun altro paese le tradizioni del pensiero mediterraneo e l’antico senso dell’ordine e della regola sono così profondamente vive e presenti. Per tale ragione Mario Nigro, oltre a essere un esponente di spicco del Costruttivismo Astratto internazionale, rimane un artista profondamente italiano, a cui sono naturalmente familiari le leggi della misura classica. Sebbene l’ltalia avesse alle spalle una notevole tradizione storica, il suo contributo all’arte astratta geometrizzante giunse con un certo ritardo, ovvero soltanto intorno al 1930, dieci o quindici anni dopo gli esordi della pittura concreta in Russia, Germania e Olanda, allorché si riunì a Milano un gruppo d’artisti che si riconoscevano pienamente nei principi di un razionalismo astratto totalmente svincolato dall’oggetto, e seguivano da vicino le tendenze dell’architettura razionale sviluppatesi in quello stesso periodo. In precedenza lo scenario dell’arte italiana era stato dominato dai movimenti del Futurismo, della Pittura Metafisica, del Novecento e dell’Aeropittura; soltanto alcuni artisti come Enrico Prampolini, Fortunato Depero, Giacomo Balla, Gerardo Dottori, Julius Evola, Ivo Pannaggi e altri osarono orientarsi verso l’arte astratta, mantenendo però nella gran parte dei casi una chiara relazione con l’oggetto.
Il gruppo che gravitava intorno alla leggendaria Galleria del Milione di via Brera 2l a Milano fu dunque il solo, fra il 1930 e il 1936, a mantenere un coerente indirizzo astratto. Di questa avanguardia dell’Astrattismo Razionale facevano parte artisti come Mauro Reggiani, Osvaldo Licini, Atanasio Soldati, ma soprattutto Luigi Veronesi e Fausto Melotti. Anche Lucio Fontana apparteneva a tale cerchia, pur mantenendo una certa distanza dai concetti compositivi dei costruttivisti. Già in questo periodo emerge negli orientamenti teoretici degli artisti della Galleria del Milione un fenomeno che in seguito diverrà caratteristico dell’arte italiana: l’Astrattismo si affermò anche come espressione di un’ideologia politica, schierandosi stranamente sia con il fascismo che con il comunismo. All’origine di tale fenomeno vi è il comune richiamo alle radici mediterranee del logos, da cui sono derivate sia le leggi pitagoriche dell’armonia e delle proporzioni che l’entusiasmo per la matematica, le dimensioni ideali e i sistemi razionali. A questo ambito apparteneva, sin dall’antichità, un pensiero speculativo che rimandava a una dimensione trascendente e metafisica e riconduceva gli assiomi del razionalismo a leggi universali. Mentre una corrente degli astrattisti razionali, guidata dal teorico Carlo Belli, volle riconoscere in questi principi l’espressione più pura dell’italianità, aderendo così al programma ideologico del fascismo, altri artisti, fra cui in particolare Luigi Veronesi, sottolinearono lo spirito di libertà e umanità che si manifesta nel pensiero logico, propugnando la comunione degli ideali comunisti con le tematiche dell’arte astratta. L’adesione alle idee politiche di sinistra e l’impegno a favore dell’Astrattismo caratterizzò anche il periodo del dopoguerra, durante il quale, ad esempio, gli artisti del gruppo romano Forma l si consacrarono con le loro sculture e i loro quadri totalmente all’ideologia socialista. Da ciò emerge una differenza essenziale rispetto agli schieramenti che si formarono negli altri paesi europei e in particolare in Germania, dove nel dopoguerra si verificò ben presto una scissione: da una parte l’arte astratta divenne l’espressione artistica dell’Occidente libero, mentre dall’altra i sostenitori del Realismo Socialista reclamarono come proprie le tradizioni dell’arte figurativa. Verso il 1950 si giunse anche in Italia a una polarizzazione di questo genere, anche se non fu seguita con rigorosa coerenza.
Del resto negli anni precedenti, intorno al l940 e immediatamente dopo la fine della guerra, gli artisti astratti e concreti si erano trovati uniti nella protesta contro il fascismo: lo testimoniano nel l938 la fondazione a Milano del gruppo Corrente e nel 1946 la formazione del Fronte Nuovo delle Arti, annunciata a Venezia. Fu Renato Guttuso, il grande maestro dell’arte figurativa italiana del dopoguerra, a lanciare per primo la sfida fondando il gruppo Realismo e stabilendo un orientamento artistico in linea con il partito comunista, in cui si privilegiava la pittura oggettiva e si escludevano in via generale le concezioni astratte. Il partito, guidato da Togliatti, fece proprio tale punto di vista. Anche nel pensiero di Mario Nigro è predominante la fede nello spirito democratico e umano dell’arte concreta ed egli fu membro del partito comunista italiano.
Soltanto pochi anni separano la sua nascita, avvenuta nel l9l7, da quella dei pionieri dell’Astrattismo. Luigi Veronesi, ad esempio, nacque nel l908. Ciononostante Mario Nigro era ancora troppo giovane per poter lavorare insieme al gruppo d’artisti della prima ora. Inoltre aveva portato a termine gli studi di chimica e conseguito poi, nel l947, una seconda laurea in farmacia. Era dunque uno scienziato di professione, e il suo percorso non è dissimile a quello di Fausto Melotti, che prima di abbracciare la scultura si era laureato in ingegneria.
Mario Nigro ha in comune con gli altri esponenti dell’Astrattismo anche l’amore per la musica. Come Fausto Melotti era uno strumentista di talento. Per questi artisti, come per Vassilij Kandinskij e Paul Klee, la musica rappresenta il modello di un’arte con leggi, qualità espressive e sfere d’azione autonome. Secondo Mario Nigro le arti figurative, e in particolare la pittura, dovevano essere intese, analogamente alla musica, come forme libere di espressione. Occorreva che la pittura avesse “la propria giustificazione nel segno, così come la musica ha la propria giustificazione nella sequenza di note, nella simultaneità, nel contrappunto e nel costrutto musicale.” Molti titoli delle sue opere, in cui utilizza i concetti di ritmo e fuga o ricorre a nomi di compositori come Schumann e Wagner, testimoniano infatti l’intimo rapporto che intercorre fra le sue invenzioni pittoriche e le strutture musicali.
Nel l947 e nel l948 Mario Nigro si concentrò sempre più sui propri obiettivi artistici, pur ricoprendo al tempo stesso la carica di direttore della Farmacia degli Spedali Riuniti di Livorno. Soltanto nel l958 rinunciò alla sua attività principale e divenne pittore di professione. Già nel 1949, con il suo ingresso nel gruppo Movimento Arte Concreto (MAC), egli seppe guadagnarsi l’attenzione del pubblico grazie all’originalità delle sue opere. I suoi primi quadri astratti, risalenti al l947, sono ancora caratterizzati da linee che, slanciandosi in un libero ornamento danzante, animano ampiamente la superficie del quadro, facendo prevalere il tratto pittorico del pennello. Ma ben presto l’artista abbandona il disegno libero delle linee ispirato alle forme organiche a favore di curve basate su una più rigorosa applicazione di leggi costruttive.Tale evoluzione appare evidente nei quadri Ritmo verticale e Costruzione del l948, dove le linee diventano fasce e strisce che seguono un esatto andamento curvo. Per creare le superfici egli procede prevalentemente così: riempie di colore gli spazi rimasti liberi fra le strutture lineari, formando campi cromatici interni. In queste parti il colore è sempre steso in modo uniforme, ossia senza differenziazioni pittoriche (soltanto in una fase successiva l’artista opterà di nuovo per un uso più libero e gestuale del colore). Ritroviamo questo fondamentale principio compositivo anche nelle serie di opere successive, dove le linee formano un’impalcatura funzionale, spezzandosi in un intrico di segmenti, inclinandosi l’una contro l’altra, incrociandosi e unendosi per brevi tratti. Dal complicato reticolo a struttura rettangolare, costituito da fasce nere di differente spessore, traspaiono luminose superfici cromatiche. Già in questi suoi lavori emerge con chiarezza una tendenza sempre più marcata verso la pittura geometrica e oggettiva. Tuttavia, malgrado l’avvicinamento all’arte concreta e un’architettura oggettiva della composizione, Mario Nigro non sopprimerà mai del tutto l’aspetto soggettivo, che si manifesta soprattutto nella presenza dell’artista come regista dell’evento drammaturgico rappresentato nel quadro. Egli, in quanto creatore, non scompare mai dietro l’espressione autonoma e oggettiva del medium pittorico e non rinuncia a visualizzare significati. Anche in questo atteggiamento non dogmatico, che ignora un linguaggio artistico totalmente impersonale e sovraindividuale, Mario Nigro rivela la sua italianità, in lui ritroviamo quella compresenza di fantasia e calcolo razionale già rintracciabile in Luigi Veronesi e Fausto Melotti, il concetto formale alla base dei primi lavori astratto-costruttivi realizzati nel 1949 si rifà ancora a un’idea tradizionale di composizione minuziosa, che si estende nello spazio rettangolare del quadro ed è costituita da interessanti e molteplici diramazioni, puntellature, linee inclinate e strutture angolari. La griglia del supporto nero ricorda le intelaiature delle vetrate che incorniciano frammenti vitrei colorati, in queste composizioni si avverte l’influenza del gruppo Forma 1, che esercitò un certo fascino sull’artista, anche perché egli condivideva le stesse idee politiche. Gli appartenenti a questo gruppo (Piero Consagra, Carla Accardi, Achille Perilli, Piero Dorazio, per citare solo alcuni nomi) si consideravano “formalisti e marxisti” e in un manifesto del 1947 propugnarono “l’armonia delle forme pure”; inoltre si prefiggevano di raggiungere la “bellezza armonica” utilizzando “forme astratte e oggettive”.
Mario Nigro concordava con questi postulati, ma già all’epoca si poneva obiettivi ben più radicali. Gli artisti del gruppo Forma 1, infatti, erano ancora legati a una concezione pittorica decorativa che seguiva i criteri del buon gusto, e soltanto Piero Dorazio passò in seguito — ma comunque dopo Mario Nigro — a un concetto più rigoroso di composizione. Già nel 1949 Mario Nigro abbandonò questi modelli, giungendo a soluzioni formali che anticipavano idee affermatesi solo molto più tardi sulla scena artistica internazionale. Un esempio è dato dai dipinti Pannello in nero del 1949 e Composizione ritmica ortogonale con elementi obliqui del 1950, in cui l’artista realizza schemi lineari che ricordano i circuiti elettronici o i sistemi di tubazioni integrali. Negli anni Ottanta l’americano Peter Halley riprenderà tali modelli dai settori della progettazione tecnica e dell’ingegneria, nell’ambito, come nel caso di Nigro, di un programma orientato politicamente a sinistra.
L’aspetto più sorprendente è che già intorno al 1950 Mario Nigro elaborò principi formali che irruppero sulla scena artistica soltanto negli anni Sessanta, con l’avvento dell’Optical-Art. Ciò che risulta determinante nella sua ricerca è l’allontanamento dal concetto tradizionale di composizione, fondato su gerarchie, forme principali e forme secondarie, rapporti su larga e piccola scala, centri e simmetrie. Egli si proponeva inoltre di limitare le forme particolari e le operazioni costruttive, privilegiando un’organizzazione seriale dell’evento pittorico che si estendesse all’intera superficie del quadro.
A partire dal 1950, con la realizzazione dei cosiddetti “pannelli a scacchi”, e in seguito degli “spazi totali”, che iniziò a realizzare nella seconda metà degli anni Cinquanta, Nigro ridusse sempre più la variabilità e molteplicità delle forme particolari, limitandosi a un modello geometrico di base, a una costante formale ripetuta in modo seriale, a un traliccio o a un fitto reticolo di linee. Sullo stesso principio si fondano lavori come Costruzione del l951, in cui l’artista moltiplica rettangoli di forma identica, all’interno dei quali sono tracciate righe parallele, e li inserisce l’uno nell’altro, oppure come i pannelli a scacchi, in cui gioca con le possibilità di un motivo che si ripete su tutta la superficie, realizzando stimolanti contrasti all’interno della struttura a quadri bianchi e neri.
Nelle opere Pannello a scacchi bianchi e neri e Senza titolo del 1950 Mario Nigro divide la tela in sottili strisce orizzontali bianche e nere. Praticando tagli verticali e spostando parallelamente i segmenti così ottenuti si determinano ritmi e intervalli all’interno del modello, messi ancor più in risalto dalla presenza qua e là di fasce verticali colorate.
Il progetto formale elaborato da Mario Nigro in questi anni si orienta dunque con forza verso semplici interventi operativi all’interno di uno schema formale di base.Tale procedimento — che pur essendo frutto di una creazione individuale si svincola dal soggetto una volta divenuto processo seriale — deve essere riconoscibile nel suo carattere di metodo costruttivo. L’artista che con abilità dispone e ordina gli elementi della composizione cede dunque il posto a colui che, sulla base della logica, inventa spostamenti formali funzionali e riproducibili, nonché creazioni seriali complesse. Con i “pannelli a scacchi” del 1952, caratterizzati dall’utilizzo di una struttura di base costante che alterna quadri bianchi e neri, Mario Nigro dimostra la coerenza del suo metodo: piani trapezoidali o triangolari, che presentano un modello a scacchiera dipinto in modo omogeneo, si contrappongono o sovrappongono sulla tela, così da creare un motivo a grandi riquadri bianchi e neri di uguale dimensione che, pur essendo più volte spezzato, riempie uniformemente la superficie del quadro. L’alternanza può essere anche fra il nero e un altro colore.
L’artista utilizzò lo stesso principio nella serie di opere dal titolo Spazio totale, realizzata fra il 1953 e la prima metà degli anni Sessanta. Sostituì però il modello a scacchiera con un fitto reticolo a quadri formato da linee colorate. In questi lavori la presenza di un motivo ripetuto su tutta la superficie è ancor più marcata, come anche la scansione ritmica e drammatica della struttura del quadro. Mario Nigro raggiunge qui l’obiettivo di realizzare opere d’arte in cui, sullo sfondo di un principio formale oggettivo e concreto, di una trama che si estende su tutto il quadro, sia percepibile la qualità espressiva del soggetto creatore. Anche se composti da strutture reticolari, costruite con esattezza e riproducibili meccanicamente reiterando all’infinito il motivo di base, questi lavori sono pervasi nel loro insieme di tensione vibrante, dinamismo e variazione ritmica.
Mario Nigro era così riuscito a sposare efficacemente il proprio pensiero artistico con gli ideali democratici d’uguaglianza: l’idea di composizione, fondata sul principio di gerarchia, era totalmente superata, e l’evento pittorico caratterizzato da griglie e reticoli uniformi, ossia da una monostruttura universalistica, in cui il tutto prevale sul singolo. Lo stesso discorso vale per la serie intitolata “Collages Vibratili”, realizzata a partire dai primi anni Sessanta, in cui l’artista prosegue la ricerca condotta con gli “spazi totali”. Al posto dei reticoli a quadri egli utilizza ora strutture simili a stelle cristalline, a raggiera, e arabeschi di ghiaccio. Molte di queste opere suscitano un effetto spaziale di profondità: i raggi, infatti, evocano l’immagine di un’esplosione e lo scoppio dei fuochi artificiali in cielo.
Dai metodi costruttivi sperimentati con gli “spazi totali” Mario Nigro trasse un’ulteriore conclusione: gli elementi trapezoidali e triangolari, che in precedenza aveva assemblato nello spazio delimitato del quadro creando una struttura ritmicamente scandita, potevano essere liberati da quest’ultimo vincolo e utilizzati autonomamente. Nacquero così opere in cui il contorno esterno non era più costituito dal tradizionale quadro, ma dalla combinazione di superfici rettangolari e trapezoidali. Seguendo lo stesso metodo Mario Nigro realizzò lavori da collocare liberamente nello spazio, come ad esempio Totem del l965 e Dallo Spazio totale: quattro colonne prismatiche a progressioni ritmiche simultanee adiacenti e opposte del 1966. Dalla fine degli anni Sessanta all’inizio degli anni Novanta il procedimento pittorico di Mario Nigro si evolse in un riduzionismo minimalistico: la linea, brevi tratti lineari, diventa l’elemento dominante delle sue opere, concepite in modo ancora più puro, chiaro e seriale rispetto a quelle della fase precedente. Mario Nigro intitolò questa serie “tempo totale”. In effetti la scansione ritmica regolare dei segmenti — tracciati a intervalli uguali in file orizzontali poste una sopra l’altra variando grazie a leggeri mutamenti d’inclinazione, porta alla luce una dimensione metrica e temporale. Infine, riducendo ulteriormente la presenza degli elementi formali, l’artista si limiterà a disegnare, circa a metà di un pannello sviluppato in senso trasversale e longitudinale, una linea non perfettamente retta, che partendo dal margine sinistro s’interrompe poco prima di raggiungere il margine destro. A un esame più attento scopriamo che tale linea, la cui direzione può anche essere verticale, non è altro che una sequenza di punti ravvicinati. Mario Nigro interpreta dunque in modo innovativo l’affermazione di Kandinskij, secondo cui la linea è un punto che si muove. La linea da lui tracciata non è originata da un movimento, ma formata da una successione di singoli istanti di quiete: ogni punto rappresenta una breve cesura, un persistere, una pulsazione nel fluire del tempo.