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350 AUTUNNO 2020, Recensioni

5 Ottobre 2020, 9:00 am CET

Martin Kippenberger “K” Fondazione Prada / Milano di Moritz Gaudlitz

di Moritz Gaudlitz 5 Ottobre 2020
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Martin Kippenberger, The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika”, 1994. Tecnica mista (sedie, tavoli e altri oggetti), cavi elettrici, superficie verde dipinta con linee bianche, due gradinate.30 x 20 m circa. Collezione privata. Per questa installazione anche Memphis e Collezione privata, Milano. © Estate of Martin Kippenberger e Galerie Gisela Capitain, Colonia. Veduta della mostra “K” presso Fondazione Prada, Milano, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada, Milano / Venezia.
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Martin Kippenberger, The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika”, 1994. Tecnica mista (sedie, tavoli e altri oggetti), cavi elettrici, superficie verde dipinta con linee bianche, due gradinate.30 x 20 m circa. Collezione privata. Per questa installazione anche Memphis e Collezione privata, Milano. © Estate of Martin Kippenberger e Galerie Gisela Capitain, Colonia. Veduta della mostra “K” presso Fondazione Prada, Milano, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada, Milano / Venezia.
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Martin Kippenberger, The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika”, 1994. Tecnica mista (sedie, tavoli e altri oggetti), cavi elettrici, superficie verde dipinta con linee bianche, due gradinate.30 x 20 m circa. Collezione privata. Per questa installazione anche Memphis e Collezione privata, Milano. © Estate of Martin Kippenberger e Galerie Gisela Capitain, Colonia. Veduta della mostra “K” presso Fondazione Prada, Milano, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada, Milano / Venezia.
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Martin Kippenberger, The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika”, 1994. Tecnica mista (sedie, tavoli e altri oggetti), cavi elettrici, superficie verde dipinta con linee bianche, due gradinate.30 x 20 m circa. Collezione privata. Per questa installazione anche Memphis e Collezione privata, Milano. © Estate of Martin Kippenberger e Galerie Gisela Capitain, Colonia. Veduta della mostra “K” presso Fondazione Prada, Milano, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada, Milano / Venezia.
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Martin Kippenberger, The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika”, 1994. Tecnica mista (sedie, tavoli e altri oggetti), cavi elettrici, superficie verde dipinta con linee bianche, due gradinate.30 x 20 m circa. Collezione privata. Per questa installazione anche Memphis e Collezione privata, Milano. © Estate of Martin Kippenberger e Galerie Gisela Capitain, Colonia. Veduta della mostra “K” presso Fondazione Prada, Milano, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada, Milano / Venezia.

Sembra che la Fondazione Prada, uno dei centri nevralgici italiani dell’arte contemporanea, sia attratta dalla cultura tedesca. Basti ripensare alla complessa ma splendida mostra “The Boat is Leaking. The Captain Lied” (2017), allestita a Venezia, al Palazzo Ca’ Corner della Regina. Oggi la fondazione ha nuovamente collaborato con il curatore tedesco Udo Kittelmann per allestire la nuova trilogia di mostre “K” — un titolo semplice quanto complicato — che ospita lavori basati sui tre romanzi incompiuti dell’autore tedesco Franz Kafka.

Il cuore della mostra è The Happy End of Franz Kafka’s ‘Amerika’ di Martin Kippenberger (1994), una installazione in larga scala con oltre quaranta classici del design esposti al pianterreno del “Podium”, nella sede di Milano. Qui lo spettatore può sedersi su una delle tribune collocate ai lati dell’installazione: la visione panoramica trasforma il lavoro di Kippenberger in un’arena per l’arte, un campo da calcio di design industriale, o forse un gigantesco colloquio di lavoro, come quello del protagonista nel romanzo di Kafka Amerika (1927). Il lavoro di Kippenberger richiama una sequenza in cui il giovane protagonista del libro, Karl Rossmann, dopo aver attraversato gli Stati Uniti, cerca impiego nel cosiddetto “teatro più grande del mondo”.

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Martin Kippenberger, The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika”, 1994. Tecnica mista (sedie, tavoli e altri oggetti), cavi elettrici, superficie verde dipinta con linee bianche, due gradinate.30 x 20 m circa. Collezione privata. Per questa installazione anche Memphis e Collezione privata, Milano. © Estate of Martin Kippenberger e Galerie Gisela Capitain, Colonia. Veduta della mostra “K” presso Fondazione Prada, Milano, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada, Milano / Venezia.
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Martin Kippenberger, The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika”, 1994. Tecnica mista (sedie, tavoli e altri oggetti), cavi elettrici, superficie verde dipinta con linee bianche, due gradinate.30 x 20 m circa. Collezione privata. Per questa installazione anche Memphis e Collezione privata, Milano. © Estate of Martin Kippenberger e Galerie Gisela Capitain, Colonia. Veduta della mostra “K” presso Fondazione Prada, Milano, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada, Milano / Venezia.
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Martin Kippenberger, The Happy End of Franz Kafka’s “Amerika”, 1994. Tecnica mista (sedie, tavoli e altri oggetti), cavi elettrici, superficie verde dipinta con linee bianche, due gradinate.30 x 20 m circa. Collezione privata. Per questa installazione anche Memphis e Collezione privata, Milano. © Estate of Martin Kippenberger e Galerie Gisela Capitain, Colonia. Veduta della mostra “K” presso Fondazione Prada, Milano, 2020. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada, Milano / Venezia.
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Orson Welles, The Trial, 1962. 118 min. Inglese con sottotitoli in italiano. Distribuito da Filmauro. Proiettato in loop dalle 10:15 alle 18:15. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada, Milano / Venezia.
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Orson Welles, The Trial, 1962. 118 min. Inglese con sottotitoli in italiano. Distribuito da Filmauro. Proiettato in loop dalle 10:15 alle 18:15. Fotografia di Andrea Rossetti. Courtesy Fondazione Prada, Milano / Venezia.

Kippenberger mescola fatti e finzione, perché prima di morire disse apertamente di non aver mai finito di leggere Amerika. Il curatore Udo Kittelmann commenta: “Era stato in America per dare un impulso alla sua carriera lì. Poiché non ci riusciva, osservò l’America per la prima volta e cercò di scoprire quello che secondo lui rendeva il paese quello che era. Il suo lavoro, come Amerika di Kafka, muove anche una grande critica al capitalismo e in generale ai sistemi imperialistici”. Passeggiando attorno ai tanti mobili, sempre installati in costellazioni di due, compresi molti classici del design da Memphis al tardo moderno, si percepisce la pressione che qualcuno può aver avvertito in un colloquio di lavoro: in fin dei conti, una tipica situazione capitalistica.

L’impressionante installazione di Kippenberger è accompagnata dal film di Orson Welles Il processo (1962), che viene proiettato a intervalli regolari nel cinema interno, e dall’album Franz Kafka: The Castle (2013) dei Tangerine Dream, che si può ascoltare — idealmente in stato di trance — su poltrone gonfiabili distese su un tappeto rosa in una delle tre sale dello spazio espositivo “Cisterna”. L’interpretazione sonora di Edgar Froese, fondatore dei Tangerine Dream, del romanzo di Kafka Il castello (1926) è un esemplare cupo e malinconico di musica elettronica.

Nelle sue opere letterarie, Kafka ha espresso le paure e l’alienazione che molti vivevano nell’Europa del primo Novecento. Dunque, la mostra “K” può essere letta come uno specchio del nostro tempo presente, in cui c’è ancora speranza in un futuro migliore. “Kafka e gli altri tre protagonisti della mostra non perdono mai la speranza. Non c’è motivo per una depressione profonda. Ma è un appello a restare vigili e non abbandonarsi alle apparenze, per dedicarsi di più a essere”, dice Kittelmann. Non bisogna per forza guardare il film di Welles dall’inizio alla fine, ascoltare sessanta minuti di Tangerine Dream, o camminare per ore nell’installazione del Podium per comprendere l’America di Kippenberger – anche se potete tranquillamente farlo. Se anche non si conoscono i tre libri di Kafka, i temi esplorati e le atmosfere generate da queste personalità sono sufficienti a innescare la consapevolezza che nonostante i tempi cambino di continuo, molte circostanze ritornano all’infinito.

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