Roberta Ferraresi: In questo periodo su cosa stai lavorando?
Martino Genchi: Devo ancora capire perché, ma mi piacerebbe fare qualcosa con il golf… è uno sport che mi ha sempre affascinato. Credo che c’entri col fatto che stavo studiando le centrali nucleari. L’atomo contiene un’enorme quantità di energia che abbiamo imparato a liberare. Ma bisogna anche gestirla, così si costruisce un’immensa — rispetto all’atomo soprattutto — struttura di contenimento, il reattore, che è già una scultura di per sé. Poi però esplode. Va a puttane perché è il tentativo dell’uomo di mantenere un equilibrio che non appartiene all’universo.
RF: Ma questo cosa ha a che fare con il golf?
MG: Non lo so, ci sto ancora lavorando, ho messo assieme le cose solo perché le avevo in testa nello stesso momento… Pensavamo che l’atomo fosse indivisibile e invece è stato distrutto. Magari anche la pallina da golf si può rompere per estrarne qualcosa. Poi ci sono delle caratteristiche fisiche nella trasmissione del moto — nel perturbare qualcosa che era immobile — che per me sono interessanti. Colpendo la pallina, le trasferisci un movimento che la trasporta in un altro luogo. Cambia la sua realtà. Poi non so… la fascinazione è inspiegabile. Sapevi che l’uranio impoverito è usato anche per le mazze da golf? Sto facendo molti esperimenti con questi e altri materiali. Spero, se il processo che sto seguendo è fruttuoso, che si arriverà a un punto in cui tutti i vari pezzi prendono una forma reciproca e lavorano assieme per ottenere qualcosa di più.
RF: Mi incuriosisce il tipo di rapporto che lega questi elementi nel processo di creazione.
MG: È come prendere due sostanze chimiche, farle reagire e vedere che cosa succede. Il punto non è tanto nella relazione che si istituisce, quanto nei suoi risultati: può non portare a nulla o essere molto forte, esplodere, trasformarsi in qualcos’altro con proprietà nuove. Non è importante creare oggetti, quanto piuttosto modificare lo scorrere della realtà.
RF: Però il tuo lavoro è pieno di oggetti…
MG: Siamo talmente circondati da forme che credo di non aver bisogno di crearne di nuove. Quello su cui lavoro sono i processi della realtà, che è costituita da istanze pre-formate: mi interessano le dinamiche fra le cose esistenti. Pensa a The Man: quando usi le viti in un modo diverso da quello per cui sono state costruite, ne fai un uso improprio ma che allo stesso tempo è implicato nella forma-vite. Però è nuovo, non è convenzionale. Allora vai a modificare le viti dell’intero universo, aggiungi qualcosa a tutte le viti di tutte le pareti in cartongesso di tutti gli spazi espositivi. Capisci? È molto più forte che creare un oggetto che non esiste da nessun’altra parte.
RF: E lo spettatore come entra in questo discorso?
MG: C’è sicuramente il mio lavoro sulla realtà, ne abbiamo parlato, ma non è solo questo. Ti faccio un esempio. Considera ha due punti di vista distinti, non è mai possibile abbracciarlo interamente con lo sguardo. Nel processo di fruizione c’è uno sviluppo temporale, anzi una dimensione esperienziale, attiva: implica un’azione. Frammentando il punto di vista, decomponendo il momento della fruizione e sezionandolo nel tempo e nello spazio, ho cercato di lavorare sulle aspettative che si generano automaticamente quando si guarda qualcosa. Diciamolo: l’arte non è inutile. Compie sempre un’azione sull’osservatore, serve a quello, ad agire sui meccanismi cognitivi — quindi anche sulla memoria e l’immaginario — di chi la guarda.
RF: Parli spesso di forzare i limiti e i punti di vista, ma allo stesso tempo uno dei tuoi interessi è la geometria…
MG: Cambiare il punto di vista è un esercizio che ritengo molto utile. Forse veramente è il motivo per cui faccio arte: il privilegio di poter costantemente interpretare… non lo so… la realtà in maniera sbagliata, lavorando sui processi mentali e provando a vedere le cose da un’altra prospettiva. L’arte è sempre una specie di rottura di un ordine, no? Studiare un sistema strutturato come la geometria è molto interessante perché ci sono momenti di criticità interni. La mente ha i suoi meccanismi, ma la visione è uno stimolo che viene lanciato attraverso l’occhio, penetra in quell’ordine e lo modifica. Il segnale entra in circolo e intacca la forma perfetta delle idee astratte del cervello. Sirena era esattamente questo. Ma ti racconto un’altra cosa. Quando siamo tornati alla Fondazione Spinola Banna, due anni dopo, ho studiato come costruire una bomba. La residenza si svolge in una tenuta che ospita anche un’azienda agricola, quindi usano in grandi quantità l’ammonio nitrato, un fertilizzante che può essere facilmente utilizzato per fabbricare esplosivi. È lo stesso discorso che ti facevo sulle viti: in un sistema strutturato sono sempre presenti elementi che possono essere riorganizzati in maniera dirompente: ogni ordine — la geometria, l’arte, la visione — contiene i semi della sua stessa rottura, che opportunamente stimolati possono germinare o esplodere.