Secondo il filosofo francese Bruno Latour, lo stesso che negli anni Novanta criticò la superbia con cui la modernità ha gestito i suoi sistemi di conoscenza, tutte le “cose” del mondo sarebbero in perenne relazione tra loro. La sua “ANT – Actor Network Theory” o teoria dell’attore-rete – considera infatti ogni porzione della realtà come il risultato dell’interazione tra entità che, umane o non- umane, animali o tecnologiche, reali o immaginarie, circolano costantemente e senza alcuna distinzione gerarchica. Esse si uniscono seguendo modalità più o meno codificabili attraverso i nostri strumenti percettivi ma, talvolta, come nel caso della mostra “HARDSCAPES” di Nina Canell, possono radunarsi in uno stesso perimetro dimostrando l’intrinseca ibridità della nostra esperienza.
Negli spazi monumentali dell’ex polo industriale torinese, l’artista svedese presenta un’installazione avvolgente composta da due opere che, già per il loro essere state allestite l’una nell’/sull’altra, dichiarano quantomeno la loro appartenenza a una comune “rete” di significati concettuali. Su un pavimento ben delimitato realizzato con sedici tonnellate di conchiglie calpestabili (Muscle Memory, 2021), è posizionato un imponente led wall su cui scorrono placide le immagini di Energy Budget (2017–18): un video in loop in cui le riprese di una lumaca leopardo si alternano a quelle di enormi grattacieli cinesi. Mentre l’animale è intento a esplorare un quadro elettrico dismesso e, con la sua proverbiale lentezza, si muove tra cavi e relè seguendo istintivamente l’energia residua che ancora li attraversa, le dettagliate riprese della sua pelle traslucida evidenziano le forze, stavolta biologiche, interne ai suoi fasci di muscoli. Potenziata dall’ingrandimento della macrofotografia, la rappresentazione di questa interazione tra energie naturali e artificiali sembra essere plasticamente restituita anche dalle immagini dei mastodontici edifici. Questi ultimi, infatti, sono costituiti da strutture alveolari che ricordano le fattezze dei circuiti elettrici e che, come vorrebbe il feng-shui, presentano grandi aperture funzionali a consentire il passaggio di potenti flussi energetici o degli enormi draghi in cui crede la mitologia cinese. Tra le fisse immagini delle imponenti architetture, non a caso, piante e panni stesi si muovono con leggerezza come fossero sospinti da qualcosa di invisibile e impalpabile.
A prescindere dal loro essere tecnologiche, naturali o mistiche, le entità che si manifestano in Energy budget coesistono una accanto all’altra e, ognuna con le proprie possibilità, costruiscono un’interfaccia di relazioni simbiotiche in cui l’umano non è la solita componente dominante. Anzi, il video limita la sua capacità di intervenire sulla realtà – quella che Latour chiama “agentività” – e al massimo presenta le tracce della sua esistenza in una prospettiva post-antropocentrica o anti-moderna. È evidente, per esempio, che i pannelli elettrici su cui si muove la lumaca siano dismessi, così come è chiaro che quegli enormi oggetti residenziali rappresentino una critica all’ambiguità del modello sociale turbocapitalista.
Anche quando lo spettatore cammina su Muscle Memory e, con il peso del suo corpo, contribuisce a frammentare rumorosamente i gusci di conchiglia sotto i suoi piedi, non si verifica alcuna evidente prevaricazione e forse sono addirittura sovvertiti i più consueti rapporti relazionali. Non solo perché, come sostiene Canell, il calpestio è generato da un “mucchio di ossa che schiaccia altre ossa”, ma perché i materiali di questa grande scultura a pavimento, solitamente triturati industrialmente per essere usati come inerti nell’edilizia, sono qui sgretolati lentamente secondo un processo che li sottrae dai tempi del progresso ri-avvicinandoli ai rassicuranti e più dilatati ritmi geologici.
In effetti “HARDSCAPES” – che anche nel titolo allude alle infrastrutture umane con un impatto paesaggistico – è un’immersione nella mescolanza. Rappresenta l’interazione tra entità eterogenee ma tutte bisognose di energia e, per mezzo della tecnologia, dei nostri corpi e della rappresentazione della natura, delinea la possibilità di un’alleanza umana, non-umana e, forse, immaginaria: un ambiente protetto, sicuro e ben perimetrato per un’esperienza concreta di pluralità e alterità.