Chi non cammina, non cadrà.
(proverbio russo).
Alessandra Galletta: Più che un’installazione, Oltre le Terre Fredde è una specie di paesaggio siberiano a domicilio…
Olga Schigal: Ho cercato di riportare esattamente le immagini che ho visto quando sono tornata in Siberia dopo tanto tempo. Volevo proprio quelle betulle, quella sabbia particolare e unica, e anche la mia famiglia, che ho riportato attraverso l’album di foto della nostra storia su una delle tre enormi vetrate della Fondazione Pomodoro, quasi delle presenze, un ricordo. Ho scelto le immagini più misteriose e qualcuna di quando ero piccola, ma entrando nella stanza il pubblico non si accorgeva di questo strano decoro e questo mi piaceva molto. Quasi fantasmi, un po’ come le immagini nella memoria.
AG: Nelle tue opere c’è sempre un riferimento a un mondo perduto. C’è così tanta nostalgia, in te?
OS: Sin da piccola sapevo che dalla Siberia me ne sarei andata, non perché non stessi bene, anzi, ma ero divorata dalla curiosità di muovermi e conoscere altre terre, altre lingue, altri luoghi. Sono arrivata in Germania che, paragonata alla Siberia di quegli anni, per me era come andare sulla luna. Era tutto bello ma anche scioccante, guardavo i punk tedeschi come si guardano creature esotiche di un altro mondo. Dopo un po’, ho cominciato a sentire una strana nostalgia, mi mancavano i miei amici, la mia infanzia, gli odori della mia terra, come se non avessi un posto mio. Addirittura mi mancava la mia patria, sentimento che non conoscevo, e che ha sorpreso anche me.
AG: L’appartenenza al Paese d’origine ma anche la sua perdita, come nella tua rivisitazione della Matrioska.
OS: La Matrioska è un souvenir tra i più diffusi e simboleggia la “Madre Patria”, per questo il lavoro si intitola così. È il simbolo che esprime proprio quell’attaccamento, quell’amore particolare per la Russia, per questo per me era importante usare un simbolo così noto nel mondo, inconfondibilmente legato all’immagine del mio Paese, e metterci dentro tutti i miei sentimenti così contraddittori. Una Matrioska è bianca e ha occhi spalancati mentre l’altra è nera a occhi chiusi; una si sposa, l’altra è una vedova, una è nella perdita, l’altra corre verso il futuro; una sta dormendo, è assente, mentre l’altra è curiosa e fresca… Sono le due parti di me, anch’io sono divisa tra due Paesi e due stati d’animo. L’uno contiene l’altro.
AG: Una riconoscibilità dei simboli del tuo Paese che ti ha portato fortuna: con una strana Piazza Rossa hai vinto la sezione scultura del Premio Arte Laguna del 2009.
OS: Piazza Rossa è un lavoro nato dal mio primo viaggio a Mosca, qualche anno fa. Attraversare quella piazza è stato per me davvero emozionante, si può dire sia il punto più carismatico di tutta la Russia, un’immagine storica, che da sempre vedi inquadrata alle spalle di un politico intervistato in tv. Tornando in Germania, in un negozio dell’aeroporto di Mosca, un piccolo carillon ha attirato la mia attenzione, così ho pensato di ingigantire questo sciocco souvenir della cattedrale che riproduceva una canzone da noi molto popolare che si intitola Le serate di Mosca, e l’ho sostituita con l’inno nazionale in versione carillon, trasformando un inno antico, lo stesso dei tempi del Soviet, in un’aria semplice, quasi una ninna nanna nostalgica e dolce.
AG: Anche la falce e martello diventa quasi un giocattolo…
OS: Si, quello è addirittura un pelouche! Una falce e martello morbida e pelosa, quasi un gadget da divano, un cuscino sul quale accoccolarsi, che dedico a tutti i nostalgici come me…Però quando manipolo simboli così forti confesso di farlo sempre con un po’ di timore, come se stessi giocando con qualcosa di sacro, in qualche modo intoccabile. È un divertimento, ma anche un po’ una sfida; la nostra educazione politica è piuttosto rigida e non lascia molto spazio all’ironia.
AG: Un’ironia che invece è sempre associata all’Italia, e infatti hai realizzato un monumento al cappuccino.
OS: Quando sono arrivata in Italia sono rimasta colpita innanzitutto dal modo tutto italiano di prendere le cose, sempre con una certa distanza, forse con un po’ di superficialità, e certamente di ironia. Così ho realizzato in ceramica una gigantesca tazza di cappuccino tipicamente italiano, persino con la spolverata di cacao, e l’ho installata su tante copie diverse del Corriere della Sera dalle prime pagine farcite giorno dopo giorno di notizie gravi, preoccupanti, poco allegre. Che importa, quando hai un ottimo cappuccino e un cornetto caldo che accompagna la lettura? È come se per voi le cose importanti fossero altre, e in fondo è vero!
AG: Hai avuto una formazione artistica d’eccellenza, allieva prediletta della grande Katharina Fritsch. Che cosa hai imparato nel tuo percorso artistico fino a qui?
OS: Da quando mi ha scelta, all’esame di ingresso all’Accademia, sono rimasta sempre con lei per sette anni, e alla fine mi ha nominata “Allieva Maestra”, che è una forma di riconoscimento del Maestro verso l’allievo. Probabilmente avevamo un occhio molto simile sulle cose, ma non sono stati anni sempre facili perché avevamo entrambe un carattere molto forte. Lei mi diceva che non era abbastanza, che dovevo osare di più, anche se a me sembrava di dare il massimo. Ci rimanevo sempre male perché sono una perfezionista, anche un po’ permalosa, ma alla fine ho imparato davvero molte cose importanti.
AG: Per esempio?
OS: Per esempio che l’arte è una sfida continua, e non bisogna fermarsi, o accontentarsi della prima soluzione ma continuare a cercare la migliore soluzione fino all’unica soluzione possibile del lavoro.