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22 Luglio 2015, 11:08 am CET

Kristin Baker di Margherita Artoni

di Margherita Artoni 22 Luglio 2015
Modernist Broadcast System, 2011. Acrilico su PVC, 152 x 112 cm. Courtesy The Suzanne Geiss Company, New York. Foto: Ellen Labenski.

 

Modernist Broadcast System, 2011. Acrilico su PVC, 152 x 112 cm. Courtesy The Suzanne Geiss Company, New York. Foto: Ellen Labenski.
Modernist Broadcast System, 2011. Acrilico su PVC, 152 x 112 cm.
Courtesy The Suzanne Geiss Company, New York. Foto: Ellen Labenski.

Margherita Artoni: Negli ultimi dieci anni la tua opera è stata elogiata da critici e curatori di rilievo, tant’è vero che quando si parla del nuovo Astrattismo americano è impossibile non fare riferimento allo stile euforico che contraddistingue la tua firma. La produzione degli esordi è stata largamente rivolta al tema delle corse automobilistiche. Cosa ti ha spinta a tradurre in pittura l’esplosione adrenalinica dell’alta velocità?

Kristin Baker: Esistono diverse ragioni. Il mio approccio alla pittura è sempre stato molto immediato e fisico; sin dai primi tempi mi sono dedicata a spingere la limitazione e la dicotomia di un fermo immagine, come il dipinto, in un istante di energia e movimento. Allo stesso tempo, essendo empatica all’approccio pittorico, ho colto in questo aspetto un modo per esprimere il mio entusiasmo nei confronti del dipinto — una vera e propria celebrazione.

MA: A partire dal 2007 hai scelto di dare meno spazio al tema delle corse automobilistiche per esplorare la carica sublime del paesaggio. Perché questo cambiamento? E dove hai preso ispirazione per i nuovi soggetti?

KB: Preferirei non ragionare linearmente, come se esistesse la fine di una cosa e l’inizio di un’altra. In realtà, non avverto una netta distinzione tra le due serie. La ricerca del sublime è sempre stata una componente del mio lavoro, e anche quando impiegavo come soggetto le auto da corsa ero influenzata da fattori estranei. Al momento non sto focalizzando il mio interesse intorno a un evento specifico, come le auto da corsa per ritrarre il tema della velocità. I materiali sono i protagonisti dell’opera mentre le immagini, unite allo spazio, sono più indefinite. Vi è una conversazione tra logica e informale, reale e soprannaturale.

MA: Per quale ragione ami usare il dipinto su larga scala come chiave espressiva privilegiata?

KB: Lavoro su larga scala perché i raschietti metallici che adopero richiedono un’ampia superficie. All’inizio ho sempre gravitato verso la grande dimensione pittorica, in quanto la fisicità e la performatività richieste apparivano essenziali al fine di stimolare l’energia che cercavo.

MA: Esiste un motivo particolare che giustifichi l’utilizzo di supporti industriali per i tuoi dipinti?

KB: Inizialmente ero affascinata da questi materiali perché sembravano trovare una maggiore pertinenza con la dimensione quotidiana, rappresentando dunque qualcosa di più contemporaneo. Ora la plastica e i raschietti sono fondamentali per la mia sintassi e, sebbene io possa introdurre nuovi elementi, il supporto fondativo rimane il medesimo. Di conseguenza, la mia scelta iniziale di utilizzare questi materiali e strumenti specifici non è più un fattore rilevante. A questo punto della mia indagine sono più attratta dalle loro caratteristiche stabili, come la rigidità bianca e porosa del PVC.

Back a Horse, 2011. Acrilico su PVC, 305 x 204 cm. Courtesy The Suzanne Geiss Company, New York. Foto: Ellen Labenski.
Back a Horse, 2011. Acrilico su PVC, 305 x 204 cm. Courtesy The Suzanne Geiss Company, New York. Foto: Ellen Labenski.

MA: Negli ultimi tre anni il tuo lavoro ha preso una direzione progressivamente astratta, priva di tematiche specifiche e attenta all’incontro tra la luce e il colore. Come collochi tali aspetti nella tua evoluzione artistica?

KB: Questi sono elementi che in modo germinale erano già presenti nella mia opera, sebbene io abbia scelto solo in tempi recenti di metterli in primo piano. Intorno al 2006-2007, quando ho iniziato a lavorare sull’acrilico trasparente in un ambiente con luce naturale, la luce stessa è diventata una componente reale, oltre che un ulteriore supporto. Da allora, ho iniziato a portare all’estremo la luce e il colore per giungere a qualcosa che non fosse una mera rappresentazione illusionistica, ma intrinseca. Sto cercando di tirare fuori il bagliore interno alla pittura attraverso un approccio quasi opposto al chiaroscuro. Le mie nuove opere non sono motivate dall’obiettivo del rappresentare; sono più fedeli a tutti gli aspetti del processo, e proprio per questo i termini sono meno astratti.

MA: In che direzione sta andando il tuo lavoro?

KB: I dipinti che ho eseguito recentemente si basano principalmente sulla luce e sulla materia. Sono dipinti di ogni dove; le loro fonti e gli spazi che essi creano sono ambigui, capricciosi e in continuo mutamento. Hanno a che fare con la fisica di forme grafiche e densità atmosferiche. Ogni frammento ha una presenza individuale, e il soggetto principale si estrinseca quando il contenuto di un dipinto viene osservato nell’insieme.

MA: Pensi che una tecnica storicamente tradizionale come la pittura possa rivelare, di generazione in generazione, un autentico potenziale innovativo?

KB: Nulla è per sempre.

Margherita Artoni è critica d’arte e curatrice. Vive e lavora a Torino.

Kriwswstin Baker è nata nel 1975 a Stamford (CT). Vive e lavora a New York.

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