Paolo Bacilieri ha cinquantatré anni e quando lo incontro mi appare subito come un ragazzino timido e appassionato, di quelli che hanno imparato le regole adulte del silenzio così presto da potersi concedere sempre un’aura di giovinezza eterna, capace di collocarli fuori dal tempo.
Nato a Verona e cresciuto in quel “West” italiano che Zeno, il suo alter ego in forma disegnata e insieme il suo Jean-Pierre Léaud, chiama Weneto – proprio per evocarne l’anima selvaggia, provinciale e insieme infantile, fiabesca e perduta –, Bacilieri si circonda di fumetti fin da piccolissimo e inizia a leggerli solo dopo aver iniziato a disegnare: «Ho imparato a leggere a cinque anni, ma già prima di quel momento saccheggiavo gli albi dei miei fratelli maggiori e iniziavo a scarabocchiare su dei blocchi di carta da telescrivente che mio padre portava a casa dall’ufficio. Sono cresciuto in una famigliona veneta in un paesino minuscolo dell’alta Valpolicella, dove non c’era neppure un’edicola! Ma cosa importava? In quegli anni, l’offerta di fumetti era davvero ricchissima: c’erano tanti autori straordinari che “lavoravano per me”. Infatti, la grandissima parte dei fumetti era rivolta a un pubblico di giovanissimi. Leggevo Topolino, ovviamente, ma anche Cucciolo, Braccio di Ferro, Tiramolla, Soldino, il Corriere dei Piccoli e il Corriere dei Ragazzi, dove, a sette anni, lessi la mia prima storia del Corto Maltese di Pratt, “Teste e funghi”. Poi c’era Il Giornalino; i neri e i sexy pocket: Diabolik, Kriminal, Oltretomba, Zora e Alan Ford; e poi ancora la collana Supereroica, i fumetti “di guerra” dell’inglese Fleetway, fino alla prima invasione dei supereroi Marvel della Corno! E infine… beh, i Linus dei miei cugini più grandi che vivevano in città! C’erano così tanti fumetti che tutti, a casa, disegnavamo: fratelli, sorelle e mio cugino Zeno, di qualche anno più grande di me, che era bravissimo. Poi io ho continuato a farlo anche da adulto».
L’età adulta di Bacilieri fumettista inizia, però, lontana dal Weneto, nella pulsante Bologna degli anni Ottanta, dove l’autore si forma all’Accademia di Belle Arti, per poi fare la conoscenza di Milo Manara e, poco dopo, dello scrittore veneziano Franco “Steve” Mescola, che scriverà le storie dei suoi primi disegni poi pubblicati sulla rivista À Suivre: «Ho capito presto che disegnare sarebbe stato il mio mestiere: è una delle pochissime idee chiare che ho sempre avuto. Ho pubblicato il mio primo fumetto, “Fortunato” (racconto breve di una poetessa veneta, Carmela Benedetti, adattato a fumetti in puro stile “toppiano”), nel 1980, gratis, sulle pagine de Il Piccolo Missionario. Quello con Manara è stato il primo incontro straordinario della mia vita artistica. Lui era il mio mentore e quando ci siamo conosciuti, nel 1981, avevo sedici anni, un’età in cui vedere fisicamente un fumettista, in carne, ossa e sigarette, è fondamentale. Anche conoscere Mescola è stato molto importante, così come entrare in contatto con Luca Aurelio Staletti, che in seguito mi ha fatto da agente».
Dopo la collaborazione con Casterman, l’editore belga che aveva dato alle stampe À Suivre, Bacilieri continua a lavorare ai suoi personaggi collaborando dapprima con Comic Art, poi con Coniglio Editore e The Artist. La svolta arriva nel 1998, con l’ingresso, per la prima volta, alla casa editrice Bonelli; «…grazie a Carlo Ambrosini, che aveva una sua serie, Napoleone, e a Enea Riboldi (entrambi li considero i miei zii milanesi); grazie anche a Franco Busatta, un “redattore complice”; ma, soprattutto, grazie al grande vecchio in persona, Sergio Bonelli, che Tiziano Sclavi definiva, a ragione, “il migliore degli editori possibili”», mi confessa Bacilieri. «Iniziare a lavorare con la Bonelli per me ha significato molto, anche in termini emotivi, sentimentali, diciamo. Credo di esserci arrivato al momento giusto, non troppo presto, già con un percorso alle spalle, un mio modus operandi, e non troppo tardi, ancora abbastanza giovane, incosciente e con riserve di entusiasmo a fondo perduto. Il bello della Bonelli era ed è la vastità del racconto a fumetti, un racconto “povero”, in bianco e nero, su quella cartaccia porosa (che adoro in modo feticistico), e potenzialmente infinito. Un racconto che si protrae per albi/mesi, serie/anni/decenni. E che porta a ragionare non sulla singola tavola ma su centinaia, migliaia di tavole. Senza perdere mai l’attenzione maniacale ai dettagli, al singolo balloon, alla vignetta non abbastanza comprensibile, insomma al fumetto puro e semplice». Con Bonelli, Bacilieri realizza diverse storie per Napoleone, ma anche una per Dylan Dog, su testo di Alberto Orsini.
L’altra svolta centrale nella vicenda creativa di Bacilieri è la pubblicazione del primo fumetto con Coconino Press, Sweet Salgari, nel 2012: «In realtà doveva uscire ben prima», ricorda l’autore. «Lo avevo proposto a Igort intorno al 2001, quando aveva da poco fondato la casa editrice ed era venuto a chiedermi se avevo qualcosa per lui. Ma ci ho impiegato molto tempo a realizzarlo, per svariati motivi». Sweet Salgari è l’opera che aumenta in modo esponenziale la popolarità di Bacilieri, portandolo a farsi conoscere su larga scala ben oltre la scena del fumetto, in particolare rivelando il suo eclettico talento narrativo anche agli appassionati di letteratura. È, dunque, in questa fase che emerge la maturità di un autore che nei suoi fumetti riversa in modo costante e imponente la sua storia di essere umano, oltre alla sua formazione culturale che afferisce al campo musicale, cinematografico, letterario, artistico e architettonico. La poetica di Bacilieri è insomma un mix di mondi, influenze e storie che trovano nei suoi racconti diverse forme per emergere, in un modo che va ben oltre il semplice autobiografismo.
Quando domando a Paolo quali sono, dal suo punto di vista, i temi centrali del suo lavoro, quelli attorno ai quali girano le sue storie, lui mi risponde su questa linea, mescolando i fattori iconici che ci portano a riconoscere la sua cifra stilistica a ciò che, più intimamente, i suoi personaggi rappresentano. «Innanzitutto, la bellezza dei fumetti in bianco e nero; poi, la bellezza della Torre Velasca; e, infine, il tentativo di catturare e riprodurre l’atmosfera etilica, elettrica e svaccata di una serata weneta degli anni Ottanta, nell’interrato di un locale weneto, in Via Interrato dell’Acqua Morta, dove suonò il sax contralto Massimo Urbani».
Da pochi mesi è uscita la ristampa di Zeno Porno e La magnifica desolazione, i due lavori di Bacilieri per Kappa Edizioni, pubblicati rispettivamente nel 2005 e nel 2007. Dopo Sweet Salgari, abbiamo visto salire a bordo dell’astronave weneta dell’autore il mondo milanese di personaggi che hanno le fattezze di Umberto Eco, di piccoli uomini delle notti metropolitane e di ragazze dal portamento meneghino capaci, capricciosamente, di mandare Zeno fuori di testa.
Se, infatti, lo scenario iniziale del lavoro di Bacilieri era quel Weneto della grande famigliona di disegnatori e di avventure adolescenziali tra film porno e supereroi loser, quello degli ultimi lavori come Fun (2014) e More Fun (2016) si muove nella ragnatela di Milano: i Kinks, David Bowie, Andrea Zanzotto, Damiano Damiani, Patty Pravo, Anna Oxa, Gian Maria Volontè, Peter Bogdanovich, Mario Schifano, Liquid Liquid, Primo Levi e Pier Paolo Pasolini si aggiungono alla Torre Velasca – correlativo oggettivo pop di cosa è oggi Paolo Bacilieri nell’immaginario del fumetto italiano – e ad Ermanno Olmi – altro milanese acquisito attraverso film come Il posto (1961), I fidanzati (1963) e il grandioso documentario Milano ’83 (1983).
Ho chiesto allora a Paolo di mettere insieme tutto questo e provare a dirmi, così, per giocare insieme, cosa direbbe di sé a un piccolo alieno appena arrivato a mettere il naso sul nostro altrettanto piccolo Pianeta Azzurro: «Facile: io sono un terrestre che fa storie a fumetti, preferibilmente in bianco e nero».