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19 Maggio 2017, 5:46 pm CET

Patrizio Di Massimo di Ilaria Gianni

di Ilaria Gianni 19 Maggio 2017
Pelo & Contropelo (2008). Still da video.
Pelo & Contropelo (2008). Still da video.
Pelo & Contropelo (2008). Still da video.

In groppa a un cavallo, un uomo cavalca lungo un tragitto circolare nell’East London. Partendo dallo spazio espositivo, raggiunge la statua equestre posta nella piazza più vicina, per poi tornare verso la prima meta. Il cavaliere è invisibile agli spettatori mentre passa davanti alla galleria: il pubblico, posto dinnanzi a questa assenza, si trova in attesa di un suo passaggio successivo. La performance Untitled (pureblood) (2008) rappresenta una riflessione sulla relazione tra immaginario collettivo e sospensione spazio-temporale, in cui si annida l’idea di mito. La ricerca di Patrizio Di Massimo si rivolge alla storia attraverso un filo costante, ed è sia momento di coesistenza tra diverse temporalità sia materia di analisi in merito alle sue potenziali aperture. Il passato incrocia il presente, provoca alcune corrispondenze e trasporta il lavoro in una nuova dimensione, che scavalca il consuetudinario spazio storico, varcando le frontiere dell’a-temporalità mitologica. Così il documentario Pelo & Contropelo (2008) ripercorre la vita e il lavoro di Pino Pascali senza alcun utilizzo di immagini provenienti dal passato. La sottrazione di elementi storici e di immagini del protagonista è condizione necessaria per raccontare un personaggio epico che assume caratteristiche al limite del sovrannaturale. Pelo & Contropelo non è un nostalgico ritratto, piuttosto la presa di coscienza della regione interstiziale oggi occupata dalla personalità di Pascali. Di Massimo compie dunque una riflessione sul significato della retorica intesa nella sua potenzialità di luogo altro: dimensione parallela alla vita, ma slegata dai fatti. Oae (2009) si addentra nelle pieghe e nelle stratificazioni della storiografia. L’artista intraprende un viaggio in Libia — territorio pregno di identità culturali diverse — e interpreta la sovrapposizione forzata delle colonie, concentrandosi sul loro carattere di fissità. Oae è una fotografia che coglie epoche diverse e immobili, sottolineando la condizione universale dell’assenza. Occupando la Libia attraverso la sua presenza, l’artista compie un ulteriore atto di colonizzazione e mostra il cortocircuito presente nella stratificazione culturale del paese, evidenziando l’interruzione delle ideologie nell’incrocio temporale. La fusione di presente e passato, di arte e storia, di figure e situazioni, trova il suo culmine nell’opera Leptis Magna, sono nato qui (2008). La “Porta d’Africa” ricompare e si intreccia con la biografia di Mario Schifano. Una coincidenza permette a Di Massimo di acquistare una presunta tela dell’artista, unendo il 1964 al 2008: un nuovo arresto, un nuovo accorpamento di storie, un ulteriore cambio di marcia nella diacronia. La tela perde la qualità di immagine e assume le caratteristiche del simbolo. Attraverso un ironico e sapiente spostamento di punti di vista, l’artista ci mostra una possibile separazione tra realtà e verità, nell’assenza di storia, dove l’ideologia scompare lasciando spazio al mito, a un immaginario costruito e rappresentato.

Ilaria Gianni è critica d’arte e curatrice. Vive e lavora a Roma e a Londra.

Patrizio Di Massimo è nato a Jesi (AN) nel 1983. Vive e lavora a Milano e a Londra.

Principali mostre personali: 2008: Italian Wave, Artissima 15, Torino.

Principali mostre collettive: 2008: “Cast the First Stone”, Chert, Berlino; “Flux Capacitor”, Extraspazio, Roma; “One of these things is not like the other things”, Unosunove, Roma; “The shortest short-story ever written”, FormContent, Londra; “I desired what you were, I need what you are”, Maze, Torino; “Present?”, Blow de la Barra, Londra.

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