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355 INVERNO 2021-22, Feature

16 Marzo 2022, 9:00 am CET

L’età dell’amore. Capitolo IV: Amore, povertà, gioia. Pauline Curnier Jardin di Chus Martínez

di Chus Martínez 16 Marzo 2022
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Pauline Curnier Jardin, Fat to Ashes, 2021. Still da film. 20’ 55’’. Prodotto da Primitive Films. Courtesy l’artista e Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.
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Pauline Curnier Jardin, Fat to Ashes, 2021. Still da film. 20’ 55’’. Prodotto da Primitive Films. Courtesy l’artista e Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.

Una cosa che mi sta interessando negli ultimi tempi è la povertà. Povertà non solo come concetto, ma come esperienza. Mi sembra che l’intera cultura occidentale, istituzioni comprese, si fondi sulla premessa che la realtà e la vita esistano solo “al di sopra” della linea della povertà. Quest’ultima è basata su una concezione del reale che è paragonabile alla linea di galleggiamento nelle navi. Vediamo solo la parte dell’imbarcazione che si trova sopra il pelo dell’acqua, ed è questa l’unica realtà tangibile di cui teniamo conto. Sotto quella linea, è tutto sommerso. La povertà sembra funzionare come uno stato di negazione, uno stato impossibile che, una volta superato, fa sorgere il mondo reale. Come se prima non esistesse nessuna dinamica culturale, desiderio o conquista.

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Pauline Curnier Jardin, Ausgeblutet, Bled Out, Qu’un sang impur, 2019. Still da film. Fotografia e © di Marc Domage. Courtesy l’artista e Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.
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Pauline Curnier Jardin, Explosion Ma Baby, 2016. Still da film. 9’. Courtesy l’artista e Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.
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Pauline Curnier Jardin, The Resurrection Plot, 2015. Veduta della performance commissionata da Performa 15 – Pioneer Works, New York, 2015. Fotografia di Paula Court. Courtesy l’artista ed Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.

La cultura occidentale ama le opposizioni binarie: divino/umano, conscio/inconscio, superficiale/sotterraneo. Queste coppie di opposti raccontano la storia come una serie di azioni sincronizzate con un certo senso di realtà e capacità di intervento. La povertà è uno stato volontario, dunque anche uno stato passivo dell’essere. Nella povertà si resiste. Nel benessere si agisce; si è in pieno possesso della propria vita. La vera povertà è una condizione sociale involontaria. Nessuno vuole essere povero. Se vogliamo esprimerci in termini aristotelici, possiamo considerare questo stato come il risultato di un incidente, uno sbaglio, o persino un’ignoranza sistemica — ovvero, il sistema non sa come fare di meglio ed è incapace di assicurare il benessere economico a tutti. Eppure, quelli che vivono in povertà non devono essere considerati responsabili per la loro condizione, né per le loro azioni. Il dibattito morale su quanto siamo responsabili delle azioni involontarie — e per estensione delle condizioni involontarie — esisteva già nell’antichità. Sta al centro della terza parte dell’Etica nicomachea di Aristotele, in cui troviamo alcune riflessioni molto interessanti. Aristotele, a quanto pare, è pronto a considerare l’invecchiare e il morire — oltre al respirare, addormentarsi, svegliarsi (in “De Partibus Animalium”) — come cose che facciamo anche se, in generale, non sono prodotti della nostra percezione o del nostro desiderio. Legati a questi processi troviamo quelli che hanno origine in noi senza essere “ordinati” dalla nostra immaginazione o desiderio, come essere sessualmente eccitati, arrossire, aggrottare la fronte, alzare il sopracciglio, o persino piangere. Aristotele descrive questi stati come “subintenzionali”. Così come il pianto, la povertà sembra essere subintenzionale. Eppure abbiamo bisogno di filosofi, teorici della cultura, contastorie, economisti, ma anche scienziati, biologi ed educatori da impegnare per una corretta interpretazione della povertà. Milioni di individui vivono in povertà; ciò significa, dunque, che hanno una vita. E questa vita deve essere rispettata e interpretata, non con la lente dell’opacità e dello stupore, ma con amore. Già, penso davvero che qui l’amore abbia svolto e svolgerà un ruolo fondamentale.

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Pauline Curnier Jardin, Pauline Curnier Jardin e Feel Good Cooperative, Fireflies (Lucciole), 2021. Still da film. 7’. Courtesy l’artista e Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.
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Pauline Curnier Jardin, Pauline Curnier Jardin e Feel Good Cooperative, Fireflies (Lucciole), 2021. Still da film. 7’. Courtesy l’artista e Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.

Se la povertà non può essere un oggetto del desiderio, l’amore occidentale, incontrando la povertà, deve trasformarsi nell’essenza della caritas, che letteralmente significa benevolenza verso i poveri. Oggi possiamo avvertire che molti problemi sociali hanno origine in questo passaggio dall’amore alla tolleranza. Provate a immaginare l’effetto di questa forza, questa energia – che viene gratuitamente imposta a una persona o una comunità in stato di bisogno – agisce come una diga mostruosa che frena il diritto alla realizzazione. Sì, la realizzazione è possibile anche nella povertà. Come faccio a saperlo? Perché me l’hanno raccontato mia nonna e mia madre. Una cugina di mia nonna — la persona più simpatica che abbia mai incontrato, dopo il nonno — si era stancata di ascoltare storie di povertà alle cene familiari e ha deciso di “socializzare” questi racconti come parte di una sagra di paese. Una sera d’estate ha disposto una fila di sedie, sei o sette, su un piccolo palcoscenico e ha invitato gli anziani del paese a riunirsi dopo cena. Ha cominciato a raccontare la storia di quando aveva avuto fame per una settimana e mentre lo raccontava, tutti hanno cominciato a ridere a crepapelle. L’anello esterno della platea, noi nipoti, guardava attonito la scena. Da quel momento, le persone sono salite sul palco per raccontare gioie ed eventi legati all’amore e all’apprendimento — interpretazioni del mondo avvenute nelle condizioni più ingrate che possiate immaginare. Potrebbe venire spontaneo separare la loro povertà, storicamente situata in un passato che forse abbiamo superato e che adesso controlliamo, dalla povertà che vediamo e conosciamo nelle nostre vite quotidiane. Ma loro ci hanno pregato di non farlo, e io credo che il loro ragionamento fosse corretto.

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Pauline Curnier Jardin, Passions, Possessions, Processions, 2011–2021. Veduta dell’installazione presso Art Basel 2021. Fotografia di Jeroen de Smalen. Courtesy l’artista e Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.
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Pauline Curnier Jardin, Peaux de Dames, 2019. Dettaglio. Fotografia di Galeria Municipal do Porto / Dinis Santos. Courtesy l’artista e Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.
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Pauline Curnier Jardin, Peaux de Dames, 2019. Dettaglio. Veduta della mostra “I Still Send You a Lot of Affection and I Kiss You Through my Dentures,” presso 1646, L’Aia, 2019. Courtesy l’artist ed Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.
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Pauline Curnier Jardin, “In the Hot Flashes Forest”. Veduta della mostra presso Hamburger Bahnhof – Museum für Gegenwart, Berlino, 2019. Fotografia di Luca Girardini. Courtesy l’artista ed Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.
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Pauline Curnier Jardin, Peaux de Dames, 2018. Dettaglio. Veduta della mostra “In the Hot Flashes Forest” presso Hamburger Bahnhof – Museum für Gegenwart, Berlino, 2019. Fotografia di Luca Girardini. Courtesy l’artista ed Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.

C’è un esercizio che vale la pena tentare: una riflessione sul linguaggio che usiamo, gli strumenti che creiamo per orientarci nella società, i milioni di barriere che abbiamo inventato. Per esempio, recentemente un amico ha fatto una riflessione sul fatto che i musei stiano rapidamente perdendo pubblico. Ora, consideriamo la povertà e il bisogno e lo spazio sicuro che un’istituzione artistica riesce a creare. Esiste un modo, all’interno di una cultura dedicata alla “conservazione”, per sostituire il turismo con il servizio alle comunità bisognose? Io sono fortemente convinta di sì.

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Pauline Curnier Jardin, Grotta Profunda, Approfundita, 2017. Still dal film. Veduta dell’installazione “Cave Myths” presso Quetzal Art Center, Vidigueira, 2019. Fotografia e © Johannes Schwartz. Courtesy l’artista ed Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.
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Pauline Curnier Jardin, Grotta Profunda, Approfundita, 2017. Still dal film. Veduta dell’installazione “Cave Myths” presso Quetzal Art Center, Vidigueira, 2019. Fotografia e © Johannes Schwartz. Courtesy l’artista ed Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam.

E qui affiora una domanda complessa: perché ho scelto il lavoro di Pauline Curnier Jardin per parlarne in questo testo? Perché, come Ocean of Love di Ingo Niermann e Alexa Karolinski o la pratica di Taloi Havini, di cui ho parlato nei precedenti capitoli di questa rubrica, il lavoro di Pauline Curnier Jardin è l’esaltazione di una gioia intelligente. Per l’intero corso della sua carriera, Jardin ha utilizzato un’ampia gamma di materiali e forme per esplorare il linguaggio essenziale del film. Il suo lavoro indaga la respirazione, la crescita e l’invecchiamento, tra gli altri processi involontari, al servizio di un corpus molto esteso che comprende film, installazioni, performance e sculture. Come fa il suo linguaggio a produrre increspature così enormi nel cuore, nella mente e nello spirito? Io percepisco il lavoro di Jardin come un incredibile sforzo di cancellare le opposizioni che dividono i processi consci da quelli inconsci. Lei non tratta esplicitamente la povertà, ma il suo lavoro possiede una forza che ispira una volontà senza precedenti di intrecciare sfere della vita che sono state descritte come separate. Il suo uso del film e degli oggetti fisici insiste nel comunicare pensieri a un pubblico che rimane in uno stato di solitudine — in altre parole, mette in gioco i poteri mentali che abbiamo quando siamo da soli, quando restiamo aperti all’ispirazione mentre l’anima persegue i suoi difficili ma fruttuosi sforzi solitari.

Possiamo sentire che la nostra saggezza comincia dove i suoi lavori finiscono, e ci rendiamo conto che una grossa parte dell’impresa di avviare una trasformazione sta nello smettere di cercare risposte per immergersi nelle acque della motivazione. Jardin risveglia in noi questi desideri solo quando riesce a suscitare la sensazione che il lavoro non ci ha detto niente, eppure abbiamo capito tutto.

Il lavoro di Pauline Curnier Jardin sarà esposto in diverse mostre personali in gallerie e spazi istituzionali fra cui: Pinksummer Contemporary Art, Genova dal 3 febbraio al 15 aprile 2022; ChertLüdde, Berlino dal 29 aprile 2022; FRAC Corsica – Corte da maggio 2022; CRAC Centre Régional d’Art Contemporain – Occitanie, Sète dal 1 luglio 2022; V-A-C, Mosca dal 22 ottobre 2022; e Centraal Museum Utrecht (2023). Il lavoro di Pauline Curnier Jardin sarà esposto in diverse mostre personali in gallerie e spazi istituzionali fra cui: Pinksummer Contemporary Art, Genova dal 3 febbraio al 15 aprile 2022; ChertLüdde, Berlino dal 29 aprile 2022; FRAC Corsica – Corte da maggio 2022; CRAC Centre Régional d’Art Contemporain – Occitanie, Sète dal 1 luglio 2022; V-A-C, Mosca dal 22 ottobre 2022; e Centraal Museum Utrecht (2023).

Chus Martínez dirige l’Art Institute alla FHNW Academy of Arts and Design di Basilea, ed è curatrice di Ocean Space per il 2021–22, il centro veneziano della TBA21–Academy che catalizza l’educazione, la ricerca e l’attivismo attorno all’oceano tramite le arti. In precedenza ha guidato “The Current II” (2018–20), un progetto avviato dalla TBA21–Academy. “The Current” ha ispirato anche “Art is Ocean,” una serie di seminari e conferenze che esamina il ruolo dell’artista nell’elaborazione di una nuova esperienza della natura.

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