Quando l’importanza dell’arte per il funzionamento della società è in discussione, ogni mostra che riesce effettivamente a inaugurare è una risposta. Da questo punto di vista, presentare lavori della Collezione Pinault in dialogo con lavori del Mudam è un tentativo che evita il rischio che le mostre delle collezioni private finiscano involontariamente per presentare un ritratto spesso poco lusinghiero del vanitoso ego del collezionista, riducendosi, nel peggiore dei casi, a un’accozzaglia disparata di trofei di caccia. Concentrarsi su un solo lavoro di ogni collezione, la mostra invita gli spettatori a studiare e tracciare confronti, in questo caso tra due lavori rispettivamente del portoghese Pedro Cabrita Reis e del gallese Cerith Wyn-Evans. Gli artisti, nati ad appena due anni di distanza, hanno entrambi goduto di carriere fortunate e hanno rappresentato i rispettivi paesi in rassegne importanti, come la Biennale di Venezia.
I due artisti condividono inoltre un interesse comune per la luce artificiale. Al Mudam un lavoro è installato sul pavimento, l’altro pende dal soffitto. L’installazione di Pedro Cabrita Reis intitolata À propos des lieux d’origine #1 (Sui luoghi di origine #1, 2005) consiste di un labirinto rettangolare, alto fino al ginocchio ma piuttosto esteso. Allestito sul liscio pavimento calcareo, è composto da mattoni grezzi che sostengono abbaglianti tubi al neon con travi metalliche e assi di legno, che esibiscono tracce di pittura e i segni di un precedente utilizzo. Con i cavi elettrici e i connettori scoperti, la sua ruvida materialità industriale e la sua costruzione bassa, spigolosa e apertamente provvisoria, il lavoro si pone in ostentato contrasto con la raffinata architettura del museo – e le curve pareti di aristocratica pietra naturale grigia. I neon, economici, con la la loro luce fredda, rimandano un cantiere e infondono malinconia, un’impressione di precarietà e abbandono. La teatralità post Arte povera del lavoro evoca un senso di insicurezza, che per il resto è sfacciatamente assente nella giocosa, elegante e tutto sommato celebrativa struttura dell’archistar I.M. Pei.
Se il linguaggio artistico di Cabrita Reis è fatto di materiali poveri e insinuazioni, quello di Cerith Wyn Evans in We are in Yucatan and every unpredicted thing (2012/2014) è sfacciato e fatto di materiali sfarzosi. Lo scalone circolare del museo si avvolge attorno alla spettacolare raffinatezza del lampadario di vetro dell’artista, prodotto alla famosa vetreria di Galliano Ferro a Murano, sul cui sito è persino possibile ordinarne un esemplare. Meravigliandosi della qualità artigianale da ogni angolazione, anche l’occhio inesperto riesce a individuare nel suo linguaggio formale tradizionalmente opulento le tracce di influenze orientali, che rivelano i legami culturali millenari con Venezia. Quello che non può essere percepito, però, è il motivo per cui sfarfalla. Come apprendiamo dal testo di accompagnamento, non è un errore casuale provocato da un’instabilità del sistema elettrico, ma è determinato da un computer sulla base di partiture musicali composte dall’artista stesso. Wyn Evans è stato ispirato dai canti degli uccelli e dai rumori delle macchine e non, come succede in altri lampadari, da citazioni di filosofia o letteratura tradotti in alfabeto Morse. Nonostante la sua esuberante magnificenza o pacchianeria, il lampadario in sé rimane muto. Che l’apparente malfunzionamento riesca a evocare un ulteriore significato è materia di discussione. È il richiamo irresistibile della penisola messicana del titolo a spingere gli spettatori a fare congetture su questo lavoro? È importante immaginare come suona la composizione dell’artista?
Forse non si può trovare una risposta soddisfacente a nessuna di queste domande, ma senza dubbio è giunto il momento di interrogarci sull’importanza di queste prese di posizione artistiche. La teatralità e il sovvertimento di una o il concettualismo ironico, camp e romantico dell’altra costituiscono ancora un’opera d’arte rilevante oppure – una delle due o entrambe – riducono il museo a casino di caccia? Può darsi che ci sia bisogno di porsi nuove domande.