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352 PRIMAVERA 2021, Recensioni

29 Marzo 2021, 9:00 am CET

Pedro Cabrita Reis e Cerith Wyn-Evans “The Mudam Collection and The Pinault Collection in Dialogue” Mudam Luxembourg – Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean di Andreas Schlaegel

di Andreas Schlaegel 29 Marzo 2021
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Pedro Cabrita Reis, À propos des lieux d’origine #1, 2005. Acciaio, mattoni e neon. 51 x 935 x 740 cm. Collezione Mudam Luxembourg. Veduta della mostra “Cabrita / Cerith Wyn Evans” parte di “The Mudam Collection and Pinault Collection in Dialogue” presso Mudam Luxembourg, 2021. Fotografia di Rémi Villaggi. Courtesy Mudam Luxembourg.
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Pedro Cabrita Reis, À propos des lieux d’origine #1, 2005. Acciaio, mattoni e neon. 51 x 935 x 740 cm. Collezione Mudam Luxembourg. Veduta della mostra “Cabrita / Cerith Wyn Evans” parte di “The Mudam Collection and Pinault Collection in Dialogue” presso Mudam Luxembourg, 2021. Fotografia di Rémi Villaggi. Courtesy Mudam Luxembourg.

Quando l’importanza dell’arte per il funzionamento della società è in discussione, ogni mostra che riesce effettivamente a inaugurare è una risposta. Da questo punto di vista, presentare lavori della Collezione Pinault in dialogo con lavori del Mudam è un tentativo che evita il rischio che le mostre delle collezioni private finiscano involontariamente per presentare un ritratto spesso poco lusinghiero del vanitoso ego del collezionista, riducendosi, nel peggiore dei casi, a un’accozzaglia disparata di trofei di caccia. Concentrarsi su un solo lavoro di ogni collezione, la mostra invita gli spettatori a studiare e tracciare confronti, in questo caso tra due lavori rispettivamente del portoghese Pedro Cabrita Reis e del gallese Cerith Wyn-Evans. Gli artisti, nati ad appena due anni di distanza, hanno entrambi goduto di carriere fortunate e hanno rappresentato i rispettivi paesi in rassegne importanti, come la Biennale di Venezia.

I due artisti condividono inoltre un interesse comune per la luce artificiale. Al Mudam un lavoro è installato sul pavimento, l’altro pende dal soffitto. L’installazione di Pedro Cabrita Reis intitolata À propos des lieux d’origine #1 (Sui luoghi di origine #1, 2005) consiste di un labirinto rettangolare, alto fino al ginocchio ma piuttosto esteso. Allestito sul liscio pavimento calcareo, è composto da mattoni grezzi che sostengono abbaglianti tubi al neon con travi metalliche e assi di legno, che esibiscono tracce di pittura e i segni di un precedente utilizzo. Con i cavi elettrici e i connettori scoperti, la sua ruvida materialità industriale e la sua costruzione bassa, spigolosa e apertamente provvisoria, il lavoro si pone in ostentato contrasto con la raffinata architettura del museo – e le curve pareti di aristocratica pietra naturale grigia. I neon, economici, con la la loro luce fredda, rimandano un cantiere e infondono malinconia, un’impressione di precarietà e abbandono. La teatralità post Arte povera del lavoro evoca un senso di insicurezza, che per il resto è sfacciatamente assente nella giocosa, elegante e tutto sommato celebrativa struttura dell’archistar I.M. Pei.

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Cerith Wyn Evans, WeareinYucatan andeveryunpredictedthing, 2012-2014. Lampadario (Galliano Ferro), unità con dimmer e traccia di controllo. 120 x 90 x 90 cm. Collezione Pinault. Veduta della mostra “Cabrita / Cerith Wyn Evans” parte di “The Mudam Collection and Pinault Collection in Dialogue” presso Mudam Luxembourg, 2021. Fotografia di Rémi Villaggi. Courtesy Marian Goodman Gallery e Mudam Luxembourg.
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Cerith Wyn Evans, WeareinYucatan andeveryunpredictedthing, 2012-2014. Lampadario (Galliano Ferro), unità con dimmer e traccia di controllo. 120 x 90 x 90 cm. Collezione Pinault. Veduta della mostra “Cabrita / Cerith Wyn Evans” parte di “The Mudam Collection and Pinault Collection in Dialogue” presso Mudam Luxembourg, 2021. Fotografia di Rémi Villaggi. Courtesy Marian Goodman Gallery e Mudam Luxembourg.

Se il linguaggio artistico di Cabrita Reis è fatto di materiali poveri e insinuazioni, quello di Cerith Wyn Evans in We are in Yucatan and every unpredicted thing (2012/2014) è sfacciato e fatto di materiali sfarzosi. Lo scalone circolare del museo si avvolge attorno alla spettacolare raffinatezza del lampadario di vetro dell’artista, prodotto alla famosa vetreria di Galliano Ferro a Murano, sul cui sito è persino possibile ordinarne un esemplare. Meravigliandosi della qualità artigianale da ogni angolazione, anche l’occhio inesperto riesce a individuare nel suo linguaggio formale tradizionalmente opulento le tracce di influenze orientali, che rivelano i legami culturali millenari con Venezia. Quello che non può essere percepito, però, è il motivo per cui sfarfalla. Come apprendiamo dal testo di accompagnamento, non è un errore casuale provocato da un’instabilità del sistema elettrico, ma è determinato da un computer sulla base di partiture musicali composte dall’artista stesso. Wyn Evans è stato ispirato dai canti degli uccelli e dai rumori delle macchine e non, come succede in altri lampadari, da citazioni di filosofia o letteratura tradotti in alfabeto Morse. Nonostante la sua esuberante magnificenza o pacchianeria, il lampadario in sé rimane muto. Che l’apparente malfunzionamento riesca a evocare un ulteriore significato è materia di discussione. È il richiamo irresistibile della penisola messicana del titolo a spingere gli spettatori a fare congetture su questo lavoro? È importante immaginare come suona la composizione dell’artista?

Forse non si può trovare una risposta soddisfacente a nessuna di queste domande, ma senza dubbio è giunto il momento di interrogarci sull’importanza di queste prese di posizione artistiche. La teatralità e il sovvertimento di una o il concettualismo ironico, camp e romantico dell’altra costituiscono ancora un’opera d’arte rilevante oppure – una delle due o entrambe – riducono il museo a casino di caccia? Può darsi che ci sia bisogno di porsi nuove domande.

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