Fortunate le galline di Petrit Halilaj (They are Lucky to be Bourgeois Hens)! L’artista ha costruito per loro un’abitazione a forma di shuttle nel giardino di casa della famiglia in Kosovo. Per Halilaj i rapporti famigliari sono importanti, tanto che di famiglie ne ha due: quella naturale e quella che lui chiama la sua “famiglia italiana”, a Bozzolo, vicino Mantova, dove c’è la famiglia di Angelo, conosciuto in Kosovo durante la guerra. “Per me è stato importante avere una nonna italiana, ero straniero, volevo conoscere la cultura italiana da un altro punto di vista, capire le cose semplici e quotidiane.” Così frequenta l’Accademia di Brera a Milano, vive con altri studenti in una casa in via Gluck, gira le gallerie, ma nei week-end torna a Bozzolo. Petrit ha voluto capire l’Italia attraverso una via che potremmo definire “affettiva”, fondamentale per lui. Per il diploma a Brera si presenta vestito da cane — con un costume cucito dalle donne della famiglia e tenuto nel tepore della cuccia del suo cane la notte prima —, scodinzola e fa le feste. Gli animali sono importanti e fanno parte della famiglia. Le galline erano state sue compagne di giochi, così quando viene invitato a una mostra in un Luna Park di Istanbul lui, che in un Luna Park non è mai stato, perché ha passato l’infanzia in mezzo a una guerra, crea un recinto in cui convive con un gruppo di galline. Così nasce anche l’idea dello shuttle per galline: Petrit parla con la sorella Blerina della loro casa, della fatica per costruirla e di quando erano tutti lì riuniti in quell’architettura fatta di tanti materiali diversi che è cresciuta con loro. Blerina dice che la famiglia intende trasferirsi a Pristina: è in atto una forte migrazione verso Pristina, che vive una situazione d’inurbamento tipica del dopoguerra. “Prima di prendere una decisione volevo vedere le cose da un altro punto di vista. Sentivo la mancanza di uno sguardo dall’alto e l’esigenza di un palazzo comodo per galline borghesi. Così le galline sarebbero passate da un pollaio a un palazzo dipinto all’interno di blu Klein, come se fossero sotto un cielo aperto.” Poi questo sogno a occhi aperti di Petrit e Blerina via Skype si realizza, perché il padre costruisce lo shuttle con l’aiuto dei fratelli.
Il progetto speciale per la 6. Berlin Biennale è legato a questo precedente lavoro: l’opera sarà la nuova casa di Pristina. È una sorta d’impresa corale a cui parteciperà tutta la famiglia. A Berlino ci sarà la documentazione, ma soprattutto la struttura di assi con cui Halilaj ricostruirà lo scheletro dell’edificio. Mentre la vera casa di Pristina sarà il “positivo”, a Berlino ci sarà il “negativo”. La nuova casa sarà comunque una copia della vecchia. Lo shuttle ha già compiuto un primo volo in occasione della mostra “Back to the Future” al Center for Contemporary Art Prishtina (2009): dare come casa uno shuttle equivale a donare facoltà di volare alle galline, incapaci di staccarsi dal suolo dell’aia. Ora il prossimo volo potrebbe essere sul nuovo terreno. Sempre in una totale coincidenza tra arte e vita che porta Petrit, prima dell’apertura della galleria Chert (2008), a un allestimento effimero con mobili e tubature, per incontrare il padre: lo spazio della galleria diventa casa, poi torna espositivo per la mostra che serba quelle tracce d’arredo. Così nella seconda mostra da Chert (2009) un nido accoglie una collezione d’oggetti famigliari rifatta a memoria. Nella mobilità e instabilità che caratterizzano il mondo globale, l’artista sta tra radicamento e sradicamento: il pollaio-shuttle è forma simbolica del nodo tra radici e nomadismo, è spia di un’identità migrante.