Flash Art utilizza solo cookie strettamente necessarie per il funzionamento del sito, per il legittimo interesse nel migliorare l'esperienza online e per rendere possibile o facilitare la comunicazione. Per maggiori informazioni consulta la pagina Termini & condizioni

Flash Art
Flash Art
Shop
  • Homepage
    • IN EDICOLA: 359 INVERNO 2022-23
  • Feature
    • Conversazioni
    • Recensioni
    • On View
    • FLASH FEED
    • Tell me stories!
    • La mano (in)visibile
    • PARADIGME
  • Dune
    • Flash Art Mono
  • Archivio
    • Shop
    • Abbonamento
    • EDIZIONE DIGITALE
    • Contatti
→
Flash Art

359 INVERNO 2022-23, Feature

8 Marzo 2023, 9:00 am CET

Fiction/Function. Philippe Thomas & l’agenzia readymades belong to everyone® di Émeline Jaret

di Émeline Jaret 8 Marzo 2023
1
2
3
Jay Chiat, Insight, 1989. Fotografia a colori e cartellino. Fotografia: 121 x 182 cm; cartellino: 4,5 x 11 cm. Courtesy Claire Burrus, Parigi e Jan Mot, Bruxelles.
1
2
3
Hommage à Philippe Thomas: autoportrait en groupe, 1985. Fotografia a colori incorniciata e cartellino di plexiglas. Fotografia: 153 × 200 cm; cartellino: 4 × 20 cm. Courtesy Claire Burrus, Parigi e Jan Mot, Bruxelles.
1
2
3
readymades belong to everyone®, Thinking of…, 1993. Fotografia a colori e cartellino di plexiglas con il testo: “Laura Carpenter, Bruna Girodengo, Christophe Durand-Ruel, Dominique Pollet, Vincent Wapler, Paolo Vitolo, Denyse Durand-Ruel, Michel Grandsard, Jacques Salomon, Alexandra Tacke, Georges Verney-Carron, Tullio Leggeri, Jean-Louis Froment, Luciano Inga-Pin, Bertrand Lavier, Simon Salama-Caro, Eva Felten, Branislava Dekanić-Šrenger, Massimo Minini, Marc Blondeau, Claire Burrus, Alain Clairet, Daniella Betta THINKING OF… Benoît d’Aubert, BDDP, Armand Bartos Jr., Bruce A. Beal, Donatella Brun, Caisse des dépôts et consignations, Carine Campo, Céline Cazals, Jay Chiat, Chiat/Day/Mojo, Pierre Cornette de Saint-Cyr, Dolci dire & Associés, Gilles Dusein, Christine Fain, Yvonne Fischer, Dorith Galuz, Josée Gensollen, Ingvild Goetz, Stephan Goetz, Manuel E. Gonzales, Mirèse de Gunzburg, Ernst Ulrich Hertel, Bruno Hoang, Jederman N.A., Serge Klugman, Barbara Krakow, Leagas-Delaney, Werner Lippert, Edouard Merino, Albert Moulonguet, Serge Müller, Giancarlo Politi, Arend Oetker, Rottke Werbung, Sabine Schütte, Jacques Toulorge, TBWA Milan, Jozef Zander. (Venice, June 10th, 1993)” Fotografia: 127,5 × 158 cm; cartellino: 20 × 20 × 0,4 cm. Courtesy Claire Burrus, Parigi e Jan Mot, Bruxelles.

Considerando un arcaismo il fatto che un’opera d’arte si presenti sempre legata al proprio autore, l’agenzia «readymades belong to everyone» intende continuare il progresso di un’opera che, dal 1981 in Francia e in Germania, si è sviluppata come una FICTION1.

Scritta da Philippe Thomas per l’apertura della sua agenzia nel 1987, questa frase afferma la centralità della fiction all’interno del suo approccio artistico. Questa nozione, presente nei suoi appunti fin dall’inizio della carriera, viene assimilata molto presto dall’artista come supporto e soggetto di un’opera che non cesserà mai di mettere in discussione lo statuto funzionale dell’autorialità – e dunque, in primo luogo, del suo stesso nome. Nell’ottica di questo approccio, è proprio il concetto di autorità autoriale a essere messo alla prova da Thomas, scegliendo come cornice del discorso una “fiction generale”2 che si svolge nella realtà del mondo dell’arte. L’agenzia nasce infatti dal lavoro che l’artista sviluppa in oltre dieci anni, a partire dal suo continuo interesse per le scienze del linguaggio e la pragmatica, la cui lettura si interseca anche con i riferimenti all’arte concettuale e processuale. Tra il 1977 e il 1987, si succedono dei progetti che gettano le basi – tanto teoriche quanto plastiche – di un approccio che cerca di rivelare la dimensione discorsiva ed evenemenziale del fatto artistico. La fondazione dell’agenzia readymades belong to everyone® interviene così al centro di una catena narrativa che conferisce all’opera di Thomas la forma di un dispositivo finzionale. Essa sistematizza un protocollo sperimentato dall’artista già due anni prima del 1987: delegare l’autorità dell’autore – sul piano finzionale – facendo firmare ogni sua opera dall’acquirente, che ne diviene così l’autore. Il ruolo dell’agenzia è pertanto quello di allestire (e mettere in scena) il gioco sociale, che Thomas definisce “art de société”3. Da allora, e fino alla sua chiusura nel 1993–94, ogni sua azione partecipa a una finzione critica che, per riprendere la formula dell’artista, tende a una revisione del diritto al registro degli autori.

Da Sketches for a Light Fiction a readymades belong to everyone®

L’inaugurazione dell’agenzia readymades belong to everyone avviene nel dicembre 1987,
in occasione di una mostra personale di Thomas alla Cable Gallery di New York. L’agenzia si presenta, in quell’occasione, sotto forma di un’installazione che trasforma lo spazio della galleria newyorkese in un ufficio, attraverso un accumulo di mobili, forniture, piante verdi e opere d’arte. La verosimiglianza del risultato ha come scopo quello di far credere al visitatore che stia entrando realmente nella sede di un’azienda. L’installazione ben illustra, dunque, la duplice valenza di una struttura che, situata tra “FICTION [artistica] e FUNCTION [commerciale]”, simboleggia “la deliberata giustapposizione di questi due poli”4 nell’arte. Partendo dalla constatazione che “è lo stesso status di artista ad essere diventato, in/ attraverso questo lavoro, UNA MERCE”, l’agenzia risponde così a una doppia funzione: offrire una struttura che permetta di “creare, attorno allo status o al titolo di artista, tutte le condizioni di un mercato” e costituire uno stock di progetti o una riserva di scenari in vendita.

Uno di questi scenari è intitolato Sketches for Light Fiction ed è una traduzione del Fictionnalisme, un movimento artistico ideato da Thomas che sembra mimare le avanguardie storiche. Inaugurato due anni prima, in occasione di una mostra alla galleria Claire Burrus (1985–86), il Fictionnalisme riunisce sette figure nel ricordo di Thomas, presumibilmente scomparso5: Jean Brolly, Georges Bully, Herman Daled, Françoise Epstein, Lidewij Edelkoort, Dominique Païni e Michel Tournereau. Questi sette artisti sono in realtà dei collezionisti che hanno accettato di prendere parte al gioco ideato dall’artista: acquistare e firmare una delle sue opere per assumersene la responsabilità autoriale. Sketches for a Light Fiction intende quindi internazionalizzare il Fictionnalisme riunendo sette nuovi collezionisti in una mostra alla Cable Gallery. Tra 1986 e il 1987 Thomas soggiorna diversi mesi a New York per mettere in piedi questo progetto, che alla fine non andrà mai in porto per via delle difficoltà nel trovare sette collezionisti disposti alla causa. Costretto, così, a rinunciare al suo progetto ad appena un mese dall’inaugurazione della mostra, l’artista decide di dedicarsi a un altro lavoro, che condurrà progressivamente all’apertura dell’agenzia readymades belong to everyone®.

Tuttavia, l’idea alla base di Sketches for a Light Fiction non viene del tutto abbandonata: essa si concretizza, infatti, in uno scenario in vendita alla Cable Gallery. La presenza di questo progetto permette quindi a Thomas di legare, fin dalla sua apertura, l’agenzia readymades belong to everyone® al Fictionnalisme, confermando la catena narrativa iniziata qualche anno prima. Gli altri lavori presentati ricoprono la medesima funzione, a partire da Display, che si trova nello spazio della reception. Questa serie di fotografie munite di didascalia sta lì a ricordare che l’agenzia nasce da lavori risalenti alla presentazione del manuscrit trouvé nel 1981. Uno degli elementi centrali dell’installazione della Cable Gallery, infatti, è la veduta del mare, una copia firmata da Thomas e tratta dal trittico fotografico Sujet à discrétion del 1985. Funzionando come un autoritratto dell’artista, la fotografia, appesa sopra l’ufficio del direttore dell’agenzia nella Cable Gallery, rinvia alla mostra finzionalista parigina e funge da biglietto da visita per la scena newyorkese. L’apertura dell’agenzia è in effetti preceduta da “Sujet à discrétion”, una mostra presso la galleria di Colin de Land, American Fine Arts, Co., nel 1987. L’esposizione raccoglie le copie firmate da John Dogg, Barbara Gladstone, Joseph Kosuth e Allan McCollum e Thomas, tutte firme “complici” che, pur essendo valide solo per la durata della mostra, introducono il programma dell’artista nell’ambiente newyorkese.

1
2
3
4
Lidewij Edelkoort, Fond de tain. Hommage à Philippe Thomas (détail), 1985. Fotografia a colori incorniciata e cartellino di plexiglas. Fotografia: 80 × 60 cm; cartellino: 2,5 × 12,5 cm. Courtesy Claire Burrus, Parigi e Jan Mot, Bruxelles.
1
2
3
4
Herman Daled, Absence. Hommage à Philippe Thomas (detail), 1985. Fotografia a colori incorniciata e cartellino di plexiglas. Fotografia: 80 × 60 cm; cartellino: 2,5 × 12,5 cm. Courtesy Claire Burrus, Parigi e Jan Mot, Bruxelles.
1
2
3
4
Jean Brolly, À la recherche du grand verre. Hommage à Philippe Thomas (détail), 1985. Fotografia a colori incorniciata e cartellino di plexiglas. Fotografia: 80 × 60 cm; cartellino: 2,5 × 12,5 cm. Courtesy Claire Burrus, Parigi e Jan Mot, Bruxelles.
1
2
3
4
Dominique Païni, Cas de figure. Hommage à Philippe Thomas (détail), 1985. Fotografia a colori incorniciata e cartellino di plexiglas. Fotografia: 80 × 60 cm; cartellino: 2,5 × 12,5 cm. Courtesy Claire Burrus, Parigi e Jan Mot, Bruxelles.

Una fiction postmoderna d’autore

L’installazione inaugurale dell’agenzia è dunque composta da un gioco di echi e mise en abyme, secondo una pratica citazionista tipicamente postmoderna che è alla base dell’intera produzione artistica di Thomas. A New York, egli si confronta sia con gli artisti delle generazioni precedenti – e in particolare i concettualisti – sia con quelli della Pictures Generation e della nascente Critica Istituzionale6. Uno dei riferimenti più importanti per l’artista è The Offices of Fend, Fitzgibbon, Holzer, Nadin, Prince & Winters che, stando al loro biglietto da visita, è un “ufficio di consulenza” con “servizi pratici estetici adattabili alla situazione del cliente”. Pur non nominandolo specificatamente, Thomas conosce bene questo progetto collettivo – la cui affinità concettuale con la sua agenzia risulta evidente –, fin dal suo incontro con Peter Nadin e Jenny Holzer presso il civico 11 di rue Clavel a Parigi7. Alla sua apertura nel 1987, l’agenzia readymades belong to everyone® cerca, in effetti, di ritagliarsi un posto in mezzo alle iniziative artistiche basate sulla nozione di servizio8, conservando, allo stesso tempo, una dimensione critica che dimostri una presa di distanza da ciò che commenta. Come scrive Stephen Wright, Thomas “usa la fiction e l’ironia che la sottende come mezzo di resistenza critica, il che gli permette di diagnosticare l’ideologia dominante invece di esserne assimilato”9.

Difatti, l’artista conferisce alla sua agenzia “un ruolo essenzialmente provocatorio”10, una dimensione, del resto, che si comprende appieno già dalla sua prima parola, “ready- made”, che porta con sé il suo significato storico. Il ready-made duchampiano, primo gesto nell’arte moderna volto in direzione della cancellazione dell’artista, è citato negli appunti di Thomas già nel 1979 per il suo valore di “luogo comune” della storia dell’arte. Luogo comune, peraltro, a cui fa riferimento la seconda parte del nome dell’agenzia, “appartengono a tutti”: il suo uso da parte dell’artista è da intendersi nell’ordine del come se e mira a rafforzare la verosimiglianza del dispositivo finzionale cui fa riferimento. Il nome dell’agenzia ha il valore di una presa di posizione di fronte alla possibilità di un mercato che enfatizza la dimensione economica e commerciale della firma tanto quanto il valore merceologico dell’opera (e dell’artista stesso)11. L’apertura di readymades belong to everyone® conferma così che la scomparsa di Thomas come autore del suo lavoro può ora essere (ri)messa in gioco attraverso l’agenzia.

Dopo l’evento inaugurale del 1987, Thomas porta l’agenzia in tutto il mondo e comincia aprendo la sua filiale francese, les ready-made appartiennent à tout le monde®, in occasione della mostra dei suoi primi collezionisti-firmatari (Christophe Durand-Ruel, Gilles Dusein, Jacques Salomon) presso la galleria Claire Burrus nel 1988: “Épreuves d’artistes”. L’esposizione è preceduta dalla pubblicazione di un annuncio pubblicitario sul quotidiano nazionale “Libération”, che promuove i servizi dell’agenzia affermando: “La storia dell’arte cerca personaggi”. Questi personaggi, collezionisti-firmatari privati o pubblici, saranno sessantuno alla chiusura dell’agenzia nel 1993–199412. Così come gli eteronimi di Fernando Pessoa, essi partecipano alla finzione messa in piedi da Thomas e compongono un’immagine plurale e collettiva dell’autorità autoriale dell’artista sulla propria opera13. Come si legge nell’annuncio di “Libération”, e dal momento che “è giunto il momento di una revisione totale del diritto al registro degli autori”, l’azione dell’agenzia si dispiega a livello internazionale per integrare nuovi personaggi nel suo dispositivo. Per citare Thomas, si tratta di tanti “progetti circostanziali”, i quali ne fanno progredire la storia, rendono “effettivo” il concetto dell’agenzia e forniscono la “prova”14 della sua esistenza.

1
2
3
4
i readymade appartengono a tutti, Pubblicità, pubblicità, 1988. Fotografia in bianco e nero incorniciata. 157 x 123 cm. Courtesy Claire Burrus, Parigi e Jan Mot, Bruxelles.
1
2
3
4
Chiat/Day/Mojo, Advertising for readymades belong to everyone, 1990. Stampa cibachrome. 170 x 120 cm. Courtesy Claire Burrus, Parigi e Jan Mot, Bruxelles.
1
2
3
4
Giancarlo Politi, Credito, 1992. Dettaglio. Armadio e sette faldoni da lavoro. 175 x 35 x 45 cm. Veduta della mostra “Scusate ma non abbiamo potuto aspettarvi”, realizzata con il supporto dell’agenzia readymades belong to everyone® presso Galleria Massimo Minini, Brescia, 1992. Courtesy Galleria Massimo Minini, Brescia.
1
2
3
4
readymades belong to everyone®, The agency, 1993. Dettaglio. readymades belong to everyone®, “Philippe Thomas declines his identity”. Veduta della mostra presso MACRO, Roma, 2022. Fotografia di Piercarlo Quecchia – DSL Studio. Courtesy MACRO, Roma.

“Scusate, ma non abbiamo potuto aspettarvi”

Questi progetti circostanziali assumono la forma di mostre collettive organizzate “con l’aiuto dell’agenzia” – una formula che si ripete da “Épreuves d’artistes”. È il caso, ad esempio, della prima apparizione dell’agenzia in Germania, tradotta in “ready mades gehören allen” e presentata presso la galleria Esther Schipper nel 1989. O, ancora, della mostra “Insights”, che raccoglie due serie di fotografie e un’edizione, firmate rispettivamente da Jay Chiat, Edouard Merino e Laura Carpenter, presso la Curt Marcus Gallery (1989). Sulla scia dell’esposizione alla Cable Gallery, altri progetti successivi ripropongono l’installazione di uffici o magazzini dell’agenzia – e, quindi, dei suoi retroscena. Thomas organizza in Italia la prima di queste mostre, composta da otto lavori, cinque dei quali firmati da collezionisti italiani e tre attribuiti all’agenzia. “Scusate, ma non abbiamo potuto aspettarvi” ha luogo alla Galleria Massimo Minini nel 1992, dove l’agenzia i readymade appartengono a tutti® accoglie la partecipazione di Daniella Betta, Bruna Girodengo, Tullio Leggeri, Giancarlo Politi e dello stesso Massimo Minini.

A differenza dell’evento del 1987, che invitava all’apertura di una nuova agenzia, l’esposizione italiana mostra uffici vuoti, quasi come fossero stati lasciati in sospeso. L’installazione gioca con molteplici mise en abyme degli elementi che la compongono, opere precedenti di Thomas o opere di altri artisti indirettamente citati. All’ingresso della galleria si trova Brescia 92, firmata da Daniella Betta e composta da quattro sedie rosse che fanno pensare a una sala di attesa15. Una giacca nera è posizionata su una delle sedie e mostra un badge appuntato che funge da targhetta. Quest’ultima identifica l’autore mediante il suo nome e una fototessera, accompagnata dal nome dell’agenzia in italiano e dalla data “05.1992”. L’opera fronteggia una pubblicità dell’agenzia, Advertising for readymades belong to everyone, appesa alla parete. Scattata l’anno precedente, in occasione della mostra “Art & Publicité” al Centre Pompidou, questa fotografia è un’immagine ricorrente nelle mostre dell’agenzia a partire dal 1991. Nello spazio della galleria italiana, essa risponde alla precedente pubblicità prodotta dall’agenzia, esposta sotto forma di fotografia incorniciata e appoggiata su due blocchi in legno: intitolata Pubblicità, pubblicità, questa è la traduzione italiana di quella del 1988, presentata per la prima volta in occasione della partecipazione dell’agenzia alla 44a Biennale di Venezia del 1990.

Pubblicità, pubblicità si trova in quello che sembra essere lo studio dell’agenzia readymades belong to everyone®, uno spazio intermedio tra la reception e l’ufficio di Massimo Minini. Questo studio ospita altre tre opere realizzate per l’occasione. Al centro della sala, Natura morta e modernità, firmata da Tullio Leggeri, consiste in un tavolo disseminato di documenti di lavoro, il cui accumulo è immortalato da una fotografia presentata sullo stesso tavolo. Quello della natura morta è un tema già affrontato da Thomas in quanto “luogo comune” della pittura e la sua ripresa contribuisce anche a rafforzare la verosimiglianza della fiction16. L’opera è sormontata da un calendario appeso alla parete, le cui etichette scritte in italiano descrivono le azioni dell’agenzia per l’anno 1992. Esso fa parte di una serie di sei calendari prodotti ogni anno, tra il 1988 e il 1993, per registrare le attività dell’agenzia (progetti, mostre, eventi, pubblicazioni). Ogni calendario è composto da piastre metalliche fisse sormontate da una piastra mobile, dove sono disposti piccoli elementi magnetici di colori e forme diverse: l’insieme forma visivamente una composizione vicina all’astrazione geometrica, altro luogo comune della storia della pittura.

L’installazione è quindi completata da Credito, un armadio a tenda contenente sette schedari. L’etichetta applicata su uno di questi funge da targetta per l’opera, esibendone il titolo, la data e la firma di Giancarlo Politi. Più avanti si trova un tavolo da disegno firmato da Bruna Girodengo. Come indica il titolo, Studio per targhetta n°9, si tratta di uno studio per una targhetta costituito da una pellicola in rhodoïd, che riporta il nome dell’autore, il titolo e la data dell’opera17. Questa rende immediato il richiamo al tema della mostra italiana e, più in generale, all’importanza della targhetta nel fare artistico: mutuata dal dispositivo museografico, essa, dal 1985, diventa un elemento dell’opera a sé stante. Difatti, proprio la targhetta, la cui funzione oscilla tra firma e didascalia, diviene rapidamente, nell’opera di Thomas, “l’oggetto della mostra […] perché [essa è] come l’irruzione della fiction nella mostra”18. Come spiega l’artista nel 1994:

Invece di aggiungere semplicemente il nome dell’artista e il titolo dell’opera – sempre al suo lato – su una targhetta che funge da parassita, qui queste indicazioni sono talmente parte integrante dell’opera in questione da non poter essere separate da essa senza corromperne l’identità19.

Questo aspetto dell’identità autoriale è messo ulteriormente in evidenza nella serie di codici a barre, di cui la mostra italiana offre un esempio firmato dal gallerista stesso, Massimo Minini. Il quadro, che rappresenta il numero di registrazione del suo firmatario presso l’agenzia, diventa esso stesso un numero di identificazione. Esso fornisce l’identità del suo autore, un’informazione non solo reduplicata, ma soprattutto segnalata dalla targhetta, per mezzo della quale si attua un “rovesciamento”: “il codice a barre, il lavoro, l’opera […], funziona anche come commento alla targhetta”20.

L’istallazione proposta alla Galleria Massimo Minini rende dunque visibile l’attività dei readymades belong to everyone® attraverso le mise en abyme tipiche del lavoro di Thomas. Come dimostrato dalla mostra, l’agenzia si costruisce in un rapporto mimetico con l’economia, che si riflette nell’estetica e nel vocabolario delle opere. Essa offre quindi un commento tanto sul modello economico da cui emerge quanto sul sistema dell’arte e le sue zone d’ombra, in cui intende inserirsi. Per Philippe Thomas, è proprio l’aspetto giuridico e concettuale dell’autorità autoriale a essere preso di mira dall’agenzia come “una società di produzione che deve garantire all’arte tanto la sua distribuzione quanto i suoi personaggi”21. Il termine “personaggi” permette all’artista di insistere sulla dimensione fittizia della sua impresa, che egli rinuncia a registrare legalmente. Infatti, anche se l’azione dell’agenzia si attua nella realtà, la delega dell’autorità autoriale avviene solo sotto le condizioni della finzione e pertanto rimane parziale. Così, l’agenzia readymades belong to everyone® permette per l’appunto di “diversificarsi, di svilupparsi su una pluralità di autori (che possono essere effettivi) la cui funzione equivale ad accreditare, a rendere possibile o verosimile, l’idea chiave di un’opera che non si impernia più su un solo nome”22.

(Traduzione dal francese di Tommaso Jorio)

Émeline Jaret è docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Università di Rennes 2, in Francia. Questo articolo è un estratto della sua tesi di dottorato, che sarà prossimamente pubblicata da Presses universitaires de Rennes (2023). Discussa nel 2017, questa tesi costituisce il primo studio monografico completo sull’opera di Philippe Thomas (1977—1995).

1 Comunicato stampa in occasione dell’inaugurazione dell’agenzia readymades belong to everyone, Fondo Philippe Thomas conservato presso la Bibliothèque Kandinsky, Centre Pompidou – MNAM CCI, Parigi. Qualora non diversamente indicato, i documenti d’archivio provengono dalla collezione dell’artista.
2 Philippe Thomas, carnet, nota dell’11 dicembre 1979.
3 La definizione è stata utilizzata dall’artista per la prima volta nel 1987, in occasione di una conferenza omonima tenutasi presso il Centre Pompidou a Parigi.
4 Per questa e le seguenti citazioni: lettera di Thomas a William Olander, 15 gennaio 1987. Questa lettera descrive un progetto (non realizzato) che prefigura l’agenzia – “Intermedia” – proposto poi dall’artista per la mostra al New Museum, New York.
5 La scomparsa di Thomas viene annunciata nel 1982 in Frage der Präsentation, saggio critico e traduzione tedesca del manuscrit trouvé. Il manoscritto viene analizzato come proveniente da “un autore che non avrebbe scritto se non nell’ipotesi della sua scomparsa”. Frage der Präsentation, Berlino, Museum für Kultur, 1982; ristampato in P. Thomas, et al., Sur un lieu commun et autres textes, Ginevra, Mamco / Rennes, Presses Universitaires de Rennes, 1999, p. 40.
6 Gli appunti newyorkesi di Thomas pullulano di nomi di personaggi con cui l’artista si confronta regolarmente o che semplicemente incrocia: Ross Bleckner, Peter Downsbrough, Barbara Ess, Marian Goodman, John Knight, Joseph Kosuth, Barbara Kruger, Louise Lawler, Annette Lemieux, Sherrie Levine, Simon Linke, Allan McCollum, Lisa Phillips, Robert Ryman, Cindy Sherman, Susan Sontag, Lawrence Weiner, ecc.
7 Onze rue Clavel, luogo fondamentale per Thomas, è l’indirizzo dello studio di Claude Rutault, temporaneamente trasformato in spazio espositivo sperimentale a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, su iniziativa di Jean-François Brun e Dominique Pasqualini. È in questo contesto che Peter Nadin e Jenny Holzer presentano la prima manifestazione di The Offices […], nel febbraio 1980. Il loro legame con Onze rue Clavel è stato recentemente messo in evidenza da Natacha Polaert in una mostra presso la galleria Off Paradise (New York, 13 gennaio – 19 febbraio 2022) e dalla mostra “Philippe Thomas declines his identity” curata da Luca Lo Pinto al MACRO di Roma (28 ottobre 2022-5 marzo 2023), che riunisce per la prima volta l’agenzia di Thomas e l’iniziativa newyorkese.
8 Gli anni ’80 e ’90 sono caratterizzati
dallo sviluppo di una nuova cultura aziendale che i sociologi Luc Boltanski e Ève Chiapello hanno identificato come un “nuovo spirito del capitalismo”; esso traduce un modello di “imprese snelle che lavorano in rete”, facendo appello a “una nebulosa di fornitori, subappaltatori, prestatori di servizi”. L. Boltanski e È. Chiapello, Le nouvel esprit du capitalisme, Parigi, Gallimard, 1999, pp. 115-119. Si veda anche L. Pires, Pleasure/Function. Aesthetic Services circa 1980, in Brand New. Art & Commodity in the 1980s, a cura di G. Jetzer (catalogo della mostra, Washington, Hirshhorn Museum and Sculpture Garden),
Rizzoli Electa, 2018, pp. 62–73.
9 S. Wright, Une fable post-fordiste: comment Philippe Thomas a sorti l’art du XXe siècle, in “Parachute”, n. 110, aprile—giugno 2003, p. 43.
10 Conversazione tra Thomas, Michel Tournereau e Daniel Bosser, 31 gennaio 1988, Archivi Daniel Bosser, Parigi.
11 In un’ultima intervista del 1995, Thomas spiega: “L’agenzia dice semplicemente: dal momento che questo diritto è aperto a una nuova concezione dell’autore, facciamolo. Essa consiste nel dire che un mercato si sta aprendo. L’agenzia è lì per questo motivo e il numero dei suoi clienti dà peso alla sua esistenza”. Entretiens Stéphane Wargnier/Philippe Thomas, in P. Bernard, É. Jaret, P. Thomas, S. Wargnier, L’Agence, Ginevra, Mamco, 2021, p. 81.
12 A questo numero vanno aggiunti i dodici collezionisti-firmatari di Fictionnalisme.
13 È Thomas stesso che cita gli eteronimi di Fernando Pessoa, questi personaggi inventati che rappresentano l’autore “fuori dalla sua persona”. F. Pessoa, citato da R. Hourcade in F. Pessoa, Sur les hétéronymes, Parigi, Ed. Unes, 1985, p. 9.
14 Entretiens Stéphane Wargnier/ Philippe Thomas, art. cit., p. 105.
15 Le note della mostra menzionano i progetti di due artisti serviti da modello: Chair Event di George Brecht (1966) e Situation Room di Vito Acconci (1970).
16 Il tema della natura morta permette di collegare l’opera ad altre, in particolare ad Insights. Pubblicata nel 1989 e firmata da Laura Carpenter, questa edizione riproduce gli appunti presi da Thomas durante la mostra alla Cable Gallery. Una delle note mette a confronto i saggi sulla natura morta di Meyer Schapiro e Charles Sterling. Come riassume Thomas, “la natura morta è una pittura di servizio”, una pittura che egli collega al servizio offerto dall’agenzia readymades belong to everyone®: “La natura morta funziona quindi come una maschera, anche se questa maschera è piuttosto paradossale: scommette sull’ovvio o sull’ostentazione, per togliere all’occhio ciò che non dovrebbe vedere”. Laura Carpenter, Insights, trad. fr., Paris, Galerie Claire Burrus, 1991, p. 54; ristampato in P. Thomas, et. al., Sur un lieu commun et autres textes, op. cit., p. 205.
17 L’opera è il negativo di un lavoro precedente, in francese: Étude de cartel n°6, firmato da Jacques Salomon ed esposto durante “Feux pâles” al CAPC-Musée d’art contemporain, Bordeaux (1990-91).
18 P. Thomas, carnet, nota del marzo 1985.
19 P. Thomas, Note pour une étude de cartel – Objet de collection, 1994.
20 “Entretiens Stéphane Wargnier/ Philippe Thomas”, art. cit., p. 98.
21 Philippe Thomas, carnet, nota del 31 gennaio 1989.
22 Philippe Thomas, carnet, nota del gennaio 1988.

Condividi questo articolo
  • Facebook
  • Twitter
  • Mail
Altri articoli di

Émeline Jaret

Valerio Nicolai: La bellezza del guaio

22 Dicembre 2022, 9:00 am CET

Ho un debito verso Valerio Nicolai per il titolo di questo testo. “La bellezza del guaio”, infatti, è un’espressione che…

Approfondisci

Costanza Candeloro: Mentre si fantastica l’altrove

11 Gennaio 2023, 9:00 am CET

“Io credo che la scultura sia quella cosa che ti rifiuta la finzione”, continuava a ripetere Luciano Fabro. Dall’altra parte…

Approfondisci

Pratiche di autorappresentazione nella fotografia italiana contemporanea: Cristian Chironi, Daniela Comani, Alessandra Spranzi, Paolo Ventura

18 Gennaio 2023, 9:00 am CET

L’artista, con gli strumenti di cui dispone, con il proprio corpo, un tavolo, qualche oggetto quotidiano, un’automobile o la propria…

Approfondisci

Io, Noi, Voi. Pratiche autobiografiche di rappresentazione nel lavoro di Irene Fenara, Karim El Maktafi, Silvia Rosi

26 Gennaio 2023, 9:00 am CET

La storia delle arti visive, e della fotografia in particolare, è costellata da un’infinità di progetti nei quali gli stessi…

Approfondisci

  • Prossimo

    Olafur Eliasson “Orizzonti tremanti” Castello di Rivoli / Torino

  • Precedente

    Luca Bertolo: Perché scrivere, perché dipingere

© 2023 Flash Art

  • Termini & condizioni