Nel 1967 una galleria newyorkese – la Fischbach sulla cinquantasettesima, dove l’anno prima Lucy Lippard aveva assemblato la leggendaria “Eccentric Abstraction” – era stata una delle tappe del primo tour mondiale dei Tappeti natura di Piero Gilardi, avviato l’anno prima a Torino da Sperone e che toccò anche Amsterdam, Colonia, Amburgo, Bruxelles e Parigi. Già a Torino Gilardi aveva espresso un desiderio preciso: “Spero di poter riunire, un giorno, tutti i tappeti che sto realizzando in un luogo largo e piano”1. La mostra di Magazzino Italian Art, curata da Elena Re, risponde a quel desiderio raccogliendo oltre quaranta sculture di poliuretano espanso, tra cui il monumentale Terreno di montagna (1966) già esposto alla Fischbach. A questo sono affiancati altri Tappeti degli anni Sessanta, numerosi lavori recenti, i frammenti agresti che avevano fatto parlare Ettore Sottsass di “una natura in perdita”2, il precoce, cruciale Totem Domestico (1964) del Centre Pompidou e un divertito gregge di Sassi Gufram con cui i visitatori sono invitati a interagire. Spiccano, infine, due Vestito-Natura – una cascata di ciottoli e un fascio di betulle –realizzati nel 1967 per essere attivati durante la Beat Fashion Parade del Piper, il club torinese dove alcuni Tappeti avevano già fatto da sfondo a sfrenate serate yéyé.
I newyorkesi accorsi alla Fischbach, quando ancora era possibile camminare e sdraiarsi sui tappeti, si erano subito prestati all’attività, sfilandosi le scarpe senza esitazione, sorprendendo persino Gilardi, “perché le persone in Europa sono un po’ più ciniche e tendono a ridere di queste forme di lettura che richiedono una certa spontaneità e anche una certa libertà”3. L’artista era ben consapevole del valore e delle implicazioni di quella libertà, così come sapeva quanto fosse necessario adeguare le sue opere alle aspettative e alle attitudini dei suoi diversi pubblici, presentandole negli Stati Uniti “come oggetti puramente estetici, escludendo cioè quel rapporto con la realtà diretta che è da un po’ il mio mito di sempre”4. Cinquantacinque anni dopo, i Tappeti-Natura sono di nuovo a New York, di nuovo a disposizione dello sguardo (non del tatto, ovviamente) del pubblico americano, per la prima volta in un contesto museale. Il confronto diretto coi Tappeti, allestiti a parete e pavimento senza la disturbante interferenza ottica e concettuale delle teche di plexiglas, ne conferma la tenuta nel tempo e permette di registrarne aspetti difficilmente apprezzabili in fotografia: su tutti, l’assolutezza del margine nero che seguendo l’orografia del rilievo ne conferma inesorabilmente la natura puramente estetica. Ciò non trattiene dal desiderio pressante di toccare, calpestare, affondare le mani e i piedi in quella natura opaca, ipersaturata e sfrontatamente artificiale, così da verificarne empiricamente il grado di naturalità e le varie consistenze, sia simboliche, sia materiali. Americani o europei che siano, nell’approcciare le opere i visitatori sono costretti a mettere da parte le proprie categorie di natura e artificio, facendo ricorso a quella “primary emotive freedom” di cui l’artista aveva sottolineato la centralità tratteggiando la sua proposta, illuminata e transnazionale, di un’arte “microemotiva”5. L’etichetta, lanciata dalle colonne di Arts magazine dopo mesi di incontri e confronti, chiamava a raccolta le più diverse espressioni del post-minimalismo europeo e statunitense, offrendo un’alternativa tempestiva e necessaria, certo divertita, alle più rigide “primary structures”. Al 1966 dei primi Tappeti risalivano del resto anche le Foam Sculptures di John Chamberlain e le prime ricerche sul poliuretano di Eva Hesse, a conferma del carattere internazionale di quella svolta nella sensibilità scultorea che passava anche e soprattutto dalla scelta dei materiali. Attraverso sassi, piante e animali – che sassi, piante e animali certo non sono – Gilardi invita il visitatore a mettere da parte la struttura, magari togliendosi le scarpe, così da permettere all’opera di stimolare e allo stesso tempo registrare una forma immediata di contatto diretto, anticipando molti temi, e interi modi di essere, del dibattito contemporaneo sul rapporto tra uomo e natura. Significativamente, a ispirare i tappeti era stata una camminata lungo gli argini inquinati del torrente Sangone.