“Forse devono ancora aprire? Forse è accaduto qualcosa?”, ci chiediamo. Pare che qualcuno abbia anche ipotizzato il crollo di parte dell’edificio… Si tratta invece di Senza Titolo (False Alarm) di Manuel Scano che, con duchampiana irriverenza e casualità all’Arman, sconvolge la percezione spaziale di chi varca la soglia della Galleria: coriandoli, cartoncini, gessetti colorati, giocattoli, flyer, materiali di varia natura, accumulati in due anni e mezzo dall’artista, popolano la sala d’ingresso; ciò che comunemente calpestiamo o gettiamo si trasforma in opera attraverso un processo di risemantizzazione spiazzante, dinamico, e dunque suggestivo. Alziamo gli occhi da terra e le ragazze (delle viventi Giacometti) nel video della performance VB48 di Vanessa Beecroft ci aiutano a ritrovare l’equilibrio, a orientarci nel caotico e delicato terreno che la mostra indaga. Si tratta di un intrigante tentativo di storicizzare il panorama artistico italiano d’inizio millennio, di far dialogare il passato prossimo (che include venti nomi e opere chiave, datate tra il 2000 e il 2009) e il futuro anteriore dell’arte italiana, un futuro non ancora certo, ma il cui divenire è tracciato dai lavori di dieci giovani talenti. Siamo spinti, quasi per istinto, a cominciare il percorso dal noto, da quanto conosciamo. Nella sala grande, cerchiamo di decodificare i corpi estranei scolpiti dall’olio su tela di Pierpaolo Campanini, e vorremmo leggere (o rileggere) uno dei libri tranciati di Stefano Arienti. Una riflessione sullo scorrere del tempo, che abbraccia le nostre microstorie in relazione alla grande storia che quest’anno si celebra, ci appare ineludibile.Così Moira Ricci entra nelle fotografie annullando una perdita, mistificando un vuoto temporale ed emozionale, mentre Paolo Chiasera piega un telaio inducendoci a osservare ciò che cambia, che è già passato. Lo sguardo si allarga, si globalizza con le riprese aeree dell’affollata riviera romagnola interrogata da Yuri Ancarani nel video Made in Italy; si esplorano limiti e abissi nei video di Stefania Galegati e Italo Zuffi; Cesare Pietroiusti con Pensiero Unico apre un paradossale scrigno di tabù.
La maestosa architettura di tessuti fotografata da Agne Receviciute ci annuncia un domani già in atto: ricerche, documentazioni e dinamismo innervano i lavori del 2010 presentati negli spazi restanti della galleria. Con Adelita Husni-Bey veniamo catapultati ad Hackney attraverso un insolito “art crossing”; avvertiamo la presenza umana, nascosta, nell’opera Occupare il minor spazio possibile del duo Alis/Filliol, ma l’espansione del poliuretano pseudo organico sembra non ancora esaurita. La pittura veloce, veneziana, di Andrea Kvas e Valerio Nicolai si cristallizza nella benedicente Eclisse d’Icona di Giulio Frigo da cui sottili fili si dipanano nella sala d’ingresso avvalorando la possibilità di una narrazione storica e soprattutto una plausibile certezza, già mazziniana: se si conosce una verità, è necessario uniformarvi le azioni.