Il sistema dell’arte contemporanea del Veneto sembra muoversi lentamente. Si tratta di una regione ricca e, insieme, dotata di un patrimonio storico-artistico straordinario; possiede università prestigiose, la sua imprenditorialità è spesso giovane e consapevole delle problematiche dell’innovazione e della sperimentazione; per il prossimo anno è annunciata l’apertura del nuovo museo di arte contemporanea alla Punta della Dogana e, oltre alla Biennale di Venezia, resiste da alcuni anni la sperimentale Facoltà dedicata alle arti contemporanee dello Iuav. Dunque, Venice is not sinking, Venezia non sta affondando. Forse traballa un po’, ma resiste. Mi sembra che per iniziare a sondare la produzione artistica in Veneto non si possa che partire da qui, dal titolo ironico e al tempo stesso deciso della rivista veneziana, voluta e creata da Giorgio Camuffo — uno degli studi di grafica e comunicazione più sperimentali del Veneto — per rilanciare una diversa immagine della città lagunare: una realtà dove si vive, si lavora e si continua a pensare, nonostante tutto. Se ci limitiamo a Venezia, qui esistono molti altri luoghi che si dedicano al contemporaneo con programmi e attività continuative e molto specifiche: dalla Fondazione Bevilacqua La Masa alla Fondazione Querini Stampalia, dalla Collezione Peggy Guggenheim a Palazzo Grassi, a una serie di gallerie private che portano in città artisti noti della scena internazionale. La Venezia che resiste non si può trovare in piazza San Marco, né tra le maschere made in Taiwan delle bancarelle di Rialto; ma si trova per esempio alla Giudecca, negli studi d’artista voluti dalla Fondazione Bevilacqua La Masa, l’istituzione che dal 1898 produce cultura promuovendo in particolare i giovani artisti. Dagli studi, punto di riferimento per molti artisti dell’ultima generazione, sono passate le ricerche più interessanti degli ultimi anni, tra cui Alvise Bittente, Ludovico Bomben, Davide Zucco, Federico Maddalozzo, Nemanja Cvijanovic, Mario Tomè e Kensuke Koike.
“La Biennale è finita. Noi restiamo”, si leggeva nei manifesti appesi in città il 12 dicembre del 2007, invito al confronto lanciato dai Magazzini del S.A.L.E. di Punta della Dogana e rivolto alle più importanti istituzioni cittadine del contemporaneo per discutere di come l’arte potesse intervenire nei processi di creazione di una città viva, aperta, internazionale e consapevole. Oltre allo stereotipo di una bellezza ormai sfiorita e museificata, lontano dalla presenza mediatica dei colossi Guggenheim e Pinault, in laguna covano sotto le ceneri tanti fermenti creativi e tante voci diverse accomunate da un lavoro costante e tenace. Ma si sa che “restare” non è facile (forse neanche giusto) e se è vero che artisti come Maurizio Cattelan, Grazia Toderi, Monica Bonvicini, Luca Buvoli, Lara Favaretto e Luca Trevisani sono emigrati da tempo, e non solo dal Veneto ma dall’Italia, è altrettanto vero che questa regione, Venezia in particolare, può essere anche una grande fucina di idee e di talenti, seppure in una fase ancora embrionale. Tra questi ci sono gli argentini Amparo Ferrari e Sebastian Zabronski, originari di Buenos Aires ma dal 2003 residenti a Venezia, un po’ per caso e un po’ per scelta, come dicono. Hanno fondato il collettivo Conceptinprogress, attraverso cui danno vita a performance, installazioni e provocazioni sempre in bilico tra ironia e fragilità. Si presentano come “partner, amici, compagni nella vita e nell’arte” e mettono fortemente a nudo la propria intimità. Anche questa nudità così esposta, apparentemente in balìa del pubblico, è in fondo un altro modo per affermare la propria esistenza.
Lavorare a Venezia significa soprattutto confrontarsi con un contesto paesaggistico e architettonico unico. Camminando, il corpo diventa misura dello spazio architettonico e la relazione che s’instaura con esso è totalmente di tipo organico: si definisce e si disegna mano a mano che lo si percorre e percepisce. Molti artisti che si sono formati in questo ambiente hanno quindi lavorato performando lo spazio dell’architettura: è il caso di Giorgio Andreotta Calò. Dopo la partecipazione alla XII Biennale del Mediterraneo nella sezione “Public Art”, anche lui nel 2006 è stato selezionato — come molti altri artisti veneti, da Carolina Antich a Elisabetta Di Maggio, a Lara Favaretto, a Roberta Iachini, a Lucia Veronesi — al Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Ratti. Un’artista che ha invece assorbito tutta la visionarietà spaziale della laguna è Margherita Morgantin, che nei suoi video addirittura fa evaporare paesaggio, corpi e architettura sospendendoli come nello spazio spaesante del sogno. Chi sembra avere tutte le carte in regola è Alberto Tadiello: ha frequentato l’ultimo corso della Ratti, si è diplomato allo Iuav, è uno dei residenti negli studi della Bevilacqua La Masa e ha appena terminato una residenza in Viafarini. Nel suo lavoro utilizza principalmente l’installazione sonora e il disegno. All’Accademia di Belle Arti di Venezia si è formata un’artista come Vania Comoretti, che ha vinto il Premio Saatchi & Saatchi ed espone adesso le sue opere — una lente d’ingrandimento attraverso la quale conduce un’indagine sull’essere umano — alla Royal Society of Portrait Painters di Londra. Di una generazione precedente sono i lavori di Maria Morganti e Mariateresa Sartori, che saranno presentati con progetti site specific alla Fondazione Querini Stampalia.
Che cosa succede invece se dal capoluogo si prosegue verso l’interno? Anche nel campo della produzione artistica, il Veneto dell’entroterra mantiene fede alla sua immagine di estrema produttività e ingegnosità, forte di una politica culturale che ha deciso di investire sul connubio arte-impresa (la neonata Fondazione March a Padova o l’Hangar Design Group a Mogliano Veneto sono la dimostrazione di un sistema che funziona). La presenza, inoltre, di gallerie come la storica Studio La Città di Verona e la più giovane Perugi di Padova aggiornano e divulgano il lavoro di artisti locali in un confronto internazionale. Senza dubbio il “Patto per l’arte contemporanea”, stipulato nel 2003 tra Stato e Regioni, ha dato l’avvio a un insieme di azioni per la promozione e l’incremento del patrimonio pubblico che anche in Veneto ha avuto una ricaduta positiva e il cui risultato più evidente è il centro culturale C-4 di Villa Caldogno (Vicenza). Ma le attività si sono moltiplicate sul territorio da quando sono attive a Vicenza Fuoribiennale e lo spazio Monotono – agenzia per il contemporaneo che hanno saputo cucire, attraverso una serie d’incontri trasversali, l’esigenza di un’imprenditorialità attiva e curiosa con i temi della contemporaneità. Uscire da Venezia e dislocarsi permette infatti una presa più forte sullo spazio circostante e una maggiore consapevolezza della realtà e del proprio ruolo.
È interessante il percorso di Arcangelo Sassolino, artista che vive e lavora a Vicenza, che ha in corso la sua prima personale al Palais de Tokyo: dopo aver frequentato dal 1990 al 1995 la School of Visual Art di New York, ha continuato a lavorare come designer presso l’industria di giocattoli della Casio di New York prima di far ritorno a Vicenza nel 1996 e iniziare la sua carriera artistica. Anche il giovane Alessandro Ambrosini lavora a Vicenza muovendosi tra video, fotografia e installazioni mettendo al centro del suo lavoro una riflessione sull’handicap.
Nico Vascellari è una delle presenze dell’ultima generazione più attive e mature sul territorio Veneto. Oltre alla partecipazione all’ultima Biennale di Venezia, adesso è impegnato nella performance con Arto Lindsay al Portikus di Francoforte. Si tratta di uno dei suoi rituali, una sorta di visione distorta di una parata carnevalesca brasiliana. Come sempre l’artista sospinge verso qualcosa di ancestrale, di atavico, attraverso il recupero di un linguaggio addirittura primitivo. Qualcosa che ritroviamo anche nel lavoro della giovanissima artista lituana Agne Raceviciute, residente a Treviso: “I miei lavori spesso si dividono in due: da una parte c’è un forte richiamo alla tradizione e al senso leggendario del mio paese natale, e dall’altra c’è un senso razionale e produttivo che richiama il posto dove vivo. Il Veneto è la regione dei piccoli paesi circondati da imponenti colline. Quello che accomuna è un senso di isolamento che permette di immaginare e soddisfare i propri bisogni”.
Alla fine, tirando le somme rimane la certezza di un Veneto che si pone come realtà di eccellenza fin dalla formazione accademica e universitaria, costantemente pronta a rigenerarsi con nuovi contributi ma dove i giovani artisti — non riconducibili a un comune denominatore o a particolari tendenze — preferiscono muoversi, piuttosto, come tante monadi isolate. Stabilizzare qui la propria carriera d’artista è molto più complicato che altrove. Questo rende più arduo il compito dei critici, dei curatori e degli altri addetti ai lavori. Individuare i talenti non è facile: bisogna saper guardare.