Nel racconto di ogni odissea bisogna sempre incominciare da una casa: quella da cui si parte e a cui prima o poi, forse, si vuole tornare. Nel caso di Raffaela Naldi Rossano, nata a Napoli nel 1990, la casa da cui tutto comincia è quella appartenuta alla nonna materna, capostipite della famiglia di sole donne in cui l’artista è cresciuta.
Quel grande appartamento che da Chiaia si affaccia sul golfo della città rappresenta per lei molte cose, ma ormai da qualche anno è prima di tutto il suo studio. In stanze un po’ slabbrate e dai soffitti alti, le opere – spesso ancor prima di essere terminate – vengono allestite come arredi di un’immaginaria casa museo, o come strumenti per testare forme ancora sconosciute di familiarità allargata.
Si badi bene, però: la familiarità offerta da quelle stanze tappezzate di carta da parati a motivi geometrici non è né simbolica né fantasticata, ma concreta, vissuta, reale. Lo è perché, allo stesso indirizzo di via Martucci, Naldi Rossano ha fondato Res 80121, un progetto a lungo termine che per brevità si vorrebbe chiamare residenza d’artista, ma che assomiglia più a una piattaforma di temporanea vita associata.
Dal 2017 a oggi di lì sono passati artisti, curatori, teorici, come Zehra Arslan, Mathilde Rosier, Lydia Ourahmane, Santiago Reyes Villaveces e tanti altri che, talvolta trovando in Maria Thereza Alves e Jimmie Durham i loro spiriti guida, hanno materializzato il proprio stare assieme in mostre e altre occasioni di incontro transitorio. Unico spin-off dotato di una certa stabilità, almeno per il momento, è Sibilla Cabinet: un’essenziale biblioteca eco-femminista disegnata da Iacopo Taddeo.
“Res 80121 è una comunità in cui generazioni diverse alimentano un dialogo locale e internazionale”, dice l’artista, “e in cui sperimentare un modello economico basato sulla fiducia e la ridistribuzione”. Si ha subito chiara l’impressione di un modo di fare arte che si allontana dalla solitudine capitalista degli ultimi trent’anni per riconnettersi alla storia, certamente più instabile, di altre esperienze comunitarie: l’apertura dello studio di Pistoletto a Torino nel 1967; la Cooperativa Cinema Sperimentale fondata nello stesso anno; lo spazio di via Lazzaro Palazzi nato a Milano nel 1989, e così via. Più di tutto, però, il modello di Res 80121 rimane il collettivo delle Nemesiache, fondato da Lina Mangiacapre nella Napoli del 1970. Radicandosi nella rilettura della mitologia greco-romana, il gruppo ha aperto una via meridionale al femminismo che oggi è tornata a essere, per molte, una strada maestra.
La casa come prima cellula di condivisione e non come fortezza della proprietà privata resta un’idea ricorrente anche in alcune opere che Naldi Rossano realizza da sola, e in cui singoli elementi domestici subiscono trasfigurazioni minime ma sostanziali. Bonding Skur (2019) si compone per esempio di due persiane in legno alte tre metri: sradicate dalla dimora di famiglia, sono state cucite assieme con un leggero filo di cotone rosa.
Transportable Shelter (2019) è invece un tetto diviso in due parti, ciascuna delle quali fissata a una struttura mobile in metallo. Sulle tegole in ceramica, di un verde che ricorda certe maioliche di Vietri, sono appoggiati limoni di varie dimensioni. I frutti paiono stesi a seccare su un pergolato. Memorie artificiali di una perenne estate. Icone di un’abbondanza mediterranea vera e immaginaria allo stesso tempo.
E ancora, della dimensione di tre letti matrimoniali sono i lavori della serie “Transition I-II-III” (2019). Nonostante la loro taglia da standard monogamico, i tre pezzi sono il calco in gomma di una porzione di scogliera sorrentina nota per il battuage omosessuale – la stessa scogliera dove si dice cantasse la sirena Partenope, le cui spoglie indicarono ai cumani dove fondare Neapolis, la città nuova. Su un lato di uno dei pezzi di gomma è cucito il copriletto di una dote nuziale. L’artista l’ha ricevuta in regalo da sua madre, ma né l’una né l’altra l’hanno mai usata propriamente, non essendosi mai sposate. I segni e i tagli impressi su quel manufatto celebrano, vandalizzandolo, un simbolo sì della tradizione patriarcale, ma anche di un’opposta genealogia femminile. Attraverso i tre oggetti, lo sguardo dell’artista penetra in uno spazio di segretezza e intimità queer, andando alla ricerca di una forma più liquida di parentela. Per raggiungere questa nuova dimensione, però, si deve uscire dalle stanze sicure della casa e andare a cercare altrove.
E allora: nel racconto di ogni odissea bisogna sempre incominciare dal mare, quello che unisce e divide le terre di amici e nemici. Nel 2020 Raffaela Naldi Rossano intraprende un viaggio in barca a vela con un piccolo equipaggio di tre compagne, incarnazioni delle sirene nate dalla musa Melpomene. Lo scopo della traversata è di congiungere i luoghi del Mediterraneo in cui sono presenti oracoli o miti di divinità femminili. Tra questi, il golfo dove appunto morì Partenope, forse a causa dell’abbandono di Ulisse; l’oracolo greco di Dodoni dedicato a Dione; la fonte della ninfa Castalia che sgorgava non distante dal santuario di Delfi.
Durante il viaggio, l’artista guida il gruppo nell’invenzione di rituali e preghiere attraverso un metodo di alterazione della coscienza ispirato alla psicologia della Gestalt. Gli esercizi spirituali iniziano sempre dalla lettura collettiva di saggi e poesie. A essere evocate dalla voce corale dell’equipaggio sono Kathy Acker, Veronica Franco, Hélène Cixous, Silvia Federici e altre ancora. Si alternano poi cicli di meditazione a momenti di azione collettiva.
È nel corso di queste pratiche di de-soggettivazione che nascono molte opere, come se quell’unica esperienza iniziatica dovesse per sua natura riverberarsi in un arcipelago di visioni e frammenti. Già durante il viaggio viene prodotta una serie di disegni su carta imbevuta d’acqua salata che materializza in simboli minimi i rituali appena compiuti (Sister’s Salvation: Alive Buried Sounds Alphabet from Ligea to Partenope in Hydra, 2020). Dopo essere tornata sulla terraferma l’artista realizza invece Rosario per Partenope (2020), un grande strumento di preghiera in ceramica che conta tanti grani quanti sono stati i giorni trascorsi per mare. L’opera viene esposta in una mostra collettiva a Loreto, cosicché due culti femminili, quello mariano e quello pagano, si mischino assieme.
Sempre dalla stessa peregrinazione hanno origine anche due video, entrambi concepiti come prologo di un progetto più ampio, WARP (2020– in corso). In Archival Spell for an Undomesticated Home (2020) alcune scene girate nel Mediterraneo sono sovraimpresse a riprese fatte con un drone nella casa dove l’artista ha trascorso il lockdown. Una scansione dell’ambiente domestico che sembra figlia di Chantal Akerman rivela la relazione di convivenza – kinship, la chiamerebbe Haraway – tra l’artista e il suo gatto Hydra. From History to Us (2020), invece, mostra un’effige d’argilla che lentamente si scioglie in acque basse e cristalline. Su di essa è inciso il viso di Partenope, il cui profilo si sgretola al suono di un’invocazione alle streghe.
La medaglia votiva non è un pezzo unico perduto per sempre, ma una moneta che l’artista riproduce in diverse occasioni a partire dal 2019. Il suo aspetto è ispirato in parte ai didrammi – monete campane diffuse nel III secolo a.C. – e, in parte, all’estetica delle criptocurrency. Tuttavia, dal momento che l’artista immagina di far circolare la valuta solo nella cerchia dei propri alleati, quei soldi non hanno nulla a che fare con l’anarco-capitalismo digitale. Semmai riguardano una microeconomia dell’amicizia, ma non è tutto qui. Constatando la natura sempre liquida del lavoro di Naldi Rossano, viene in mente un’altra teoria politica. Quella di Carl Schmitt, secondo cui i rapporti tra i popoli si sarebbero evoluti nella lotta attorno a due grandi spazi contrapposti. Da una parte la terra, così facilmente frazionabile lungo i confini degli stati sovrani, e dall’altra il mare, tanto sconfinato da diventare la superficie informe su cui le identità nazionali si infrangono. È in questa liquidità post-identitaria che prende valore la moneta di Partenope.
Visto dalla barca su cui l’artista tesse una nuova geografia mitologica e ne istituisce il conio, il Mar Mediterraneo torna a essere il bacino di un’unità culturale multiforme, plasmata da secoli di scambi; non il teatro macabro di respingimenti, naufragi e fantasie di purezza etnica. Per capire ancora meglio il senso attuale di queste immagini arcaiche ci si deve però spostare ancora una volta altrove.
Nel racconto di ogni odissea bisogna sempre incominciare dal canto delle muse, quello che rende eternamente presente il passato remoto. Nel 2022 Naldi Rossano intraprende un altro viaggio per mare. Grazie alla collaborazione tra Lofoten International Art Festival e TBA21–Academy, salpa a bordo della nave Helmer Hanssen, sulla quale una équipe di biologi studia il microzooplancton nel Mare di Barents. L’artista convive con la comunità nomade di scienziati, ma nel frattempo si interessa anche alle teorie di Felice Vinci, che collocano le avventure di Ulisse nelle acque scandinave e non nel Peloponneso. Dalla sovrapposizione di tempi e di luoghi vissuta nell’isolamento della navigazione nasce la prima versione di WARP (2022), una videoinstallazione pensata per mutare e aggiornarsi assieme alla vita dell’artista, come un organismo o un diario sprovvisto di forma definitiva.
La versione dell’opera presentata a LIAF2022 ha di per sé l’ambizione narrativa di una saga. Si compone infatti di sette capitoli numerati che un algoritmo proietta in ordine randomico su uno schermo semicircolare. In una complessa coreografia di split screen, immagini della navigazione tra i ghiacci, citazioni letterarie, diagrammi e simboli indecifrabili sono ancora una volta sovrimpressi a scene della traversata mediterranea. Il corpo stesso dell’artista compare, fluttuante e gigantesco, dalle finestre della cabina di comando. Se però i primi frammenti del video sono guidati dalla voce di uno scienziato che spiega gli effetti del riscaldamento artico sugli invertebrati, nei capitoli successivi prevalgono litanie sempre più insistenti, mirate a indurre uno stato di estasi profonda.
Qualunque sia la versione dell’opera che si sta guardando, in WARP tempo lineare e circolare non si oppongono ma convivono, dimensioni della stessa realtà quantica. Allo stesso modo, due regimi discorsivi in conflitto tra loro – quello oracolare e quello scientifico – si intrecciano per stabilire un nuovo legame emotivo tra la società umana e gli altri corpi viventi.
È il valore stesso della fabulazione mitologica a essere qui ridiscusso. Il racconto leggendario non è più pensato, alla maniera della propaganda nazionalista, come fondativo di un’identità che deve essere perennemente difesa dalla contaminazione. Al contrario, entrando in sintonia con le ricerche archeologiche di Lucy Audley-Miller o con il Carlo Ginzburg di Storia Notturna, l’artista concepisce il mito come uno schema narrativo malleabile in infinite variazioni, capace di far emergere geografie culturali ignote o rimosse.
Sperimentando l’espansività della narrazione mitologica, Naldi Rossano mette in discussione l’idea stessa di confine per affermare che nessuna identità personale o collettiva può costituirsi al di fuori della relazione con un’alterità concreta. È per lo stesso principio che il lavoro dell’artista riguarda sempre anche la natura del linguaggio.
We Are the Granddaughters of the Witches You Were Never Able to Burn (2019), oggi nella collezione del Museo Madre, è una scultura ambientale formata da grandi lettere in ceramica che compongono il titolo dell’opera. Ciascun carattere può essere spostato a piacimento, e infatti il lavoro ha un aspetto molto diverso a seconda delle occasioni in cui viene presentato: a volte la scritta resta leggibile, anche se frammentata, altre volte diventa un anagramma impossibile da ricomporre. Tutto è lasciato alla capacità performativa di un pubblico che, non trovandosi costretto nella spettacolarità di un evento programmato, è libero di agire come meglio preferisce.
Alla stessa dinamica relazionale è consegnata Invocation to Sing (2020- 22), un’installazione sonora attivabile attraverso un vecchio giradischi appartenuto alla nonna dell’artista. Naldi Rossano ha scelto e riparato l’oggetto perché legato a un piccolo episodio di eroismo familiare: proprio a sua nonna fu sequestrato un apparecchio simile dopo che questa colpì un soldato nazista in testa con una padella. Il suono emesso dall’opera è però allo stesso tempo più recente e più arcaico di quell’episodio. Nascoste da grandi idoli di ceramica raffiguranti dei gatti o gufi stilizzati, quattro casse diffondono nell’ambiente un’improvvisazione registrata davanti al tempio di Era a Capo Colonna, in Calabria. Ne scaturisce una polifonia di suoni naturali, tecnologici e umani che si rincorrono in un’interminabile eco. La voce dell’artista e delle sue compagne di viaggio si lega idealmente al giradischi della nonna, potente strumento di controinformazione, e ancora si congiunge, in un tempo che non è più neppure storico, al canto delle streghe e delle sirene.
Quel coro, anzi quei cori costantemente evocati nelle opere di Naldi Rossano cantano sempre un solo desiderio: che la nave dell’eroe finalmente naufraghi, e con lei l’ordine bellicoso che l’ha messa per mare.