Jurassic Park (1993), la morality tale di Steven Spielberg sui prodigi della tecnologia di fine millennio, uscì nelle sale cinematografiche mentre nella Silicon Valley cominciava a prendere forma il piano con cui oggi, a trent’anni di distanza, i suoi colossi continuano a stupire e a migliorare la società. Quanto ci ha stupito guardare sul grande schermo John Hammond stravolgere il concetto di zoo, o Garrett Camp con i taxi e Jeff Bezos con l’e-commerce di libri e qualsiasi altro bene di consumo. Ad ogni modo, se un tirannosauro scappasse dal proprio recinto, nessun responsabile sarebbe in grado di spegnere tutto il sistema centrale. Il lavoro di Raphael Hefti è strutturato su premesse simili – è molto più tangibile e visivamente impattante rispetto all’estetica minimale che ci aspettiamo dalle app, ma infondo nasce dalla stessa pratica di sconvolgimento della normalità, probabilmente ignorata, esibendo lo stupore che ne consegue.
“Salutary Failures”, la sua personale alla Kunsthalle di Basilea si sviluppa su cinque sale e, come da titolo, indica che ci troviamo di fronte a una serie di fortunati eventi nati da storpiature di processi produttivi. Ciascuno spazio ospita un’installazione diversa che non entra in relazione con gli altri, come se si trattasse di cinque progetti a sé stanti e non della sua più importante mostra istituzionale. Il terzo ambiente accoglie sul pavimento cinque grossi lingotti d’acciaio che, nonostante l’imponenza, sono modellati con linee arrotondate e cartonizzate o fuse sulla vena minimalista che ricorda un masticato Walter De Maria. Negli ultimi otto anni queste sculture sono state soggette agli stessi sbalzi termici che subirebbero normalmente nell’arco di cinquemila anni. Il titolo della serie, Dr. Satler: So, what are you thinking? Dr. Grant: We’re out of a job. Dr. Malcolm: Don’t you mean extinct? (2020), è una citazione dalla sceneggiatura di Jurassic Park e prova l’interesse dell’artista per le ere geologiche, per i progetti ambiziosi e per gli effetti prodotti sulla vita delle persone dallo spietato processo di sostituzione della tecnologia ai processi naturali e alle attività lavorative.
The Sun is the Tongue, the Shadow is the Language (2020) è l’installazione più grande e consiste in una serie blocchi di colata di sabbia riciclata su cui è stata spruzzata e sciolta della polvere di alluminio. Attraversando la sala, si ha come l’impressione di inoltrarsi in un labirinto dalle forme eleganti e mutevoli, che ricorda le rovine di Chichén Itzá o la City (1972–) di Michael Heizer. Anche qui, l’artista ritrova bellezza ed equilibrio geometrico nella fonderia. L’installazione fa da preambolo alla sala successiva, in cui è esposto Polycrystalline Horticulture (2020), un dipinto sottile, ma lungo sei metri, fatto di ossido di bismuto e talmente pesante da dovere essere adagiato al muro con un piedistallo su misura. È impressionante. Le colate di metallo solidificato brillano di blu iridescenti, fucsia e arancioni dorati. Come Heizer e De Maria, anche Hefti ha compreso che la dimensione in scala può aggirare la logica dello spettatore e connetterlo emotivamente al sublime. Perché mostrare al mondo un solo dinosauro quando si può creare un parco a tema interamente automatizzato?
Nell’ultima sala diventa inevitabile percezione la trascendenza. Quindici tubi a neon su misura alti quattro metri, spessi come tronchi, sono appesi a grappolo al soffitto della buia sala. La serie intitolata Message Not Sent (2020), trasforma i gas nobili (neon, argon, krypton) in delicate alchimie cromatiche: azzurri sci-fi, violetti, e vibranti rosa confetto. Lo spessore dei tubi ci permette di osservare le reazioni chimiche che avvengono in processi tipicamente commerciali: i gas si mescolano nell’aria, cambiano tonalità come fossero nubi, reagendo ai diversi voltaggi. Come la maggior parte dei lavori di Hefti, si tratta di un semplice trucco: scegli un processo non artistico, ingrandiscilo e riformula la ricetta stabilita in modo da ottenere sviluppi inaspettati. Un trucco eseguito male è perturbante, innesca un rifiuto. Se invece è ben fatto, anche se è inequivocabilmente un’illusione, è in grado di ricongiungere lo spirituale al contingente e ci spinge, ogni volta, ad osservare il mondo verso nuove bellezze e alchimie, desiderosi di un proseguimento appagante.