Collettività e connettività si incontrano lungo le scie luminose che abitano l’orizzonte potenzialmente sconfinato della tecno-tenda Morestalgia (2019), recentemente ospitata presso ICA a Milano, in occasione della personale di Riccardo Benassi a cura di Alberto Salvadori. Varcata la soglia dello spazio, la narrazione che scorre davanti ai nostri occhi si presenta come una cascata espansa in uno schermo LED penetrabile il quale, come nota Andrea Lissoni in “Renouncing the Frame”1 se inteso come supporto o spazio delimitato, viene meno, facendo virare il contesto espositivo verso un habitat condiviso, uno spazio di accoglienza e ospitalità che sollecita il corpo su più fronti: sensoriale, emotivo, intellettuale, motorio.
Morestalgia sembra così innescare quella “progettualità partecipativa sempre più visceralmente legata all’elasticità, al flusso, al nebuloso, al trasparente”2 che rispecchia le modalità in cui comunichiamo e gli spazi che utilizziamo per farlo. È il tentativo di “collettivizzare l’esperienza spettatoriale”3 e di restituire quello “sfilacciamento della dimensione temporo-spaziale”4 che sta portando sempre di più a una radicale revisione del rapporto tra opera d’arte in senso lato e pubblici.
Spinto dalla necessità di interrogarsi sul modo in cui internet a partire dagli anni Novanta ha cambiato le nostre vite, con questo progetto di ricerca Benassi esplora una dimensione che non aveva ancora un nome preciso. Il neologismo morestalgia è stato infatti coniato da lui stesso per “aggiornare” il significato di nostalgia, sentimento che si è trovato drasticamente modificato e tecnologicamente aumentato con l’avvento del web. Nello specifico, il termine indica quella categoria di nostalgia il cui “dolore assomiglia più a quello causato dall’invidia che a quella della nostalgia vera e propria. La percezione di una dolorosa mancanza, che però ognuno di noi auto-traduce a sé stesso come perdita, il cui diretto riferimento sono altri esseri umani che stimiamo e le loro esperienze condivise online”5. I morestalgici sono quindi coloro che vogliono vivere un’esperienza che hanno precedentemente intuito come verosimile, ma invece che rievocarla dal proprio passato la sostituiscono con la navigazione compulsiva in rete.
Composto da molteplici livelli narrativi che si tessono a vicenda e si nutrono di appunti, riflessioni e pensieri raccolti dall’artista durante gli ultimi anni, il testo di Morestalgia instaura un rapporto dialogico con lo spettatore e si avvicina alla forma del monologo interiore che resta volutamente “aperto e magmatico, assumendo in sé stesso la necessità di una rinegoziazione continua tra l’intuizione teorica e una realtà fondamentalmente inafferrabile”6. Scorrendo in ogni direzione, lo stream di parole si combina con materiale fotografico, found footage, riprese fatte con lo smartphone, universi 3D e suono, tutti elementi che vivono in uno stato di interdipendenza costante e si manifestano all’interno del lavoro attraverso una componente architetturale che va intesa come spazio e concetto elastici nei quali organizzare e editare contenuti e che, insieme al linguaggio e alla scrittura, riveste un ruolo strutturale all’interno di tutta la produzione di Benassi. Basti pensare all’apparato testuale a scorrimento nella fascia rossa in stile breaking news degli “allegati” in Techno Casa (2013), oppure alla libertà con la quale le frasi abbracciano le immagini in Phonemenology (2018). È così che questi video essay ci dimostrano, tra le altre cose, che “dipendiamo disperatamente dall’architettura, da ciò che la fornisce e che ci fornisce. E tutto dipende disperatamente dallo spazio”7.
Completano la mostra, ampliandone il sentimento di transitorietà, la versione inglese di Daily Desiderio Domestico (2019–in corso), installazione scultorea che ospita su uno schermo LED un messaggio scritto e trasmesso da Benassi ogni giorno della sua vita, e visibile solo per ventiquattro ore, e Morestalgia Alpha1 (2019), video che ritrae Alpha1, un robot umanoide cinese commercializzato per fare divertire i bambini e insegnare yoga alle loro madri, goffamente intento a dipingere su tela i paesaggi dell’infanzia dell’artista.
Con Morestalgia Benassi fa vaporizzare i nostri corpi, ma non lo fa lasciandoli sulla soglia del corpo polifonico della quotidianità, bensì gettandoli davanti, dietro e dentro l’accumulo esperienziale di un presente palpitante e martellante in cui la sfida più urgente, forse, “sembra quella di ri-tornare in un posto nel quale non si è mai stati”8