Barbara Meneghel: Nella tua ricerca è sempre più presente il tema del linguaggio, scritto e parlato. Ma spesso nel tuo approccio avverto un’inquietudine di fondo, quasi un conflitto irrisolto con l’espressione linguistica stessa. Ho ragione?
Riccardo Giacconi: Due anni fa ho lavorato a una tesi su Italo Calvino, e credo di essere rimasto legato al suo modo di concepire il compito della letteratura: un impegno costante, un continuo “gioco sulla pelle propria” per tentare di situarsi sempre ai limiti del linguaggio e del dicibile. Non si tratta di un’impresa colossale e rivoltosa, piuttosto di uno sforzo continuo e preciso. Forse l’inquietudine di cui parli ha a che fare con questo. Credo sia pericoloso oggi dimorare completamente nei linguaggi che ci vengono proposti: spesso è utile rapportarsi alla propria lingua come a una lingua straniera, sorprendersi, lavorare per una lettura di sbieco.
BM: Sono d’accordo, e mi sembra che questa “lettura di sbieco” si esplichi anche nel rapporto tra presenza e assenza all’interno della lingua stessa. Come definiresti questa relazione?
RG: Il linguaggio mette a disposizione delle tecniche per riferirsi a se stesso. Ultimamente ho utilizzato delle barzellette in una serie di frammenti video, che ho chiamato “Quello che non c’è”. In una barzelletta, il linguaggio produce una strategia per ritagliare uno spazio di enunciazione e renderlo un atto performativo, funzionale a ottenere un effetto. Il finale è una sorta di colpo di coda della lingua, che illumina in un flash tutto lo spazio di enunciazione a esso precedente. Rimuovendo tale colpo di coda, l’enunciazione viene sottratta alla sua funzione univoca; quello che non c’è, però, lascia comunque percepire la sua non-presenza.
BM: In queste tue riflessioni sul linguaggio umoristico si avverte anche l’eco freudiana della Psicopatologia della vita quotidiana, o del motto di spirito. Sintomi comuni, colti dal quotidiano, nascondono in realtà quadri causali più profondi.
RG: Ho il sospetto che nelle tempistiche, nelle modalità e nei meccanismi della risata, dell’ironia e del comico risieda e si renda leggibile l’essenza di un momento storico, più che nei campi della cultura che siamo soliti considerare rilevanti. È interessante pensare la risata, assieme alle cause e alle condizioni che le permettono di attuarsi, come l’elemento fondante per un’ipotetica scienza “indiziaria” che, invece di partire dai fenomeni più evidenti dell’oggetto di studio, si concentra sugli elementi infimi e secondari.
BM: Protagonisti dei tuoi video sono spesso persone e luoghi tratti dalla quotidianità a te familiare e tendenzialmente ritratti nel loro ambiente. Che valore ha questa scelta?
RG: Il rapporto di stretta parentela che ho con i protagonisti di alcuni miei video è essenziale. Quel rapporto era proprio l’elemento che volevo spingere, forzare; era ciò attraverso cui volevo instaurare una tensione fra una storia vissuta in prima persona e una memoria inaccessibile. L’evento collassa nei testimoni. Nel produrre storia, l’evento non ha valenza per se stesso, ma solo in relazione alle testimonianze che di esso si danno. Un discorso simile si può fare per i luoghi: anch’essi acquistano la loro rilevanza attraverso la memoria che se ne ha.
BM: Questi elementi della tua ricerca (linguaggio, memoria, paesaggio) fanno pensare a legami pasoliniani che possono sfociare nell’uso del dialetto regionale italiano. Hai mai pensato di farlo rientrare nel tuo lavoro?
RG: Walter Benjamin scriveva che “ogni lingua comunica se stessa”: il linguaggio può essere considerato la forma più antica di archivio che l’uomo abbia istituito. È molto fertile studiare le tracce nascoste, latenti o marginali che le pratiche del linguaggio possono rivelare. Non mi interessa, però, alcuna idealizzazione di un certo tipo di lingue tradizionali, perché porterebbe a tracciare una separazione netta fra dialetto e “lingua ufficiale” che, in realtà, è assolutamente fittizia. Il linguaggio è sempre tradizionale, in quanto, proprio per la sua essenza di archivio, è intrinseca in sé la tradizione – cioè la trasmissione – del passato.